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ciclostilato

In dizionario di Silvio DellʼAcqua

documento, volantino, fascicolo e simili realizzato con la tecnica del ciclostile. Il termine, attestato dal 1961, è utilizzato sia come aggettivo (es. «volantino ciclostilato») che come sostantivo (es. « un ciclostilato»).

Uno di loro la salutò con una certa confidenza e le diede non un volantino, come a volte succedeva, ma un ciclostilato di più pagine.

Elena Ferrante, Storia di chi fugge e di chi resta (l’amica geniale: 3), 2013

Deriva dal nome della tecnica di stampa ciclostile, attraverso il verbo derivato ciclostilare (“produrre con il ciclostile”) di cui ciclostilato è il participio passato. A sua volta ciclostile viene dall’inglese cyclostyle, nome coniato alla fine del 19º dall’ungherese David Gestetner (1854 – 1939), inventore della tecnica e della prima macchina per questo tipo di stampa: il “ciclografo di Gestneter”. In particolare, il termine cyclostile (1881) era in origine riferito alla penna per incidere la matrice (style in inglese significa infatti “penna” o “stilo”, dal latino stilus), poi esteso metonimicamente al processo di stampa. Il nome “Cyclostyle” fu poi utilizzato dal 1887 dall’americano Albert Blake Dick per la società “The Cyclostyle Co.” che produceva su licenza il mimeografo di Edison, una macchina basata sullo stesso principio ma a piano orizzontale, anziché rotativa come quella di Gestetner. Il termine cyclostyle divenne così sempre più comune per questo tipo di stampa e per le relative macchine, di qualunque tipo esse fossero.
ciclostile di Gestetners: «Automatci Cyclostyle 2.000 copies d'un original.»

Pubblicità francese della macchina “ciclostile” di Gestetners, 1900 circa.


Mimeografo di Edison, 1889

Mimeografo di Edison, 1889

L’apparecchio utilizzato per questo tipo di stampa era detto esso stesso ciclostile, oppure duplicatore stencil o ancora mimeografo. Il foglio così prodotto aveva solitamente l’aspetto di un foglio dattiloscritto, in quanto si partiva dalla battitura con una normale macchina per scrivere su un apposito foglio ceroso che fungeva da matrice, ma era anche possibile aggiungere scritte o disegni a mano utilizzando una penna una qualsiasi punta. La stampa era caratterizzata da una bassa qualità, con una caratteristica grossolana puntinatura; non ammetteva toni di grigio o “sfumature” ma era possibile realizzare stampe a più colori realizzando una matrice per ogni colore. In Italia, per non incorrere nelle limitazioni imposte dalle leggi sull’editoria, era d’uso aggiungere al documento la dicitura «ciclostilato in proprio» (anche abbreviato «ciclinproprio», «cicl. prop.», «c.i.p.» o simili), spesso accompagnato dal luogo di stampa, ad indicarne la produzione non editoriale.

ciclostile Solidarność anni '80

Un ciclostile utilizzato in Polonia dal sindacato Solidarność negli anni ottanta.

La tecnica del ciclostile fu ampiamente utilizzata nel XX secolo per produrre copie di documenti di ogni tipo, dal singolo foglio (circolari amministrative, modulistica, comunicati, volantini, pamphlet ecc..) a interi fascicoli come dispense e manuali di istruzioni. Il basso costo e la possibilità di produrre in autonomia anche poche copie, quindi senza nessun controllo o censura, ne fecero il principale medium per la stampa amatoriale e clandestina. Il ciclostile divenne strumento di propaganda delle contestazioni studentesche del ’68, di gruppi politici e di movimenti di protesta. Questa tecnica scomparve gradualmente nella seconda metà del novecento, resa obsoleta dalla graduale diffusione della xerografia o fotocopia e delle stampanti domestiche.
Soviet Studenti Comunisti Rivoluzionari

volantino ciclostilato degli anni ’70 del movimento “Studenti Comunisti Rivoluzionari” di Torino