33 Thomas Street

In Architettura, Città, Cultura popolare, Spionaggio di Silvio DellʼAcqua

1

Il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in piena vista.Edgar Allan Poe
Quando si pensa alle basi segrete americane, l’immaginario collettivo ci porta immediatamente a scenari remoti e inaccessibili: hangar sperduti nel deserto del Nevada dove si celano tecnologie avveniristiche, come la celebre “area 51”, o bunker impenetrabili nel cuore delle Montagne Rocciose, protetti da numerosi livelli di sicurezza come il Cheyenne Mountain Complex nei pressi di Colorado Springs. Questi luoghi, circondati da un’aura di mistero e cospirazione, sono diventati parte integrante della cultura popolare alimentando leggende urbane e teorie del complotto che continuano a suscitare curiosità e timore.
Al contrario, l’idea che si ha di New York è completamente diversa: una metropoli vibrante, illuminata dai grattacieli e attraversata da milioni di persone ogni giorno. In questo contesto, l’idea di installazioni governative top secret sembra quasi inconciliabile con l’immagine di una città che non dorme mai e che rappresenta il simbolo della modernità e della trasparenza. Eppure, come disse Edgar Allan Poe, «il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in piena vista»: e infatti è proprio a Manhattan, nel cuore della finanza newyorkese, che si trova uno degli edifici più misteriosi e inaccessibili degli Stati Uniti d’America.
Il quartiere Tribeca con il

2 – Il quartiere Tribeca a Manhattan con il Long Lines Building

Lo vedi e non lo vedi allo stesso tempo.Paul Goldberg, N.Y. Times
Più precisamente nel quartiere noto come Tribeca — ossia Triangle Below Canal Street: proprio quello che ha dato il nome al Tribeca Film Festival fondato da Jane Rosenthal e Robert De Niro, una zona residenziale di alta classe dove dimorano numerose celebrità. Si trova a poco più di un chilometro da Wall Street — centro finanziario per eccellenza — e ad appena 300 metri dall’iconica stazione dei pompieri nº 8, divenuta famosa come la sede dei Ghostbusters nell’omonimo film del 1984. Alto 170 metri, non ha una sola finestra — nemmeno una — a parte l’ingresso vetrato che sembra quello di un hotel nel quale nessuno entra: l’aspetto è di un enorme monolito che si confonde discretamente con le facciate in vetro dei grattacieli che lo circondano, mentre di notte, totalmente privo di illuminazione esterna, diventa una gigantesca ombra tra le mille luci della città. Uniche aperture sulle facciate sono le enigmatiche bocche quadrate (verosimilmente griglie di ventilazione) al piani 10º e 29º, dalle quali fuoriesce un ronzio sordo quasi sempre coperto dai rumori del traffico.
33 Thomas street visto dal basso

3 – Long Lines Building visto dall’incrocio tra Thomas streeet e Church Street.



Come molti edifici di New York è maggiormente noto con il nome dell’indirizzo a cui si trova, al nº 33 di Thomas Street, ma il suo vero nome sarebbe “Long Lines building” che deriva dal dipartimento delle “linee lunghe” (ossia a lunga distanza) della compagnia di telecomunicazioni AT&T (che sta per American Telephone and Telegraph Company) di cui ospita le apparecchiature di commutazione. L’insolito grattacielo è infatti una centrale telefonica, un centro nevralgico della rete telefonica nazionale e un importante gateway switch che instrada le telefonate tra gli Stati Uniti e i paesi di tutto il mondo: al suo interno si trovano almeno tre commutatori 4ESS per la rete a lunga distanza (Long Lines da cui il nome dell’edificio) dei 145 installati in tutto il paese. Da qui transitano non solo chiamate e dati internet, ma ma anche le linee private della Federal Aviation Administration che collegano 398 aeroporti. Per dare l’idea dell’importanza delle apparecchiature concentrate in questo edificio, basti considerare che il 17 settembre 1991 un guasto bloccò 5 milioni di chiamate e paralizzò per ore il controllo del traffico aereo in 27 aeroporti degli Stati Uniti nord-orientali.[1]

4 – La celebre stazione dei pompieri n. 8 al 14 di N. Moore Street, sede dei “Ghostbusters” nell’omonimo film: sullo sfondo spicca il grattacielo senza finestre di 33 Thomas Street.

È quindi comprensibile che, avendo un ruolo cruciale per non solo per le telecomunicazioni ma anche per la sicurezza, sia considerato un “sito sensibile” e di conseguenza soggetto ad un certo livello di sicurezza e segretezza. Ancor di più se si considera che quando fu costruito, tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70, l’America viveva nella paranoia della guerra fredda, dello spionaggio sovietico e del genuino timore di un attacco con armi nucleari. Proprio nel 1968, un anno prima dell’inizio dei lavori, il Bulletin of the Atomic Scientists aveva portato avanti di 5 minuti le lancette del famigerato Doomsday Clock,[2] a causa della guerra nel Vietnam, dell’intensificarsi delle tensioni internazionali e dell’ingresso di Francia e Cina tra la potenze dotate di armi nucleari.

…una fortezza del ventesimo secolo, che sappia difendersi non da lance e frecce ma dai protoni e neutroni che rischiano di assediare silenziosamente l’esercito di macchine che stanno al suo interno…John Carl Warnecke

Verso la fine degli anni ’60 lo studio John Carl Warnecke & Associates aveva ricevuto da AT&T l’incarico di progettare una enorme torre, capace di resistere ad un attacco nucleare, nel centro di New York. Lo chiamavano “Progetto X”, oppure “Broadway Building” e sarebbe stato come un «grattacielo abitato da macchine […] progettato per ospitare apparecchiature telefoniche a lunga distanza e per proteggere queste e il personale operativo in caso di attacco atomico».[3]

L’architetto John Carl Warnecke – morto nel 2010 all’età di 91 anni – era all’epoca uno dei più rinomati del paese (oggi diremmo una “archistar”), nonché molto vicino a personalità di spicco del governo e della finanza, in particolare alla famiglia Kennedy che lo incaricò di progettare la tomba del presidente John Fitzgerlad dopo il suo assassinio nel 1963: lo stesso presidente gli aveva commissionato l’anno precedente la ristrutturazione degli edifici a Lafayette Square di fronte alla Casa Bianca, mentre prima del Long Lines Building di New York aveva progettato il campidoglio dello Stato delle Hawaii a Honolulu. Nel suo curriculum figurano lavori per l’accademia navale militare di Annapolis (Maryland), la costruzione di uno degli edifici del complesso del Senato (Hart Senate Office Building) negli anni ’70 e, sempre a Washington D.C., una strana collaborazione per la costruzione di un complesso di ambasciate sovietiche a Washington, dove i diplomatici si lamenteranno per aver trovato apparecchiature di intercettazione incorporate nelle pareti. Oltre che con il governo, Warnecke coltivò uno stretto rapporto con le società di telecomunicazioni, forse aiutato anche dal fatto che suo suocero era stato direttore di Pacific Bell, una sussidiaria di AT&T con sede in California. Negli anni ’60 gli fu chiesto di progettare un edificio per la centrale telefonica di Oakland e in seguito avrebbe ricevuto una serie di altri importanti incarichi proprio da AT&T per cui progettò anche una centrale telefonica a Williamsburg, Brooklyn, e una struttura a Bedminster, nel New Jersey.

Pianta ultimo piano dal progetto originale

5 – Tavola del progetto originale del long Lines Building raffigurante l’ultimo piano: si notano la sala macchine dell’ascensore, apparecchiature dell’impianto di condizionamento e numerose antenne (microonde e satellitari).

Il progetto del 33 Thomas Street prevedeva 29 piani fuori terra e tre interrati, ma alti ben 6 metri ciascuno[4] (contro i circa 3 di un edificio abitativo) e con solai abbastanza robusti da reggere carichi fino a 1 500 kg/m²,[4] per sostenere il peso delle apparecchiature. Un potente impianto di ventilazione avrebbe raffreddato i numerosi computer presenti all’interno e l’assenza di finestre avrebbe aiutato a mantenere la temperatura interna, ma non solo: come scrisse lo stesso Warnecke, l’edificio avrebbe dovuto essere «una fortezza del ventesimo secolo, che sappia difendersi non da lance e frecce ma dai protoni e neutroni che rischiano di assediare silenziosamente l’esercito di macchine che stanno al suo interno», e dove quindi «non possono essere consentite finestre o aperture». Infine, l’edificio doveva essere «città autonoma» in grado di funzionare per due settimane in caso di interruzione della corrente elettrica (ossia in caso di catastrofe) e fu per questo previsto lo stoccaggio di 250 000 galloni di carburante (quasi un milione di litri) per i generatori diesel di emergenza e cibo per due settimane per 1 500 persone; anche se il numero di tecnici normalmente presenti è di gran lunga inferiore (nel 1991 ogni turno impegnava 116 tecnici, oltre agli addetti alla sicurezza.[5]).

6 – Un altro “Long Line Building” di New York è quello quello all’811 della 10th Avenue, qui visto dall’incrocio tra la 53rd Street e la 9th Avenue.

In realtà, proprio per i motivi esposti da Warnecke, quella del “grattacielo senza finestre” era già un tipo di architettura utilizzata per le centrali telefoniche in quel periodo, soprattutto in una città come New York dove la densità edilizia impone di sviluppare gli edifici verso l’alto: nel 1964 ne era già stata costruita uno di questo tipo all’811 della 10th Avenue, sei chilometri più a nord nel quartiere di Hell’s Kitchen, vicino al celebre Central Park.  Un altro grattacielo adibito a centrale telefonica, alto 160 metri, sarebbe stato ultimato nel 1975 al 375 di Pearl Street, sempre a Manhattan, appena a nord del ponte di Brooklin (ora occupato da Verizon), che dal 2000 svolge la funzione di data center ad alta sicurezza. Anche in altre città americane furono costruiti edifici simili a fortezze per contenere le apparecchiature necessarie al funzionamento delle reti di telecomunicazione. Come scrisse il critico di architettura Paul Goldberger sul New York Times nel 1975, quello di 10th Avenue fu il «fu il primo di una serie di edifici per attrezzature senza finestre ad essere costruiti, e causò notevoli polemiche»,[6] dovute più all’impatto estetico sullo skyline newyorkese che a sospetti sulle attività svolte all’interno, e che quello di Pearl Street «travolge le torri del ponte di Brooklyn, getta nell’ombra un quartiere residenziale e dà un tono di assoluta banalità al quartiere del centro civico». Riconoscendo però che quello di Thomas Street progettato da Warnecke era sicuramente il più riuscito esteticamente, il «migliore dell’azienda».[6] Le facciate esterne completamente cieche, realizzate in pannelli prefabbricati di cemento rivestiti di granito svedese testurizzato a fuoco, conferivano all’edificio un aspetto oscuro e distopico che non passò inosservato. Tuttavia fu molto apprezzato, soprattutto dagli esperti di architettura, ed è tuttora considerato un esempio particolarmente riuscito di brutalismo, uno stile architettonico che mette in primo piano la “funzione” degli edifici e il vigore delle forme. Sempre Paul Goldberg, in un articolo del 1982 sul New York Times, descrisse il Long Lines building come «uno dei pochi pezzi di buona architettura moderna del quartiere», che «si fonde con l’ambiente circostante con più grazia di qualsiasi altro grattacielo in questa zona […] Lo vedi e non lo vedi allo stesso tempo».[7]

Long Lines building visto da Church Street

7 – Long Lines building di 33 Thomas Street, visto da Church Street.

I lavori iniziarono nel 1969 dopo la demolizione di alcuni fabbricati in ghisa preesistenti, le cui facciate storiche furono rimosse per essere conservate,[8] e terminarono nel 1974. Nello stesso anno in cui l’edificio veniva completato, il dipartimento di giustizia depositò presso la corte distrettuale di Washington una causa contro AT&T per violazione delle norme antitrust,[9] che si concluse solo nel 1982 con un accordo, noto come “Modification of Final Judgment (MFJ)”, con il quale la rete telefonica locale di AT&T, nota come “Bell System” (dal nome della antenata Bell Telephone Company), veniva suddivisa in sette compagnie telefoniche regionali (le “Regional Bell Operating Companies” o RBOC) allo scopo di interromperne il monopolio. Come risulta da un atto[10] e da una dichiarazione[11] del 31 dicembre 1983 depositati all’ufficio del registro di New York, AT&T concesse alla sussidiaria locale New York Telephone Company l’uso di quattro piani (il primo, il 3º e il 4° più uno dei piani interrati) e il giorno successivo, 1º gennaio del 1984, la New York Telephone Company fu acquisita dalla NYNEX, un’altra RBOC nata dallo smembramento di AT&T. Nel 1997 NYNEX venne acquistata da Bell Atlantic, altra compagnia telefonica ex-AT&T, la quale nel 2000 acquistò anche la GTE (General Telephone & Electronics Corporation) di Stamford, nel Connecticut, diventando Verizon. Ed è così che i sopraccitati quattro piani del Long Lines building entrarono nella disponibilità di Verizon mentre AT&T mantiene tuttora la proprietà dell’edificio. Nel frattempo, con il boom di internet nella seconda metà degli anni’90, la centrale telefonica di Long Lines building divenne anche un importante hub per il traffico internet; entro il 1999 la AT&T trasferì gradualmente parte delle apparecchiature al 32 Sixth Avenue, a pochi isolati di distanza, e lo spazio “liberato” nel Long Lines building (che mantenne la sua funzione di centrale telefonica) fu adibito a data center ad alta sicurezza. Tutto chiaro quindi, ma c’è di più.

Torniamo al 1974, anno del completamento dell’edificio: il presidente Richard Nixon rassegnava le proprie dimissioni travolto dallo scandalo Watergate, legato alla scoperta di azioni illecite (quando non criminali) del suo entourage per assicurargli la rielezione alle successive presidenziali; azioni la cui portata arrivò a coinvolgere Cuba e il Vietnam. Fu istituita una apposita commissione del senato per indagare sulle attività di spionaggio illegali di Nixon durante il suo mandato, che portò lo stesso presidente all’impeachment e alle dimissioni.

8 – Nixon rassegna le dimissioni in diretta televisiva l’8 agosto del 1974 a Washingotn D.C.



Ma l’inchiesta Watergate aveva scoperchiato un vaso di Pandora: l’uso che Nixon aveva fatto della CIA per conseguire i propri fini elettorali portò all’attenzione del pubblico, della stampa e del senato il fatto che le agenzie governative di intelligence svolgessero attività non esattamente lecite. Così quando il giornalista investigativo Seymour Hersh del New York Times rivelò che la CIA stava destabilizzando governi stranieri mentre spiava i cittadini americani,[12] fu istituita una nuova commissione — la “Commissione Church”, presieduta dal senatore democratico statunitense Frank Church — per esaminare le attività delle agenzie di intelligence. Quello che emerse generò una cascata di nuovi scandali ancor più grossi: dall’affare Lockheed, che vedeva politici e funzionari stranieri (tra cui italiani) ricevere tangenti per acquistare aerei militari destinati alle forze armate del proprio paese, al progetto Mk-Ultra con cui la CIA drogava ignari cittadini americani a caso con ogni genere di sostanza stupefacente, allo scopo di sperimentare tecniche di “controllo mentale”. Non fu risparmiata la National Security Agency (NSA), agenzia di spionaggio del Dipartimento della Difesa, che — si scoprì — aveva intercettato ogni telefonata o telegramma di 1 200 americani tra il 1967 e il 1973 all’interno di un programma denominato SHAMROCK (trifoglio), che fu paragonato al “Grande Fratello” orwelliano. Tra gli intercettati figuravano soprattutto oppositori alla guerra nel Vietnam, celebrità, attivisti per i diritti civili come Martin Luther King, Whitney Young e il pugile Muhammad Ali (aka Cassius Clay), ma anche giornalisti come Art Buchwald del Washington Post e Tom Wicker del New York Times.

Cartello "Richard Nixon is the most violent person in the world", Miami (Florida) 1972

9 – Proteste contro Richard Nixon a Miami (Florida) nel 1972, anno in cui si aprì lo scandalo Watergate.

Il Comitato Church raccomandò che fossero posti nuovi e più severi controlli sulla raccolta di informazioni e nel 1978 il Congresso approvò una legge, denominata Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA), che richiedeva alle agenzie di intelligence di ottenere mandati per le intercettazioni da un apposito tribunale federale di sorveglianza:[13] «uno dei prezzi che stiamo pagando per Nixon», commentò il giurista Charles Fried.[14] Tuttavia sembra cha la NSA non abbia poi fatto molta fatica ad ottenere questi mandati, dato che — come avrebbe in seguito rivelato l’attivista e whistleblower Edward Snowden[3] — nel 2010 aveva attive una quarantina di autorizzazioni ad intercettare le comunicazioni del Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la banca nazionale giapponese, l’Unione Europea, le Nazioni Unite ed almeno 38 paesi stranieri, inclusi quelli alleati come Italia, Giappone, Brasile, Francia, Germania, Grecia, Messico e Cipro. Mogens Lykketoft, presidente dell’Assemblea delle Nazioni Unite, non prese molto bene la cosa e definì le attività di spionaggio ai danni dell’ONU come «violazioni totalmente inaccettabili della fiducia nella cooperazione internazionale».[3] Ma cosa c’entra tutto questo con l’edificio al 33 di Thomas Street?

Ebbene, ci sono forti indizi che gran parte di queste intercettazioni siano avvenute e avvengano lì dentro. Dopo lo scandalo delle intercettazioni “disinvolte” dei primi anni ’70, la NSA istituì un nuovo programma denominato BLARNEY (sicuramente attivo almeno fino al 2013 stando ai documenti trapelati[3]), ufficialmente conforme alle nuove regole imposte dal FISA, con il quale stringeva accordi con “partner commerciali” per la raccolta di massa di contenuti e di metadati. Chi potevano essere i partner commerciali di un simile programma? Ovviamente le compagnie di telecomunicazioni, che già dal 1945 fornivano all’agenzia copia di ogni telegramma inviato all’estero. Niente di nuovo, quindi.

Uno di questi partner è certamente AT&T, storicamente molto vicina sia al governo che all’apparato militare del paese: probabilmente tutte le compagnie telefoniche collaborano con NSA, ma sembra che AT&T lo faccia in modo particolarmente proattivo. Documenti top secret divulgati da Snowden nel 2013[3] rivelano che il programma BLARNEY si svolge attraverso tre siti principali ed uno di essi, denominato in codice TITANPOINTE, si trova a New York: indizio numero uno. All’interno di TITANPOINTE si troverebbe un ambiente sicuro, una stanza o un’intero piano, denominato “Sensitive Compartmented Information Facility” che contiene le attrezzature di NSA collegate ai router del “partner commerciale” con il compito di intercettare ed elaborare i dati raccolti non solo dalle telefonate, ma anche ad esempio da e-mail, chiamate Skype e navigazione internet di milioni di utenti. Ma NSA non si limita ad intercettare le comunicazioni che arrivano sul suolo americano: attraverso un altro programma, SKIDROWE, intercetta le informazioni mentre passano da satelliti stranieri e TITANPOINTE sarebbe uno dei nodi. E, indizio numero due, 33 Thomas Street ha proprio grandi antenne satellitari sul tetto ed è l’unico luogo a New York dove AT&T ha una licenza della Federal Communication Commission per una stazione satellitare.[3] Indizio numero tre, i documenti NSA descrivono TITANPOINTE come gestito da un “partner” denominato LITHIUM, che sarebbe il nome in codice di AT&T, e contenente «gateway internazionali» e dispositivi RIMROCK, che altro non sarebbe che il nome in codice per i commutatori 4ESS per le linee a lunga distanza.

Esiste anche una guida per spiegare al personale NSA come raggiungere ed accedere alle apparecchiature dell’agenzia presso TITANPOINTE: dovrebbero raggiungere la sede dell’FBI a New York, che guarda caso si trova sulla Broadway a non più di un centinaio di metri dal 33 di Thomas Street, prendere contatto con il “funzionario di sorveglianza del sito” che li accompagnerà e utilizzare eventualmente un “veicolo di copertura” dell’FBI. Al fine di mantenere segreta la loro identità durante la visita il personale non deve indossare alcun indumento che mostri distintivi o insegne della NSA. Arrivati all’ingresso dovranno suonare il citofono, registrarsi all’interno e aspettare che venga una persona ad riceverli.

10 – Ingresso dell’edificio al 33 di Thomas Street, si nota il foyer di ingresso rialzato rispetto alla strada.

Indizio numero quattro, alcuni stalli di sosta di Lower Manhattan, compresi quelli di fronte al 33 Thomas Street, sono riservati ai veicoli AWM. Queste tre lettere non significano nulla: è una sigla di fantasia che identifica i parcheggi riservati ai veicoli delle agenzie segrete federali, come la CIA o appunto NSA, perché a New York anche i Man in Black hanno problemi di parcheggio come tutti. I contrassegni AWM furono inventati negli anni ’80 da Samuel I. Schwartz, un funzionario dell’ufficio traffico di New York,[15] a seguito di un incidente piuttosto imbarazzante: alcuni agenti dell’FBI, dopo aver effettuato un arresto, si ritrovarono appiedati perché la polizia municipale aveva rimosso la loro auto di servizio. Siccome non era il primo caso di questo tipo, fu chiesto all’ufficio traffico di riservare un certo numero di stalli di sosta alle agenzie federali in modo però da non rivelare l’appartenenza del veicolo: Schwartz pensò di occultare il titolare del permesso dietro un’ente immaginario, così inventò la sigla AWM scegliendo tre lettere totalmente a caso. In realtà non sembra abbia funzionato molto bene, visto che nel 2014 solo all’FBI furono rimosse fino a sette auto in un singolo giorno.[16] Ormai a New York tutti sanno cosa significa AWM, quindi non è una buona idea utilizzare questi permessi sotto copertura; inoltre gli stalli sono quasi tutti nei pressi degli edifici governativi, dove normalmente si lascia l’auto per andare in ufficio e non per arrestare pericolosi terroristi. Il fatto però che alcuni parcheggi AWM si trovino di fronte ad una centrale telefonica, suggerisce che qualche agenzia federale l’ufficio ce l’abbia proprio lì dentro.

Da parte sua, AT&T nega una collaborazione continuativa con NSA o altre agenzie di intelligence: un portavoce dell’azienda ha detto alla rivista The Intercept[3] che «AT&T non consente a nessuna agenzia governativa di connettersi direttamente o di controllare in altro modo la nostra rete per ottenere le informazioni dei nostri clienti. Piuttosto, rispondiamo semplicemente alle richieste di informazioni del governo in base a ordini del tribunale o ad altri processi obbligatori […]». Inoltre, sempre secondo AT&T, il personale NSA non ha accesso «a nessuna stanza o spazio sicuro all’interno della nostra parte di proprietà dell’edificio 33 di Thomas Street». Quando l’intervistatore gli ha però contestato che, documenti alla mano, risulta esistere almeno un ambiente sicuro a disposizione di NSA denominato “Sensitive Compartmented Information Facility”, il portavoce ha ribadito che nel 1983 AT&T aveva concesso in uso quattro piani alla New York Telephone Company, riferendosi a quei quattro piani che — attraverso i passaggi a NYNEX e poi Bell Atlantic che abbiamo visto sopra — sono oggi occupati da Verizon. Come dire, non sappiamo cosa accada lì dentro: chiedete a Verizon. La quale non commenta, ma va detto che i programmi di intercettazione vanno avanti da ben prima  del 1983 e che dai documenti non emerge alcun coinvolgimento di Verizon nei programmi di sorveglianza, ma solamente quello di AT&T.

La NSA ha risposto invece, sempre a The Intercept, che l’agenzia «non può né confermare né negare il suo ruolo in presunte attività di intelligence classificate[3]» assicurando però di svolgere la sua missione nel rispetto della legge e della privacy dei cittadini statunitensi. Crediamoci. The Intercept pubblicò il 16 novembre 2016 un lungo articolo[3] molto dettagliato sul caso TITANPOINTE e lo stesso giorno l’allora direttore nazionale dell’intelligence James R. Clapper ricevette una una email nella quale qualcuno (la cui identità non è stata resa nota, ma possiamo immaginare un alto funzionario di NSA), si lamentava di aver trovato sull’aggregatore di notizie Drudge Report un articolo così dettagliato sulle attività segrete al 33 Thomas Street, scrivendo sarcasticamente: «È fantastico quello che si può trovare sul Drudge Report… E perché l’America ha “bisogno di sapere” questo???». Forse l’autore non aveva pensato che, appena cinque anni dopo, quella mail sarebbe stata desecretata sotto il Freedom Of Information Act e pubblicata sul sito della direzione nazionale dell’intelligence (ODNI): indizio numero cinque.

11 – Il “grattacielo senza finestre” in mezzo ai palazzi di New York.



Strutture come quella di 33 Thomas Street sono dette nel gergo tecnico “Service Node Routing Complexes” o SNRC e sono concentrate in otto località negli Stati Uniti: New York, come abbiamo visto, ma anche Atlanta, Chicago (dove c’è un altro grattacielo “bunker” alto 148 metri[17]), Dallas, Los Angeles, San Francisco, Seattle e Washington[18] (quest’ultima è una fortezza di cemento ora di proprietà di Verizon, appena mezzo miglio a sud del campidoglio). Da queste strutture passa la stragrande maggioranza dei dati trasmessi all’interno ed all’esterno del paese o semplicemente in transito, perché AT&T, essendo uno dei maggiori operatori di telecomunicazioni del paese, cede larghezza di banda anche ad altri operatori di telecomunicazioni. Stando a quanto riportato ad Electronic Frontier Foundation da Mark Klein, ex tecnico di AT&T, nella struttura di San Francisco esiste una “stanza sicura”, denominata 641A, dove si trovano le apparecchiature per l’intercettazione: ambienti analoghi si trovano negli altri SNRC incluso quello di New York.[19]

Secondo The Intercept,[18] una serie di prove – tra cui documenti classificati della NSA, registri pubblici e interviste con diversi ex dipendenti di AT&T[18] – indicherebbe che queste stesse località dove si trovano i “nodi” di AT&T, inclusa quindi New York (indizio numero sei), siano le stesse località al centro di un’iniziativa di spionaggio della NSA che ha monitorato per anni miliardi di e-mail, telefonate e chat online che passano attraverso il territorio degli Stati Uniti, tramite otto “peering link router complex” la cui distribuzione coincide proprio con le località dove si trovano le centrali SNRC di AT&T. Se si considera che Reagan aveva a suo tempo autorizzato (con l’ordine esecutivo 12333[18]) a intercettare le comunicazioni che transitavano semplicemente sulle reti nazionali, e che Bush (dopo gli attentati dell’11 settembre 2001) autorizzò ad intercettare le comunicazioni internazionali anche senza mandato per cercare prove di attività terroristiche,[20] appare chiaro che, potenzialmente, la portata di un programma di spionaggio sistematico svolto in queste centrali sarebbe enorme. Se come si dice «tre indizi sono una prova»,[21] ce ne sono abbastanza per concludere che il Long Lines Building sia sì una centrale telefonica, ma anche di spionaggio. Non è l’unica struttura di questo tipo negli Stati Uniti e nemmeno nella stessa New York, ma è l’unica a spiare milioni di cittadini con lo stile di una pregevole architettura brutalista nel cuore della “Manhattan da bere”.

Opera tutelata dal plagio con Patamu, numero di deposito 270548.

Note

  1. [1]Asleep at the Switch? pag. 467, op. cit.
  2. [2]Il Doomsday Clock (orologio dell’apocalisse) è un orologio metaforico tenuto dalla rivista Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago, che misura in minuti mancanti alla mezzanotte il pericolo di un’ipotetica fine del mondo a cui l’umanità è sottoposta.
  3. [3]The Intercept, 2016, op. cit.
  4. [4]Smith, op. cit.
  5. [5]Asleep at the Switch? pag. 498, op. cit.
  6. [6]Godlberg, Paul “When Building for Future Means a Step Backward.” in The New York Times, 6 dicembre 1975.
  7. [7]Godlberg, Paul “The Tribeca Scene: Architecture, Restaurants and Bargain Hunting” in in The New York Times, 8 ottobre 1982 (sez. C pag. 1).
  8. [8]International Style part III” in New York Skyscrapers. Web.
  9. [9]“United States v. AT&T”, 552 F.Supp. 131 (1982)
  10. [10]Deed […] between New York Telephone Company and AT&T Communications of New York. 31 dicembre 1983. New York City Department of Finance, Office of the City Register. Document ID: FT_1560000052156
  11. [11]Declaration of easement and operating restrictions. 31 dicembre 1983. New York City Department of Finance, Office of the City Register. Document ID: FT_1000000065000
  12. [12]Glass, Andrew “Curch Committee established: Jan, 27, 1975” in Politico, 27 gennaio 2017. Web.
  13. [13]United States Foreign Intelligence Surveillance Court (FISC), noto anche come “FISA Court”
  14. [14]Looking back at the Church Commitee” in Constitution Center, 27 gennaio 2019. Web.
  15. [15]Roberts, op. cit.
  16. [16] Goldstein, Joseph. “In New York’s Strictest No-Parking Zones, Not Even the F.B.I. Is Exempt” in The New York Times. 23 febbraio 2014. Web.
  17. [17]AT&T South Canal” in Skyscraper Center. Web.
  18. [18]The Intercept, 2018 op. cit.
  19. [19]Cindy Cohn, Corynne McSherry “In Memoriam: Mark Klein, AT&T Whistleblower Who Revealed NSA Mass Spying” in Electronic Frontier Foundation, 12 marzo 2025. Web.
  20. [20]Risen, James, Erich Lichtblau “Bush Lets U.S. Spy on Callers Without Courts” in The New York Times, 16 dicembre 2005. Web.
  21. [21]«un indizio è solo un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi sono una prova»  è una celebre frase apocrifamente attribuita alla scrittrice britannica Agatha Christie, ma non ci sono prove che la abbia mai scritta o pronunciata.

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. foto: Billie Grace Ward, febbraio 2016 [CC BY-SA 2.0] Commons
  2. foto: Kidfly182, 8 luglio 2022 [CC BY-SA 4.0] Commons
  3. foto: Patrick Robert Doyle su Unsplash
  4. foto: Phillip Ritz, 13 gennaio 2007  [CC BY 2.0] Commons
  5. Tavola del progetto originale degli anni ’60.
  6. foto: Jim Henderson, 2007 [CC BY-SA 3.0] Commons
  7. foto: Idawriter, 18 luglio 2010 [CC BY-SA 2.0] Commos
  8. foto: Oliver Atkins, 8 agosto 1974, Washington D.C. [PD] Richard Nixon Presidential Library and Museum (WHPO-E3397-02A-05A) via Commons
  9. foto: Tony Schweikle, 1972 – Miami (Florida, USA) [PD] State Archive of Florida, via Commons
  10. foto: Dhaluza at English Wikipedia, 2007 [CC BY-SA 3.0] Commons
  11. foto: Billie Grace Ward, 24 luglio 2017 [CC BY-SA 2.0] Commons
L'autore
Silvio DellʼAcqua

Silvio DellʼAcqua

Facebook

Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale, macchinista e appassionato di ricci.