Pippo: il misterioso fantasma di Salò

In Aviazione, Folklore, Militaria, Storia di Silvio DellʼAcqua

Passa, come un malaugurato uccello notturno, sulla città e sulla campagna, e i vetri tremano al suo rombo sinistro, e gli uomini chiusi nelle case o nelle fattorie lo seguono con il pensiero mentre si avvicina, vola sopra la casa, si allontana… Il Popolo Vicentino, 23 febbraio 1945, pagina 2.
Il Pippo è esistito perché molti l’han sentito. Io l’ho sentito a Milano e a Novara. Nessuno l’ha visto perché viaggiava di notte, ma sentire l’han sentito.[1]M. Bermani, ingegnere

Come se non bastasse la seconda guerra mondiale, con il suo carico di povertà, terrore e morte, dal 1943 fino alla liberazione l’Italia settentrionale (in particolare la “Po Valley”, come gli Alleati chiamavano la Pianura Padana) fu insidiata da un oscuro fantasma. Era conosciuto come Pippo (ma anche “Peppino” a Genova, “Tito” nel Veneto, “il notturno” in Toscana, “l’orfanello” in Umbria[2]), i piloti americani di stanza in Italia lo chiamavano “Bed-Cheeck Charlie”[2] e le sue apparizioni si spinsero talvolta fino al centro Italia, dove si registrano testimonianze del suo passaggio. Apparizioni per modo di dire, perché -si racconta- nessuno l’ha mai visto: Pippo si manifestava dopo il calar del sole e l’unico segno della sua presenza era il sinistro ronzio di un motore d’aeroplano nel buio. Del resto, che Pippo fosse un velivolo in metallo e rivetti, nessuno lo metteva in dubbio, né tantomeno egli stesso si fece mancare di ricordare alla gente la propria natura fisica e tangibile, sganciando di tanto in tanto il proprio carico di bombe qualora la popolazione avesse dato segno di sottovalutarne il pericolo. Spesso invece si limitava a far sentire la propria incombente presenza nel silenzio del coprifuoco notturno e questo “tacere” delle armi non faceva che alimentare l’alone di mistero circa la natura ed i reali scopi dell’oscura entità. Si diceva che sparasse alla vista di ogni benché piccola luce, e così al primo accenno di un rumore in lontananza si correva a chiudere tutte le porte e le finestre, si metteva la lucerna sotto al tavolo:[3] mai uscire di casa, perché il tenue spiraglio di luce che fuoriusciva dalla porta socchiusa sarebbe bastato a provocare le ire del Pippo.

«Tutti lo conoscevano come Pippo; quando si sentiva Pippo tutti dicevano: “Niente luci, niente luci!” Sì, proprio, che è rimasto molto impresso questo Pippo, perché tutti avevano paura. Per esempio, c’erano tutte le tende chiuse e tutto perché non filtrasse ma se, fatalità, dovevi aprire la porta per uscire, faceva il fascio di luce e magari lui passava, sganciava!»

Ines M. di Venezia[4]

Addirittura non si fumava perché, si diceva allora, Pippo era dotato di speciali lenti che gli consentivano di cogliere anche il bagliore della sigaretta.[3] Se andava bene, si rischiava una mitragliata, se andava male, una bomba:

«Ma se lui vedeva un fiammifero o una candela accesa buttava una bomba. Dalle nostre parti c’era una famiglia che di notte è andata con una candela nel pollaio. Stavano ritornando in casa con una candela accesa e lui ha buttato una bomba. Ha ammazzato un padre e un figlio, complessivamente quattro o cinque. Serviva a tenere sotto spavento le persone, a tenerle con i nervi tesi, il Pippo».

Luigi G. di Curtatone (Mantova)[5]

«Passava sempre alla solita ora, otto e mezzo o nove di sera, e se vedeva la luce, anche solo una sigaretta, o qualcosa di bianco, lui buttava giù gli spezzoni»[6]

Anna T. di Serravale Po (Mantova)[7]

Che un aereo in volo potesse effettivamente scorgere la luce di una candela o di una sigaretta a terra appare quantomeno improbabile, ma riflette lo stato di terrore della popolazione al passaggio del misterioso aeroplano e le proporzioni leggendarie assunte dalla figura di quest’ultimo. Certo è che fosse tutt’altro che innocuo, come sperimentò chi ebbe l’imprudenza di lasciare le luci accese: sebbene alcune testimonianze riferiscano di “bombette” dimostrative[8][9] o “spezzoni” incendiari,[6] città come Milano hanno vissuto una realtà ben più tragica:

«E quindi noi quando abbiamo scoperto questo Pippo, che veniva a mitragliare dentro le case, attraverso le finestre… perché ha mitragliato in diverse case […] Quindi quando arrivava questo Pippo, con l’idea di mitragliare e lo faceva, io mi mettevo contro la culla, con le braccia a croce, in modo che dico: se Pippo mitraglia, mitraglia me e non il bambino.»

Maria S. di Milano[10]

Bei Mailand, deutsche Soldaten auf dem Marsch

2 – Soldati tedeschi in marcia presso Milano, 1944.

Ovviamente tutto questo era una spina nel fianco della Repubblica Sociale Italiana[11] e degli stessi nazisti, dato che le sue incursioni tenevano sotto pressione le forze dell’Asse ed innervosivano la popolazione minando il già esiguo consenso nei confronti degli occupanti. La stampa fascista, pertanto, non ne parlava volentieri e se proprio era necessario si riferiva a Pippo come ad un singolo aereo sfuggito alla fitta maglia della contraerea, passando periodicamente notizie del suo abbattimento: «Campane a morto per Pippo! La fine del molestatore volante!» titola ad esempio Il Piccolo di Trieste del 16 settembre 1944. Ma ogni volta che la propaganda repubblichina ne annunciava con orgoglio l’abbattimento, vero o falso che fosse, Pippo ricompariva beffardo e puntuale la sera stessa, riuscendo ad essere anche in più posti contemporaneamente:

«…puntuale come ogni sera ci veniva a trovare un aereo chiamato Pippo ed era un mistero perché era da ogni parte, non si è mai capito questo mistero, so solo che dove vedeva una lucina sganciava bombe.»

Irene P. di Reggio Emilia.[12]

Evidentemente la possibilità che potessero essere più d’uno non veniva nemmeno presa in considerazione, come se l’aura mitica che lo avvolgeva non lasciasse spazio ad un secondo o un terzo Pippo. Tant’è vero che quando raramente si verificava un secondo passaggio nella stessa notte, il secondo era “Pierino”[2][13] perché per la gente Pippo era uno solo e passava una sola volta. Il silenzio delle autorità di Salò e l’assoluta mancanza di informazioni dall’altra Italia, quella del Sud già controllata dagli Alleati, lasciava alle congetture stabilire da quale parte provenisse Pippo. Ma per i più restava un mistero, un identità indefinita: chi era Pippo secondo la gente, un aereo americano, inglese, tedesco? O addirittura italiano? «Era Pippo»[8] è la risposta più comune:[14]

«Nessuno ha mai capito se era un aereo nemico o un aereo che andava in ricognizione, se era un aereo tedesco o americano o italiano. Era Pippo. Non lo si vedeva perché era di notte, ma lo si sentiva […] Però questo Pippo non si è mai saputo chi fosse.»

Flavia T. di Novara[15]

«Chissà, forse era mandato in giro per vedere se c’erano le luci accese, però qualcuno dice che se c’erano le luci accese mitragliava. Ma cosa venisse a fare non si è mai saputo, e neanche di che nazionalità fosse. Poteva essere inglese ma anche tedesco.»

M. Bermani, ingegnere[1]

«Quando passava Pippo, questo aeroplano non si sa se tedesco, italiano o alleato, tutti si chiudevano dentro casa e spegnevano le luci»

Martino D. di Signoressa di Trevignano (TV)[16]

Potrebbe sembrare logico attribuire a Pippo provenienza angloamericana, dato che conduceva i propri attacchi in un territorio di fatto controllato dai nazisti, come in effetti conclusero molti testimoni[2] «con un’ambivalenza di sentimenti, perché gli americani che bombardavano non piacevano a nessuno, non erano tanto amici.»[17] Ma all’epoca, tale ipotesi era tutt’altro che scontata: per molti altri infatti era inaccettabile che gli Alleati, i “liberatori”, potessero sparare sulla gente inerme. Per molti di coloro che vivevano il dramma dell’occupazione sulla propria pelle era meno difficile credere i nazifascisti responsabili di simili nefandezze, anche se contrario alla logica. Del resto la sua apparente ossessione per le luci poteva suggerire che il suo scopo fosse il controllo del coprifuoco, e ciò avvalorava la tesi di un velivolo tedesco:

«Guai la luce. Buttava giù la bomba per fare spavento. Era un aereo tedesco»

Lucia di Casalbuttano (Cremona)[7]

I più arguti arrivarono ad ipotizzare che le incursioni di Pippo fossero un piano dell’Asse per terrorizzare la popolazione e riversare la colpa sugli angloamericani.[18] Sicuramente la propaganda fascista non si lasciò scappare questa opportunità di infangare il nemico; la stampa di regime attribuiva infatti a Pippo paternità badogliana:[19] niente di peggio di un aereo italiano pilotato da italiani passati con il nemico, traditori quindi capaci di indicibili bassezze come lanciare penne stilografiche esplosive, dolciumi avvelenati, palloncini all’iprite ed altri subdoli ordigni per colpire i bambini (si vedano articoli come «Il barbaro nemico» in La Domenica del Corriere del 16 maggio 1943, p. 3 e «Pippo» in Il Popolo Vicentino del 23 febbraio 1945, p.2).[20] Ma tale campagna di terrorismo psicologico contrastava con le testimonianze di chi, anziché palloncini all’iprite, si vide lanciare invece viveri e denaro,[21] probabilmente destinati a supportare i partigiani ma che alimentarono l’idea che Pippo fosse un aereo “amico”.[22] Le “voci di popolo” dicevano che si trattasse di «un soldato italiano passato con gli alleati»,[23] a Forlì si diceva che fosse un romagnolo, forse addirittura un forlivese.[24] A poco a poco si fece strada un’ipotesi ancor più fantastica, quella dell’aviatore solitario, né tedesco né angloamericano, che portava avanti chissà quale personale missione:

«Dicevano che fosse un tipo un po’ strano antitedesco e antifascista che voleva fare del casino. […] Lo si sentiva ronzare e ronzare, ed era un aereo che faceva sì e no centoventi-centocinquanta chilometri all’ora. Quindi non poteva essere un caccia ma poteva essere un Piper, cioè un aereo da piccolo turismo che poteva servire anche da ricognizione. […] Comunque Pippo è sempre stato un mistero»

G. Borrini di Novara, ingegnere[9]

Ad una figura che sembra richiamare al mito futurista delle incursioni dannunziane (1917-1918) tanto esaltate durante il ventennio, si adatta meglio l’immagine di un velivolo piccolo e sfuggente, forse un Piper,[25] uno Storch[26] o addirittura un poetico biplano dalla cabina aperta alla Antoine de Saint-Exupéry:

«Pippo dai racconti di mia madre, lo immagino come un pilota che vola su un aereo di quelli aperti, quindi con la testa fuori, gli occhiali, casco e la sciarpetta svolazzante. È un amico, è buono. Naturalmente si deve spegnere la luce e fare tutto quello che si deve fare per non essere bombardati. Ma fatto questo, si può uscire senza pericolo dal rifugio antiaereo a vedere questo aereo solitario che passa di notte. È insomma come se Pippo avvertisse dei pericoli. Non ha mai bombardato.»

Margherita P. di Novara[27]

Fieseler_Fi156

3 – Alcuni testimoni identificarono Pippo nel Fieseler Fi 156 “Storch”(foto), secondo altri poteva trattarsi invece di un Piper L-4 “Grasshoppher”.

Soprattutto nelle zone rurali, più raramente colpite dalle bombe notturne, Pippo divenne così un’istituzione, una presenza benevola per quanto nessuno si azzardasse a sfidarla accendendo una lanterna. Pippo fu annunciatore di pericoli, un aereo “buono” che cercava di limitare le vittime dei bombardamenti dando la possibilità di mettersi al riparo, guadagnandosi così il soprannome di “Pippetto l’Annunciatore” (in Toscana[28]) immagine forse suggerita da occasionali testimonianze dell’arrivo di “veri” bombardieri dopo il suo passaggio.[28] Una figura che si prestava a rielaborazioni fantastiche, come nel racconto di un testimone di Guastalla a cui l’aviatore, dall’abitacolo aperto dell’aereo, avrebbe urlato di correre a nascondersi, naturalmente nel dialetto locale: «state logheti!»[2] – nascondetevi! Quello emiliano non fu un caso isolato, e racconti simili (sebbene non frequenti) si udirono anche in altri luoghi, ad esempio nei racconti di una donna di Matera che non vide il pilota ma udì gli avvertimenti dell’aeroplano: «Nascondetevi, nascondetevi che qui si bombarda, nascondetevi, nascondetevi che si muore, si muore».[2] In altre testimonianze la “voce” di Pippo si manifestava nella forma di lanci di volantini[29] che avvisavano la popolazione di un imminente bombardamento.[30] Pippo era entrato di diritto nel folklore: pilota e macchina finirono per fondersi in una creatura mitica, un centauro metà uomo metà aeroplano. Alla gente piaceva immaginarlo così e lo stesso nomignolo, “Pippo”, aiutava ad esorcizzare la paura della guerra, così come il rito scaramantico di nascondere ogni luce per non “attirare” le bombe. La sua presenza oscura e misteriosa, spaventosa ma in fondo simpatica, finì per sostituirsi in tempo di guerra a quella del “babau” o dell’uomo nero, mostro indefinito invocato per spaventare i bambini e convincerli, se non a dormire, perlomeno ad acquietarsi. La frase di rito diventava così «guarda che se non spegni la luce arriva Pippo!»[2] ed all’aereo furono dedicate anche numerose filastrocche:

A mezzanotte in punto passava un aeroplano
e sotto c’era scritto “Pirulin Pirulin stai zitto!”[31]

La memoria del fantasma notturno sopravvisse nel nome di un prodotto per la pulizia della della casa, i cui spot pubblicitari[32] divennero un’icona della cultura televisiva italiana degli anni ’80 e ’90: “Pippo la scopa”, così chiamata da Filippo Salviato, fondatore dell’azienda veneta che la produceva, in ricordo «dell’aereo incursore tedesco (sic) che in tempo di guerra sorvolava l’alta Italia».[33]

Ww2_europe_map_italy_june_until_december_1944

4 – L’italia settentrionale nel 1944 (West Point U.S. Military Academy).

Chi (o cosa) era davvero Pippo

Finita la guerra, Pippo scomparve, rimanendo un mistero nella memoria di molti di coloro che la notte ne ascoltavano con apprensione il passaggio: chi sopravvisse al conflitto aveva ben altri fantasmi con cui imparare a convivere e del misterioso aeroplano sembrano essere rimasti solo aneddoti folkloristici di scarso interesse per un paese che ormai pensava alla ricostruzione. Pippo sarebbe rimasto un mistero, a poco a poco dimenticato o confuso con la leggenda e forse si sarebbe anche dubitato della sua esistenza; sennonché la burocrazia militare è un setaccio troppo fine anche per un fantasma, che vi aveva infatti lasciato chiare tracce: Pippo è esistito, ed era britannico. Il nome ufficiale dell’operazione era “night intruder” (intruso notturno) e la responsabilità delle missioni era del Bomber Command della Royal Air Force, che disponeva di tre squadriglie ad hoc: la 225ª, 226ª e 600ª. Nell’ottica di uno sforzo militare congiunto, anche l’aviazione statunitense mise a disposizione tre squadroni, il 414º, 415º e 416º sicché la missione era britannica ma il velivolo poteva essere americano. Lo scopo era di effettuare continue azioni notturne di disturbo oltre le linee nemiche: una strategia messa in atto anche sul fronte dell’Europa nordoccidentale (dove furono impiegati anche aerei canadesi -vedi f.1).

Winston_Churchill_discussing_the_battle_situation_in_Italy

– Monte Maggio, 26 agosto 1945: il primo ministro britannico Winston Churchill, al centro, discute la situazione bellica in Italia con il comandante dell’ottava armata, il generale di corpo d’armata Sir Oliver Leese (a sinistra) ed il Supremo Comandante Alleato per il Mediterraneo, il generale Sir Harold Alexander.

Qualcuno lo vide anche, il “Pippo”, dato che iniziava i propri sorvoli all’imbrunire quando c’era ancora abbastanza luce, ma alla maggior parte delle persone bastava il rumore del motore per correre a nascondersi. Tra i pochi che lo videro, non molti avevano le conoscenze necessarie a formulare ipotesi sul tipo di aereo anche se qualcuno, magari un po’ più esperto, ipotizzò che fosse un monomotore, come lo Storch.[][26] Volare per ore in notturna sopra il territorio nemico trasportando bombe non era però un compito assolvibile da un piccolo ricognitore. Nel ruolo del “Pippo” furono invece impiegati aerei ben più pesanti: uno dei primi fu il caccia pesante Bristol Type 156 Beaufighter -detto “il Beau”- presto affiancato dal più moderno De Havilland DH-98 Mosquito, un efficiente caccia bombardiere multiruolo dalla struttura in legno; caratteristica questa che gli fruttò il poco rispettoso soprannome di “Termite’s Dream”, il sogno delle termiti.[34]

Bristol-Beaufighter

– Un caccia pesante Bristol Type 156 “Beaufighter” della Royal Air Forces: uno dei primi “Pippo”.

De Havilland Mosquito B.XVI, Royal Air Force 1944

7 – Un caccia bombardiere de Havilland Mosquito B.XVI della Royal Air Force.

Oltre a questi due, è riportato l’impiego in missioni “Night Intruder” di almeno altri quattro modelli di aereo:[35] il Douglas A-20 “Havoc”,[36] comunemente noto come “Boston”, il Douglas A-26 “Invader”, il Northrop P-61 “Black Widow” ed il Martin 187 “Baltimore”, noto anche come “A-30”.

A-20_Boston_in_flight

8 – Douglas A-20 Havoc/Boston, bombardiere leggero e caccia notturno (USAF).

Douglas_A-26_Invader

9 – Douglas A-26 Invader, bombardiere medio (USAF).

Northrop_P-61_green_airborne

10 – Northrop P-61 Black Widow (vedova nera), caccia notturno (USAF).

Martin_A-30A

11 – Martin 187 Baltimore IV/V (A-30A), bombardiere (RAF).

Com’era possibile che questi aerei volassero apparentemente indisturbati sopra una vastissima area (tutto il Norditalia) occupata dal nemico? La contraerea italiana era scarsa e concentrata intorno agli obiettivi strategici (città, stabilimenti), sicché gran parte del percorso di “Pippo” era relativamente sicuro. Inoltre, il radar dava ai britannici una schiacciante superiorità nel volo notturno: negli ultimi due anni di guerra, grazie a questo dispositivo, gli aerosiluranti della Royal Air Force stavano conducendo una vera “pesca miracolosa” di U-Boot tedeschi nell’Oceano Atlantico. Non che le forze dell’Asse non conoscessero la radiolocalizzazione, ma la padronanza della tecnologia raggiunta dagli alleati era decisamente superiore,[37] anche a causa delle diffidenza dei piloti italiani che non riposero mai molta fiducia nei rudimentali “attaccapanni”,[37] i radar avioportati di fabbricazione tedesca.

Me110G4

12 – Un caccia multiruolo tedesco Messerschmitt Me 110G-4 equipaggiato con gli “attaccapanni”, le vistose antenne del radar FuG 220 e -sulla punta della fusoliera- l’antenna più piccola del radar a corto raggio FuG 202. Questo esemplare porta insegne britanniche (si nota la coccarda sotto la semiala) perché catturato e riutilizzato dalla Royal Air Force.

Proprio per questo motivo, infine, l’aeronautica repubblichina non disponeva quasi del tutto di caccia in grado di volare di notte,[38] se non con la luna piena, e che potessero quindi contrastare le incursioni dei “Pippo”. Nonostante ciò le missioni night intruder non erano esattamente delle passeggiate: gli aerei, da tre a cinque per notte (fino ad una dozzina[39]), decollavano da Falconara o Foggia, percorrevano centinaia di chilometri in volo strumentale con ogni condizione meteorologica per raggiungere ciascuno un’area assegnata, un quadrato di 50[40]-70[38] km di lato di cui venivano fornite le coordinate del punto centrale. Qui l’aereo iniziava il pattugliamento seguendo un tragitto a spirale quadrata, mantenendo una quota di 3000-3500 metri[38] ed una velocità di circa 300 km/h, prima verso l’esterno e poi di nuovo verso il punto centrale, per poi rientrare. Per aumentare l’autonomia di volo gli aerei erano armati con bombe leggere,[41] da cui le “bombette” o “spezzoni” ricordate dai testimoni.[42]

De_Havilland_Mosquitoat_night_takeoff

13 – Foggia, 6 novembre 1944: un de Havilland Mosquito NF Mark XIII del 256º Squadrone della Royal Air Force decolla per una missione “night intruder” sull’Italia settentrionale: è Pippo. Foto: (Sgt) W.A. Jones, RAF.

Sulla reale strategia che stava dietro alle missioni, ci sono tutt’ora opinioni divergenti: la tesi comunemente accettata vede “Pippo” strumento di una guerra psicologica finalizzata a fiaccare il nemico, facendo perdere il sonno alla maestranze, minando la sicurezza delle truppe e la fiducia della popolazione nella neonata Repubblica Sociale Italiana,[11] che si dimostrava incapace di garantire la sicurezza del territorio. Tuttavia, secondo Allan R. Perry,[41] docente di letteratura italiana alla Pennsylvania State University che servì come capitano della sanità militare alleata a Vicenza, questo sarebbe invece stato un obiettivo secondario o addirittura collaterale: dai documenti della Mediterranean Allied Air Forces non risulta alcuna direttiva ufficiale che comandava ai bombardieri notturni di colpire la popolazione civile. Piuttosto, sostiene Perry, i bersagli primari erano le colonne di automezzi, le vie di comunicazione, ponti, strade, scali ferroviari, piste di decollo. Le missioni “night intruder” sarebbero state quindi strumentali all’operazione “Strangle”, con la quale gli Alleati tentavano di tagliare le vie di rifornimento dietro le linee nemiche.[41] Questo spiegherebbe oltretutto la differente percezione del pericolo da parte dei testimoni: chi abitava nei dintorni delle città, dove spesso erano concentrati gli obiettivi di interesse strategico, aveva maggiori probabilità di essere colpito, anche accidentalmente. Al contrario gli abitanti delle aree rurali o di scarso interesse, quindi più raramente bombardate, ricorderebbero “Pippo” come un ricognitore notturno che non bombardava quasi mai. Verso l’epilogo della guerra, quando ormai non restava quasi più nulla da colpire, allora l’effetto divenne più psicologico in quanto il “Pippo” si limitava per lo più a fare presenza.[38] Non è tuttavia da escludere che in alcuni casi la direttiva di bombardare le luci fosse stata impartita in maniera ufficiosa da qualche superiore senza che ne fosse rimasta traccia documentale, o più probabilmente che la comparsa fugace della luce di una porta aperta -nel buio completo delle campagne italiane del ’43-’45- potesse essere scambiata per quella dei fari di un veicolo, suggerendo la presenza di una autocolonna. «Gli autisti avevano preso l’abitudine, proprio per non essere individuati, di viaggiare a fari spenti ma occasionalmente erano costretti ad accenderli» spiega Giovanni Melappioni, scrittore e storico «per colpire obiettivi a terra si andava solo ed esclusivamente a vista, quindi spegnere le luci era anche una questione strettamente pratica, per i militari come per gli abitanti delle campagne.»

Italien, motorisierte Truppen

14 – Italia, 1943: un autocarro OM Ursus italiano con i fanali oscurati per ridurre la probabilità di avvistamento dagli aerei in volo. Foto: Bundesarchiv.

Va poi detto che, per estensione, la gente iniziò a chiamare “Pippo” ogni aereo solitario: dai monomotori Westland Lysander che volavano di notte -senza bombardare- per portare i rifornimenti ai partigiani,[38] ai micidiali P-38 “Lightning” che mitragliavano le ferrovie in pieno giorno (detti al Sud “Ciccio ‘o Ferroviere”) e che nulla avevano a che vedere con le missioni “Night Intruder”. Come si spiegano però testimonianze inverosimili come quella secondo cui il pilota avrebbe urlato alla gente di nascondersi in dialetto emiliano? Risponde il professor Armando De Vincentiis, psicologo: «La spiegazione più ovvia è che nel tempo i ricordi vengano rielaborati sulla base del proprio credo personale». In altre parole, se una persona amava ricordare Pippo come annunciatore di pericoli, amico della popolazione, avrà inserito senza alcun problema nella ricostruzione mnemonica oggetti ed elementi che appartengono all’immaginario o alla leggenda. Un po’ come succede oggi con i fantomatici “dischi volanti”, insomma.

Note

  1. [1]Archivio Cesare Bermani, nastro 333: testimonianza orale di Mario Bermani, ingegnere, nato a Novara nel 1908, registrata a Novara il 17 settembre 1998.  Da Bermani (op. cit.)
  2. [2]Colombara, F. in Patria (op. cit.)
  3. [3]Racconti di mio padre Angelo Dell’Acqua, classe 1936, che ha trascorso l’infanzia nella zona di Bereguardo (PV). All’epoca di Pippo aveva tra i 7 ed i 9 anni.
  4. [4]Ines Montemazzani di Venezia, riportato da Colombara, F.  in “Patria”, 10-2012 pag.27 (op. cit.)
  5. [5]Luigi Gavioli di Curtatone, riportato in Bermani, pp. 244-245 (op. cit.)
  6. [6]Gli “spezzoni” erano un tipo di bomba incendiaria a basso costo e di facile produzione,  costituita da un pezzo di tubo metallico riempito di esplosivo e materiale infiammabile
  7. [7]Anna Tamassia di Serravalle Po, riportata da Colombara, F.  in Patria pag. 27 (op. cit.)
  8. [8]geom. Luigi Quaroni di Pavia 15/04/2013. Testimonianza orale raccolta dall’autore.
  9. [9]Archivio Cesare Bermani, nastro 338, testimonianza orale di Geo Borrini, ingegnere, nato a Novara nel 1911, registrata a Stresa il 03/10/1998. Bermani, p. 236 (op. cit.)
  10. [10]Maria Salvi di Milano, archivo Bermani, nastro 204. Dalla trasmissione radiofonica La notte dei misteri, RAI Radio 3 del 11/01/1997
  11. [11]La repubblica Sociale Italiana, detta anche informalmente “Repubblica di Salò”, era lo stato-fantoccio fascista che controllava l’Italia centro-settentrionale sotto l’egida della Germania nazista dopo che il Regno d’Italia aveva concluso il 3 settembre 1943 l’armistizio di Cassibile con le forze anglo-americane.
  12. [12]Irene Perlini di Reggio Emilia, riportata da Colombara, F.  in Patria pag.27 (op. cit.)
  13. [13]Bermani, pp. 250-251 (op. cit.)
  14. [14]C. Bermani (op. cit.)
  15. [15]Testimonianza orale di Flavia Tosi, nata a Novara nel 1922, già ostetrica ed ex partigiana matteottina, registrata ad Orta S.Giulio, 16/07/1995. Archivio Cesare Bermani, nastro 834. Da Bermani p.235 (op. cit.)
  16. [16]Martino De Lazzari di Signoressa di Trevignano, ricerca di Luigi di Noia e Rossana Cillo. Da Bermani, p. 251 (op. cit.)
  17. [17]Archivio Cesare Bermani, nastro 180: testimonianza di Vanni Oliva, nato a Milano nel 1932 (insegnante di lettere), raccolta a Suna il 27/05/1996.  Da Bermani, p. 236 (op. cit.)
  18. [18]Padre Martino Marosci, monaco benedettino presso il Monastero di San Giovanni Evangelista (Parma) in «Bombe di Pippo su San Giovanni», Gazzetta di Parma, 5 giugno 2000. Riportato in Bermani, p. 240 (op. cit.)
  19. [19]Coccarde Tricolori, supplemento del Giornale dell’Aviatore. Da Bermani (op. cit.).
  20. [20]Bermani, pp. 231-232 (op. cit.)
  21. [21]Bermani, p. 252 (op. cit.)
  22. [22]A sganciare viveri e denaro non era il “Pippo” propriamente detto, quello che bombardava, ma un aereo preposto a tale scopo (v. Bermani, op. cit. p. 257). Per la gente, però, tutti gli aerei solitari erano “Pippo”.
  23. [23]Archivio Cesare Bermani, nastro 337: testimonianza orale di Franco Pareschi, nato a Galliera nel 1928, registrata a Galliera il 30/09/1998. Bermani, p. 236 (cit.)
  24. [24]Mambelli, Antonio. Diario degli avvenimenti di Forlì ed in parte di Romagna dal 1939 al 1945, diario inedito conservato presso la Biblioteca Comunale di Forlì, vol.III p. 10, cit. in Perry, Alan R. “Era il nostro terrore: Indagine sul mito di Pippo” in Italia Contemporanea n°225, dicembre 2001, p. 554. Bermani, p.242 (op. cit.)
  25. [25]Piper L-4 “Grasshopper”: era la versione militare, da ricognizione e collegamento, del famoso velivolo leggero.
  26. [26]Il Fieseler Fi 156 “Storch” (“cigogna”).
  27. [27]Margerita Podestà, nata a Novara nel 1954, registrata ad Orta S.Giulio il 19/07/1995 da Bermani, p. 236 (op. cit.)
  28. [28]Bermani, p. 256 (op. cit.)
  29. [29]Ancora, forse, una reminescenza dannunziana?
  30. [30]Bermani, p. 238 (op. cit.)
  31. [31]Bermani, p.247 (op. cit.)
  32. [32]Spot della scopa “Pippo”, anni ’90, con l’attrice Monica Scattini: video. Promozione durante il programma TV “Luna di Miele”: video.
  33. [33]Focus Storia (op. cit.)
  34. [34]Goebels, Greg. “[2.0] Mosquito In Service / Foreign Users.” AirVectors. Web. 07-7-2013.
  35. [35]Secondo la rivista Aerei nella storia, come riportato da Chiarini, G. in “Pippo“, Consandolo. Associazione Ricerche Storiche Consandolo, Argenta (FE). Consultato il 26-3-2014.
  36. [36]L’impiego del Douglas A-20 in operazioni Night Intruder nell’Europa nordoccidentale è riportato anche dal Imperial War Museum di Londra.
  37. [37]Lembo, D (op. cit.)
  38. [38]Bermani, p.257 (op. cit.)
  39. [39]Bermani, p.263 (op. cit.)
  40. [40]Bermani, p.260 (op. cit.)
  41. [41]Bermani, p.259-260 (op. cit.)
  42. [42]La questione era anche tattica: non avendo di notte bersagli chiari, si utilizzavano munizioni a grappolo (cluster) che massimizzavano l’area di impatto, anche a costo di danni minori. Proprio per tale caratteristica, oltretutto, erano particolarmente adatte a danneggiare autocolonne, aviosuperfici e scali ferroviari.

Bibliografia e fonti

Ringrazio, per la stesura del presente articolo, mio padre Angelo Dell’Acqua di Bereguardo, il geom. Luigi Quaroni e la sig.ra Angela Bertoni di Pavia per i racconti e le testimonianze; nonché l’amico Giovanni Melappioni, scrittore e storico, ed il prof. Armando De Vincentiis per le consulenze storiche e tecniche.

Immagini

  1. Un Douglas A-20 “Havoc” Mark III del 418º Squadrone RCAF a Bradwell Bay, nell’Essex, pronto a decollare per una missione “night intruder” sull’Europa nordoccidentale tra 1939 ed il 1945). Royal Air Force,1939-1945: [PD] Imperial War Museum (CH7211).
  2. Freytag, 1944 [CC-BY-SA 3.0] Bundesarchiv, Bild 101I-477-2106-07.
  3. da Cooper, H.J, O.G. Thetford, D.A. Russell. Aircraft of the Fighting Powers Vol. II. Leicester, England: Harborough Publishing Co, 1941. [PD] Commons.
  4. West Point United States Military Academy [PD] Commons.
  5. Cap. Tanner, 26-8-2945 [PD] Imperial War Museum/Commons.
  6. Royal Air Force, 1939-45: Beaufighter del 272° Squadrone RAF in volo sopra Malta. [PD] Imperial War Museum (CM 5105).
  7. Royal Air Force, 30-9-1944:  de Havilland Mosquito B.XVI (numero ML963) del “571 Squadron” in volo appena dopo la riparazione ad Hatfield [PD] Commons.
  8. US Air Force: Douglas A-20G-20-DO No.57 (S/N 42-86657) [PD] USAF Museum.
  9. US Air Force: Douglas A-26 Invader [PD] Commons.
  10. US Air Force: Northrop P-61A del 419th Night Fighter Squadron [PD] Commons.
  11. US Air Force: Martin 187 Baltimore IV/V della Royal Air Force [PD] USAF Museum (051122-F-1234P-023).
  12. Royal Air Force: Messerschmitt Me 110G-4 [PD] Commons.
  13. (Sgt) W.A. Jones, Royal Air Force, 6-11-1944 [PD] Imperial War Museum/Commons.
  14. Funke, 1943 [CC-BY-SA-3.0] Bundesarchiv, Bild 101I-305-0654-32/Commons.
Over de auteur

Silvio DellʼAcqua

Facebook Twitter

Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.