Lo chiamavano “Hiroshima”

In Militaria, Sottomarini, Storia di Alessio Lisi

K-19

1 – Il K-19.

Nel novembre del 1957 gli Stati Uniti avevano ultimato la chiglia di quello che sarebbe diventato il sottomarino USS George Washington, il primo sottomarino a propulsione nucleare dotato di missili balistici atomici. L’Unione Sovietica era indietro e il suo leader Nikita Chruščëv non ne voleva sapere di concedere un tale vantaggio strategico agli USA: bisognava fare presto e a tutti i costi nonostante i dubbi della marina militare. L’URSS infatti aveva già avviato nel 1955 la costruzione dei sottomarini a propulsione nucleare con il K-3 Leninskij Komsomol, primo sottomarino della classe “Progetto 627” (per la NATO classe “November”[1]) entrato in servizio nel luglio del 1958, ma oltre ai diversi problemi tecnici non erano in grado di lanciare i missili balistici. I sovietici idearono quindi la classe “Progetto 658” (per la NATO classe “Hotel”) riprendendo la tecnica del Progetto 627 su cui innestare la capacità di lancio di missili balistici come i sottomarini a propulsione diesel della classe “Progetto 629” (per la NATO classe “Golf”).

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2 – Il K-19 era un sottomarino nucleare “classe 658”, “Hotel I” per la NATO.

Il 17 ottobre 1958 era così pronta la chiglia del sottomarino sovietico che avrebbe pareggiato i conti con lo USS George Washington: il K-19. Il sottomarino non ebbe fortuna fin dalla fase di costruzione nei cantieri di Murmansk: due uomini perirono in un incendio, sei donne rimasero soffocate dai fumi mentre applicavano l’isolante, un elettricista morì schiacciato da una copertura per i tubi dei missili, un ingegnere morì cadendo tra due compartimenti. Una volta completato lo scafo venne approntata la cerimonia per il varo previsto per l’8 aprile 1959. La cerimonia prevedeva che fosse un uomo (e non come da tradizione una donna) ad effettuare il lancio: la bottiglia però rimbalzò sullo scafo senza rompersi e per i marinai presenti l’antica credenza indicava un cattivo auspicio. Il sottomarino presentò diversi malfunzionamenti fin dai primi test in acqua tra il luglio e il novembre del 1960. Durante uno di questi test mentre il sottomarino navigava alla massima profondità operativa, circa 300 metri, il vano del reattore fu inondato da un perdita d’acqua causata da una guarnizione sostituita in modo non corretto; il capitano Nikolai Vladimirovich Zateyev diede l’ordine di svuotare tutte le zavorre e il sottomarino riuscì a riemergere su un lato. Zateyev era stato designato capitano del K-19 mentre il sottomarino era ancora in costruzione e -come tanti altri ufficiali della Marina- nutriva molti dubbi sull’opportunità di una produzione di sottomarini così frettolosa. Seppure dell’opinione che il K-19 non fosse adatto al combattimento, si impegnò in ogni caso a formare un equipaggio esperto e pronto al combattimento per tenere alto il prestigio della Flotta del Nord, insignita dell’ordine della Bandiera Rossa.[2]

k-19 route

3 – Il percorso del K-19 nella prima tragica missione

Ultimati i test il K-19 intraprese con 139 uomini a bordo (tra cui il Vasilij Aleksandrovič Archipov che l’anno successivo si sarebbe imbarcato sul B-59 per l’operazione Kama) la sua prima missione il 18 giugno 1961: un wargame[3] in cui farà la parte di un sottomarino americano. La missione prevedeva che il K-19 arrivasse prima nell’Oceano Atlantico senza farsi scoprire dalle forze NATO e poi, una volta ricevuto il segnale da Mosca, navigasse sotto il ghiaccio polare fino ad arrivare nel mare di Barents, dove avrebbe dovuto simulare un attacco missilistico all’Unione Sovietica. Le prime due settimane della missione furono tranquille, il K-19 raggiunse la Groenlandia e tutto l’equipaggio festeggiò il trentacinquesimo compleanno del capitano Zatayev con gelato e doppia razione di vino, in attesa dell’ordine di partenza dal comando di Mosca. Il 4 luglio 1961, alle 4:15 del mattino mentre il K-19 navigava a centosessanta chilometri al largo dell’isola norvegese di Jan Mayen, scattò l’allarme: la pressione dell’acqua nel circuito del reattore di dritta era pari a zero. Il sistema di raffreddamento non funzionava più e la temperatura delle barre di combustibile nucleare rischiò di salire senza controllo. La situazione era da incubo: il sottomarino si trovava a duemila quattrocento chilometri dalla base, rischiava di esplodere e non c’erano procedure conosciute per una situazione del genere. Il capitano ordinò di emergere in superficie per chiedere aiuto a Mosca, ma l’antenna radio non funzionava. Zatayev, insieme ad altri, aveva più volte fatto pressioni per l’installazione di sistemi di raffreddamento secondari proprio per scongiurare una situazione del genere e ora, perfida ironia della sorte, lui e il suo equipaggio dovevano cavarsela da soli in qualche modo. Purtroppo non c’era altro modo che entrare nel vano del reattore, detto anche la “bocca del boa”, con il rischio di esporsi ad una dose letale di radiazioni e riparare il guasto convogliando l’acqua potabile di scorta per l’equipaggio. Otto uomini guidati dal comandante di manovra Yuriy Povstyev si offrirono volontari per alternarsi nelle riparazioni. L’aria, il vapore, la pozza d’acqua, qualsiasi cosa dentro la bocca del boa emanava radiazioni letali ma i marinai vi rimasero per due ore finché, proprio quando la temperatura delle barre di combustibile aveva ormai toccato il punto di fusione, l’improvvisato e disperato sistema di raffreddamento cominciò a funzionare. Il pericolo di esplosione fu scongiurato ma tutto l’equipaggio del K-19 era ancora in pericolo per via del diffondersi delle radiazioni a tutto il sottomarino. Il capitano Zatayev era consapevole che non potevano navigare in quelle condizioni fino alla base nella Baia di Kola. Due ufficiali suggerirono a Zatayev la possibilità di abbandonare la nave ma il capitano non ne volle sapere e decise di correre un rischio: far rotta verso sud, nella speranza di ricongiungersi agli altri mezzi coinvolti nella simulazione che avrebbero dovuto trovarsi ancora in quelle acque. Zatayev ordinò inoltre di dare una razione di liquore a tutti i marinai perché convinto che l’alcool potesse avere un effetto sull’assorbimento delle radiazioni: pensò che in fondo, anche se così non fosse, un po’ di “coraggio liquido” all’equipaggio non avrebbe fatto male. Dopo circa otto ore di navigazione il K-19 non aveva ancora incontrato navi amiche e a Zatayev non restò che ordinare di invertire la rotta verso nord. Poco dopo il cambio di rotta il K-19 avvistò il sottomarino S-270: era la salvezza. Zatayev salì sul S-270 e contattò Mosca; tranne 60 uomini essenziali per le manovre del K-19 tutti gli altri membri dell’equipaggio furono evacuati; non avendo mezzi e conoscenze adeguate per soccorrere gli uomini gravemente avvelenati dalle radiazioni i loro colleghi del S-270 provarono a de-contaminarli con l’acqua bollente. Il K-19 tuttavia era troppo pesante per essere rimorchiato dal solo S-270 e altri due sottomarini, lo S-159 e lo S-268, giunsero per trainarlo fino a Murmansk. Con l’arrivo degli altri due sottomarini il K-19 venne evacuato del tutto e il capitano Zatayev fu l’ultimo a lasciare la nave. Nell’operazione di salvataggio furono coinvolte altre navi sovietiche e alla fine l’equipaggio e il K-19 arrivano a Polyarnyy, sul fiordo di Murmansk, rispettivamente il 9 e il 10 luglio 1961.

Polyarnyy, sul fiordo di Murmansk, dove fu riparato il K-19.

Una volta attraccato il K-19 con le sue radiazioni contaminò tutto quello che c’era nel raggio di 700 metri. A seguito della dose letale di radiazioni gli otto uomini che lavorarono al reattore morirono in pochi giorni.[4] Altri quattordici uomini morirono nel giro di due anni. Tutti gli altri centodiciassette uomini ebbero diverse malattie legate alle radiazioni. L’inchiesta avviata dalle autorità sovietiche sollevò Zatayev e il suo equipaggio da ogni responsabilità; l’incidente fu coperto dal segreto di stato e per questa ragione le motivazioni delle onorificenze, che furono date ad alcuni membri ma non a tutti, risultarono generiche. Una volta decontaminato e riparato il K-19, ribattezzato Hiroshima[5] dai marinai, tornò nuovamente in servizio nel 1964. Il sottomarino ebbe però altri incidenti:

  • nel novembre del 1969, mentre era in navigazione, ebbe una collisione con il sottomarino americano USS Gato che lo stava pedinando;
  • nel febbraio del 1972 una perdita idraulica causò un grave incendio che costò la vita a ventotto uomini;
  • negli anni successivi scoppiarono altri due incendi ma senza causare vittime.

2190662Il K-19 ha terminato il suo servizio nel 1991 ed è stato smantellato nel 2002, lo stesso anno in cui uscì il film K-19: The Widowmaker che in Russia suscitò non poche polemiche. Il K-19 ha avuto quindi una storia travagliata, non certo per colpa del varo non riuscito ma solo per errori umani a diversi livelli; inoltre a differenza di molti altri sottomarini, sia sovietici sia statunitensi, ha avuto una lunghissima vita operativa completando il proprio ciclo con lo smantellamento. Resta altresì indubitabile che se il K-19 non esplose con conseguenze incalcolabili, come sarebbe accaduto a Černobyl’ venticinque anni più tardi, lo si deve solo al coraggio di otto marinai.

Note

  1. [1]I veri nomi dei veicoli o armamenti sovietici erano spesso sconosciuti per motivi di segretezza, o quando anche fossero conosciuti potevano rappresentare un problema per la pronuncia, ostica ad un anglofono. Per questo motivo la NATO usava ribattezzare tutti i mezzi a disposizione del nemico con “nomi in codice” (NATO report name) facili da pronunciare in inglese. Ciò preveniva anche fraintendimenti nelle comunicazioni.
  2. [2]La “Flotta del Nord” (in russo: Северный флот, Severnyj flot) è una delle cinque flotte della Marina Sovietica, la stessa a cui apparteneva il B-59. La flotta è stata insignita dell’ordine della Bandiera Rossa e pertanto poteva fregiarsi del titolo nel nome, che diventava così “Flotta del Nord Bandiera Rossa” (Red Banner Northern Fleet). La sola squadra di sommergibili della Flotta del Nord era invece insignita anche dell’ordine di Ushakov.
  3. [3]Wargame: esercitazione militare. Così sono definite, in inglese americano, le esercitazioni che prevedevano lo scontro simulato tra due squadre.
  4. [4]Per gli autori del libro Immersione rapida (op. cit.) i marinai sono stati sepolti in bare di piombo.
  5. [5]Con riferimento alla prima bomba atomica sganciata sulla città giapponese di Hiroshima nel 1945; l’incidente di Černobyl’ (1986) non era ancora avvenuto.

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. Foto: U.S. Navy [PD].
  2. Mike 1979 Russia [CC-BY-SA-3.0] da Commons.
  3. © S.Dell’Acqua/Collaboratori di OpenStreetMap [CC-BY-SA 2.0]
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Alessio Lisi

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Tarantino di nascita e pavese di adozione. Il resto è coperto dal segreto di stato dell'isola di Laputa.