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regalo fatto in occasione di particolari festività, soprattutto il Natale o il Capodanno (XVI sec.) Dal latino strēna «regalo di buon augurio», secondo Elpidiano voce di origine sabina significante salute. Presso gli antichi romani, in età imperiale (dal I sec.), lo strēna era un dono scambiato tra i cittadini in occasione dei Saturnalia o calende di gennaio, ciclo di festività romane in onore del dio Saturno che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre e precedevano il Sol Invictus, o altre festività.

Successivamente il termine fu mutuato dall’editoria: già nel 1611 il matematico Giovanni Keplero enunciò la propria “congettura di Keplero” in un volumetto concepito come regalo natalizio,[1] intitolato Strena seu de nive sexangula (Strenna sul fiocco di neve a sei angoli). Fu nell’800, dapprima in Gran Bretagna (con i cosiddetti gift-book o keepsake) poi in Francia ed Italia, che la strenna editoriale si affermò come genere di successo: libri in edizioni con finiture di pregio, riccamente illustrati e spesso contenenti raccolte antologiche di prose, poesie, aneddoti e incisioni; prodotti editoriali destinati ad essere donati, in occasione delle feste di Natale e capodanno o per commemorare avvenimenti (come ad es. prime comunioni o matrimoni). Il nome strenna si è poi esteso genericamente ai doni festivi (come i “cesti” natalizi) o anche a tutto ciò che, pur non essendo un regalo o un oggetto, è correlato con la ritualità delle feste natalizie: eventi, mercatini (“mercatino delle strenne”), produzioni cinematografiche, viaggi (si parla ad esempio di “film-strenna” o “viaggi-strenna”, v. di seguito).
Snow–flakes: A chapter from the book of nature.

Snow–flakes: A chapter from the book of nature: un libro-strenna del 1863.



locuzioni

Il termine è utilizzato infatti anche in funzione di aggettivo in diverse locuzioni:

  • calendario-strenna: calendario che viene regalato da enti e istituzioni ai membri di una comunità, o da aziende e negozi a clienti e dipendenti.
  • cartolina-strenna: cartolina postale da inviare come augurio per le festività.
  • cesto-strenna: (più comunemente solo “cesto”) paniere pieno di prodotti alimentari che si regala per Natale; deriva dall’usanza rurale di regalare formaggi e salumi in segno di gratitudine e rispetto a persone ritenute importanti nella comunità, come il medico di famiglia o il parroco; poi dal datore di lavoro ai dipendenti.
  • film-strenna: film che esce in prossimità delle feste natalizie, prodotto volto a intercettare l’usanza di recarsi al cinema nel periodo di Natale (v. anche →cinepanettone, che è il tipo più nazionalpopolare di film-strenna).
  • libro-strenna: libro in edizione di lusso, pubblicato appositamente come regalo di Natale o altre festività, eredità della sopraccitata usanza delle strenne editoriali. Detto anche “libropanettone” (2012).
  • viaggio-strenna: viaggio che si effettua a Natale o durante le vacanze invernali.

  1. [1]Janner, Aloysio “De Nive Sexangula Stellata ” in Acta Crystallographica, IUCr/John Wiley & Sons, A53, 1997. pag. 615. PDF
  • strenna” in Pianigiani, Ottorino Vocabolario etimologico della lingua italiana, 1907
  • strenna” in Vocabolario online. Treccani. Web.
  • strenna” in Sabatini Coletti — Dizionario della lingua italiana, in Corriere della Sera / Dizionari. Web.
  • strenna” in Dizionario Hoepli in Repubblica.it. Web.

(s.m.) grafia italiana della parola suq o soûq  (arabo سوق‎ ), che indica il quartiere del mercato delle città arabe, il luogo deputato allo scambio delle merci.  In italiano il termine, attestato dal 1960, ha assunto per estensione anche il significato spregiativo di luogo caotico e disordinato, «dove si svolgono commerci e serrate contrattazioni» (Castoldi — Salvi).

Borse e occhiali sui tappeti: il suk di piazza Navona

Titolo in Corriere della Sera, 18 marzo 2006 pag. 5


Foto in alto: suk di Aswan, Egitto

(anche supercàzzola) nonsense, grammelot, parola o frase senza senso, insieme casuale di parole (anche inesistenti) il cui scopo è confondere l’ascoltatore. Per estensione anche sciocchezza, frase senza un costrutto logico detta — più o meno consapevolmente — in un contesto che ci si aspetterebbe serio.

Il termine supercàzzora è un neologismo derivato da una burla spesso praticata dai protagonisti fiorentini del film Amici miei (regia di Mario Monicelli, 1975) consistente nel confondere un malcapitato investendolo con frasi apparentemente forbite ma prive di senso, pronunciate velocemente e ostentando sicurezza. È lo stesso Mascetti (Ugo Tognazzi) a definire tale tecnica supercazzora in una scena del film, nella quale apostrofa l’amico Necchi (Duilio Del Prete) per averne interrotto l’esecuzione: «Senti, Necchi, tu non ti devi permettere di intervenire quando io faccio la supercazzora!». Il termine stesso è un leitmotiv della burla, una delle parole–grammelot più ricorrenti nelle supercàzzore di Tognazzi: siamo quindi di fronte ad una “sineddoche” nella quale una singola parola viene utilizzata ad indicare l’intera frase. Ad esempio: «Tarapia tapioco, brematurata alla supercàzzora o scherziamo!?». Dal film, il termine supercazzora — spesso storpiato in supercazzola — è entrato nel lessico popolare e giornalistico ad indicare una affermazione ampollosa e poco chiara, tipicamente nell’ambito della dialettica politica.

Anche la «supercazzola» divide la sinistra

La Stampa, 14/03/1993 n° 72 pagina 5

La versione trivializzata supercazzola sembra essere più diffusa rispetto all’originale per effetto di una lectio facilior: nelle battute del film la consonante è quasi indistinguibile e molti perciò intesero fosse una “l”; la maggiore facilità di pronuncia data dalla sostituzione della “r” con la “l” ha poi contribuito all’affermazione di supercazzola rispetto a supercazzora. Tuttavia, che la parola fosse originariamente concepita come supercazzora (con la “r”) è attestato dal libro Amici Miei (Rizzoli, 1976) degli stessi autori della sceneggiatura Leo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli (nel quale è riportato supercazzora) e da una scena del 3° film della serie (Amici miei – Atto III, 1985) dove si legge «La Supercazzora 69 presenta» nella schermata iniziale di un filmato ricevuto in videocassetta dall’architetto Melandri (Gastone Moschin).


Immagine: scena della “supercazzora al vigile” dal film Amici miei (1975) di Mario Monicelli.

sofferenza data dal desiderio continuo ed inappagato di qualcosa; dal mito greco di Tantalo, primo re della Lidia (o della Frigia) che, accusato di numerosi oltraggi alle divinità tra i quali il ratto di Ganimede, il furto del nettare e dell’ambrosia e dell’abominio di aver invitato gli dèi alla propria mensa e fatto loro servire carne umana di giovani ragazzi (secondo alcune versioni del mito, dei suoi stessi figli), fu condannato a patire in eterno la fame e la sete negli Inferi legato ad un albero carico di frutti ed immerso in un lago di acqua dolce, che però si ritraggono ogni volta che egli tenta di bere o di prendere i frutti. Secondo un’altra versione, il supplizio consisterebbe nel reggere un’intero monte sulla propria testa.


Sopra: 1630–1640 c.a Tantalus, dipinto ad olio di Gioacchino Assereto (1600 — 1649). Auckland Art Gallery (Commons).

(anche taffetta) tessuto di seta pregiato, liscio e brillante; in passato anche cerotto, nastro adesivo o erroneamente tela. Taffetà deriva in italiano, attraverso il latino medievale taffata,[1] dal persiano tâftah, participio passato del verbo tâftah «torcere, intrecciare, tessere»,[2] propriamente “tessuto”. Anticamente detto anche tafettàtaffettano, taffetano o tafettano. Oggi il termine taffetà è utilizzato anche genericamente per tessuti di filo continuo in armatura tela.[3]

Il tessuto taffetà è leggerissimo, caratterizzato da una armatura a tela e da densità di ordito superiore a quella di trama, dall’aspetto lucido e uniforme. ll taffetà fu particolarmente in voga durante il XVIII secolo per confezionare abiti raffinati e fruscianti, secondo il gusto rococò dell’epoca. In origine costituito esclusivamente da filati di seta, oggi anche da fibre sintetiche (fibre poliamidiche, poliesteri, raion) anche con effetto “stropicciato” (crinkle, solitamente in poliestere) il tessuto taffetà è usato specialmente per arredi, tendaggi, foderami e confezioni femminili. È possibile ottenere un aspetto iridescente usando in trama e in ordito filati di colori diversi.

Madame de Pompadour con abito in taffetà, ritratto

Madame de Pompadour con un prezioso abito in taffetà, ritratto del pittore François Boucher (1756).


Il taffetà è ritornato, e il surà e la faglia. Per il pomeriggio gonna e giacchetta di taffetà nero con cravattone nero e rosa, di quel tenue pallore rosato che va verso il lilla…

La rivista illustrata del Popolo d’Italia, 1934.

A Napoli esisteva la corporazione dei taffetanari, commercianti di taffetà e stoffe pregiate. La chiesa di San Biagio ai Taffettanari venne fondata nel XVI secolo come cappella dei mercanti di tessuti che risiedevano nella zona.

Tipi di uso comune nell’Ottocento

Già nel XIX secolo erano disponibili diverse varietà di questo tessuto, soprattutto in relazione all’area di produzione. Di seguito le principali denominazioni merceologiche e caratteristiche delle qualità di taffetà in uso all’epoca, registrate e descritte da un manuale commerciale del 1850:[4]

  • nero: pregiato, caratterizzato unicamente dal colore nero, può essere “alto” (più spesso) o “basso” (più sottile), lucido o opaco, più o meno resistente. I taffetà neri venivano classificati in base al numero delle “portate” ossia i dei fili dell’ordito.[5]
  • di Spagna: se ne producevano due tipi:
    • nero: lucido e solitamente spesso (ma talvolta anche sottile con la stessa qualità), ma più leggero e meno resistente del precedente;
    • azzurro: sottile, ma con la stessa qualità del nero.
  • d’Inghilterra: a dispetto del nome era tipicamente prodotto invece a Lione; molto resistente, utilizzato solitamente per foderami, arredi e tendaggi. Era prodotto in vari colori, anche rigato.
  • d’Italia o di Firenze: era una delle qualità più mediocri; sottile e prodotto in vari colori era utilizzato quasi esclusivamente per foderami. Tuttavia alcuni taffetà italiani erano di qualità «distintissime, pari alle lionesi».[4]
  • mezzo-Firenze: era una variante ancora più economica e grossolana del taffetà fiorentino.
  • d’Avignone: di vari colori, leggerissimo e ancora più sottile di quello di Firenze.
  • ermisino: tipo economico e di bassa qualità; di vari colori.
  • mezzo-ermisino: tipo ancor più economico dell’ermisino.
  • delle Indie: erano i taffetà fabbricati nelle cosiddette Indie orientali, caratterizzati da una grande varietà di colori, finitura e fantasie: lisci ed operati, rigati in oro, damascati, a fiori ecc… Tuttavia erano di qualità mediocre e fatti con poca seta: «in questi taffetà non vi è nulla di particolare fuorché la perfezione della mano d’opera.»[4]
  • della Cina: quelli prodotti in Cina e paesi asiatici, erano disponibili in una grande quantità di grammature e colori, compreso l’oro, anche a fantasie rigate o fiorate (taffetà chiné). In generale, essendovi in cina una grande produzione e commercio di taffetà «essendo questa stoffa di seta di generale uso», vi era anche «una svariata cognizione di tutte le diverse qualità di questa stoffa».[4]

Taffetà chiné

La denominazione taffetà chiné nel XIX secolo si riferiva ad un taffetà decorato con motivi a stampa, con la tecnica detta “chiné”: i motivi, spesso floreali, erano stampati sui fili di ordito prima della tessitura: ciò conferiva un caratteristico aspetto “sfocato”.[6]

Vestito di raso e di taffetà chiné in armoniche gradazioni di colore.

La Fantasia: giornale illustrato di mode e ricami – Volume 1 – Pagina 43 (1866)

Il termine chiné è un vocabolo francese che significa “della Cina”. Oggi il termine chiné si riferisce a tessuti di vario tipo (es: “velluto chiné”) che riproducono l’effetto di questa stampa o semplicemente utilizzano fili variamente colorati in matassa.

Taffetà adesivo

Anticamente, in farmacia, il taffetà era un filo finissimo impregnato di materie glutinose o vessicatorie[2] da applicare sulla pelle a scopo terapeutico. L’espressione taffetà cerato o taffetà adesivo indicava una sorta di cerotto, costituito appunto da tessuto taffetà rivestito di uno strato di cera:

  …il taffetà cerato (taffetas ceratus), che è taffetà coperto di uno strato di cera che si adopra come tegumento imperspirabile nelle neuralgie e nella miosite réumatica…

Cantani, Arnaldo Manuale di farmacologia clinica, 1855. Pag. 548

…a mezzo di cordoncino di seta o di taffetà adesivo assicurò ai bordi della ferita, cui appose una medicatura di Lister.

Annali universali di medicina e chirurgia, 1875. Pag. 259

Da qui, per estensione o similitudine, taffetà o taffetà adesivo per “cerotto” o “nastro adesivo” (oggi poco usato in questa accezione).

In altre lingue

La maggior parte delle voci nelle altre lingue deriva dall’italiano o dal latino, direttamente o indirettamente attraverso il francese.

  • azero: tafta.
  • bretone: taftas.
  • ceco: taft.
  • danese: taft.
  • estone: taft.
  • euskara (basco): tafeta.
  • francese: taffetas, dall’italiano o latino medievale.[1]
  • giapponese: タフタ (tafuta).
  • inglese: taffeta, taffety, taffata, dal francese antico taffetas (XIV sec.) a sua volta dall’italiano o latino medievale.:
    • crinkle taffeta: effetto stropicciato;
    • paper taffeta: molto sottile;[7]
    • velvet taffeta:
  • lituano: tafta.
  • neerlandese: taf, taft, taffet, taffetas o tafzijde.
  • norvegese: taft.
  • polacco: taft.
  • portoghese: tafetá.
  • russo: тафта (tafta), dall’italiano e/o francese.
  • spagnolo: tafetán, dall’italiano o catalano.[8]
  • svedese: taft.
  • tedesco: (der) Taft, (der) Taffet; esistono poi denominazioni specifiche per le varie tipologie, es:
    • Taftbroché: con disegni simili al broccato;
    • Taftchangeant: con trama e ordito di colori diversi che danno un effetto cangiante;
    • Taftchiffon: qualità molto leggera, simile allo chiffon;
    • Taftchiné: taffetà chiné, con stampa sull’ordito;
    • Taftécossais: a quadretti grandi;
    • Taftfaconné: con motivo a piccoli disegni operati (façonné[3][9]);
    • Taftfaille: a finitura fine;
    • Taftglacé: a finitura lucida, glacée (ghiacciata);
    • Taftimprimé: stampato;
    • Taftmoiré: con effetto moiré (marezzato[10]) ossia con effetto chiaro/scuro cangiante;
    • Taftquadrillé, con motivo quadrillé ossia a quadretti piccoli;
    • Taftrayé: con motivo raie ossia a righe;
    • Tafttoilé: trasperente, effetto velo;
    • Tafttravers: a righe incrociate;
    • Wachstaft: taffetà cerato, taffetà adesivo (cerotto).
  • turco: tafta, dal persiano.[11]

 


  1. [7]Douglas Harper (op. cit.)
  2. [2]Pianigiani, (op. cit.)
  3. [3]Glossario delle fibre tessili. Girofil, 28 Dic 2017. Web.
  4. [4]Stucchi (op. cit.)
  5. [5]Capalbo, Cinzia “Seta e moda. Dalla filiera della seta alla produzione tessile” nota 4, pag. 68.
  6. [6]Glossario” in Abiti Antichi. Web.
  7. [7]Shaeffer C. Claire Shaeffer’s fabric sewing guide, Cincinnati: Krause Publications. 2008. Pag. 246.
  8. [8]Diccionario de la lengua española.
  9. [9]Dizionario della Moda: F in Trama e ordito, 2010. Web.
  10. [10]Dizionario della Moda: M in Trama e ordito, 2010. Web.
  11. [11]Hasan Eren, Türk Dilinin Etimolojik Sözlüğü, Ankara 1999; pag 391.
  • Pianigiani, Ottorino “taffetàVocabolario Etimologico della Lingua Italiana, 1907. <etimo.it>
  • Stucchi, Adone Nuovo trattato teorico-pratico di corrispondenza commerciale… Pagg. 468-470.
  • taffettà” in Vocabolario online. Treccani. Web.
  • taffeta” in Online Etymology Dictionary. Douglas Harper. Web.

Foto in alto: tessuto taffetà (Unsplash).

punto debole, di una persona, una macchina, un sistema; dal francese talon d’Achille attestato dal XVIII secolo. Si riferisce al mito secondo il quale l’eroe greco Achille sarebbe morto colpito al tallone destro da una freccia scoccata da Paride. Secondo il poema incompiuto Achilleïs (Achilleide) di Stazio, 96 d.C. circa (successivo quindi al mito greco) l’eroe era stato stato immerso da bambino nello Stige le cui acque lo avrebbero reso immune alle ferite: nel fare ciò sua madre Teti dovette però sorreggerlo afferrandolo per il tallone, che restò così l’unico punto non bagnato e quindi vulnerabile.

Il tallone d’Achille di Peppone si chiamava Michele e si trattava d’un ragazzaccio con mani grandi come badili e talmente zazzeruto da far pensare a quelle gaggìe che, capate di continuo, sono ridotte a grossi tronchi incappucciati da stupide palle di foglie. Viaggiava su un cànchero di motocicletta con borse ornate di borchie e di frange alla cowboy, e indossava un giubbotto nero sulla schiena del quale aveva fatto pitturare un candido teschio e la scritta “Veleno”.

Guareschi, Giovannino Don Camillo e i giovani d’oggi (incipit), 1969.

 Il tallone d’Achille della mafia è il culo.

Pietrangelo Buttafuoco da Il Foglio, 4 dicembre 2013


Sopra: La morte di Achille, riproduzione del disegno su un antico vaso greco (perduto) del 540 a.C., da A. Rumpf, Chalkidische Vasen. Berlino/Lipsia, 1927 (Commons).

tatoo, decorazione pittorica corporale permanente, anche la tecnica utilizzata per realizzarla; per similitudine anche decorazioni sulla pelle delebili (es. “tatuaggio temporaneo”, “tatuaggio all’henné”) che imita il tatuaggio vero e proprio, anche se realizzate con tecniche molto diverse.

Attestata in italiano dal 1836 la parola italiana tatuaggio deriva dal francese tatouage, a sua volta derivato del verbo tatouer  che compare per la prima volta nell’edizione francese dei diari del primo viaggio dell’esploratore britannico James Cook (1728 – 1779), Voyage dans l’hémisfère austral et autour de monde (1778). A sua volta, traduzione dall’inglese tattow (poi diventato tattoo o tatoo) attribuito allo stesso Cook che arrivato a Tahiti nel 1768 rilevava l’uso di effettuare decorazioni corporali. Il termine usato da Cook derivava dal nome nelle lingue polinesiane locali di queste decorazioni; dette appunto tau tau in polinesiano,[1] tatau in taitiano e samoano,[2] tatu in marchesiano. Probabilmente di origine onomatopeica: ricordava infatti il rumore prodotto dal picchiettare del legno sull’ago utilizzato per marcare la pelle.

I tatuaggi eseguiti per mezzo di puntura e pigmento colorante erano noti e praticati anche Europa da molto prima dei viaggi di Cook, ma chiamati con termini diversi a seconda del contesto, del tipo di decorazione o della funzione. Ad esempio presso gli antichi romani erano chiamati stigmae e nel VI secolo stigmate.[3] Nel medioevo in Italia i tatuaggi  assunsero vari nomi regionali come marca, marconzito, segno, devozione,[4] in particolare in riferimento ai tatuaggi religiosi fatti dai pellegrini cristiani; a Loreto gli ambulanti che facevano i tatuaggi devozionali erano detti “marcatori”.[5]


  1. [1]CNRTL (op. cit.)
  2. [2]Douglas Harper, (op. cit.)
  3. [3]i tatuaggi nell’antica Roma” in Romano Impero.
  4. [4]Di Paolo, M. C. e S. Fiume “Il Tatuaggio” in Rassegna Penitenziaria e Criminologica, nº 1-3 1989, pag. 115.
  5. [5]Mezzolani, R. “Tatuaggi sacri e tatuaggi profani: la storia dei marcatori di Loreto” in Destinazione Marche, 02/12/2014. Web.
  • tatuaggio” in Vocabolario online. Treccani. Web.
  • tatuaggio” in Il Sabatini Coletti. Corriere della Sera. Web.
  • tatuaggio” in Il Nuovo De Mauro. L’internazionale. Web.
  • tatouer” in Ortolang. Centre National de Ressources Textuelles et Lexicales (CNRTL). Web.
  • tatto” in Online Etymology Dictionary. Douglas Harper. Web.

Foto: Gabriel Nunes on Unsplash

(s.m.) grosso boccale di birra; termine usato a Little Italy (New York) tra l’Ottocento ed il Novecento ed appartenente al lessico “italglish“, ovvero la lingua italiana parlata dagli immigrati italiani in America come risultato del processo di adattamento ed ibridazione linguistica tra l’italiano e l’inglese americano. Temeniollo deriva probabilmente da “Tammany Hall”, sezione newyorkese del Partito Democratico (Democratic Party) nota per comprare voti alle elezioni offrendo boccali di birra nei locali pubblici di Little Italy.


Immagine: tookapic/Pixabay