Keep Calm and Carry On

In Cultura popolare, Storia di Silvio DellʼAcqua

© Laputa

T.Stannard/Wellcome Trust CC-BY-SA-4.0

1. L’edificio art-deco della “Senate House” fu il quartier generale del MOI durante la seconda guerra mondiale.

Keep calm and carry on, mantieni la calma e vai avanti, una semplice scritta bianca su fondo rosso impreziosita da una corona. È un poster, ma dal 2007 circa diventa virale sulla rete,[1] viene stampato su tazze, magliette ed ogni genere di merchandising: è un’icona dello stile british, tutti lo conoscono o l’hanno visto almeno una volta. Il celebre poster nacque in realtà molto tempo prima dei social network, ed anche del minimalismo anni ’60 cui sembra ispirarsi: era il 1939 e l’Europa stava precipitando verso la seconda guerra mondiale. La Germania nazista, dopo aver annesso l’Austria ed invaso la Cecoslovacchia, reclamava Danzica e i territori polacchi abitati dai tedeschi. In risposta alla minaccia tedesca, il 31 marzo 1939 il Regno Unito si affrettò a dare una garanzia di assistenza alla Polonia che divenne bilaterale il 6 aprile. Il conflitto era nell’aria ed il Ministry of Information britannico (MOI), responsabile della propaganda, si preparò a sostenerne la causa. Un comitato a livello nazionale interno al MOI, denominato “Home Publicity Committee” e costituito da funzionari del ministero, volontari accademici, pubblicisti ed editori,[2] era stato istituito sin dall’agosto 1937. Avrebbe però dovuto essere impiegato solo in caso di guerra per disimpegnare il ministero, che avrebbe così potuto occuparsi delle notizie ufficiali e della censura. Tuttavia, aspettandosi un bisogno imperativo di «materiale di rassicurazione generale»,[3] nell’aprile del ’39 il MOI pianificò la produzione di una serie di poster di propaganda con il preciso fine di confortare la popolazione, sottolineando che la certezza della vittoria finale avrebbe ripagato dei sacrifici sostenuti. Fu quindi istituita una apposita commissione interna presieduta da A.P. Waterfield, funzionario responsabile della pianificazione del MOI, nella quale figuravano William Surrey Dane, amministratore delegato della casa editrice Odhams Press, Gervas Huxley, ex amministratore delegato dell’Empire Marketing Board e, successivamente,  tale W.G.V. Vaughan, un agente pubblicitario che ricevette l’incarico di responsabile di produzione.

MOI-Car-1940-D1199

2. Una vettura del MOI attrezzata per le riprese cinematografiche lascia la sede di Senate House nel 1940. È una Morris “Twelve” serie III, del ’37.

Dig on for Victory, Peter Fraser - UK National Archives

3. Un manifesto della campagna “Dig For Victory”, che invitava a coltivare orti di guerra.

La commissione partorì le linee guida per il progetto: i messaggi avrebbero dovuto essere brevi ed «universali nell’appello», contenere una «dichiarazione dei doveri del cittadino», nonché soddisfare requisiti come «esercitare un’influenza stabilizzante» e «armonizzare con le idee preconcette» generalmente diffuse tra il pubblico.[3] Inoltre, era richiesta una qualità «superiore ai migliori standard commerciali», ma allo stesso tempo un appeal popolare; infine — come se tutto ciò non bastasse — i poster avrebbero dovuto avere un aspetto uniforme e «distinguersi con forza» da quelli eventualmente realizzati da altri dipartimenti (come ad esempio la campagna “Dig For Victory” del Minister of Food, fig. 3). Era chiaro che non sarebbe stata una passeggiata. Inizialmente fu pianificata una serie di 5–7 manifesti, da stampare immediatamente ed impiegare durante il conflitto: il costo stimato sfiorava le 112 mila sterline, secondo gli esperti un «valido investimento assicurativo in vista di un immenso rischio». Il Tesoro ritenne però che l’operazione avrebbe potuto comportare un enorme spreco di denaro qualora l’evolversi degli eventi avesse portato ad un cambio di strategia nella home publicity, ipotesi tutt’altro che improbabile dato che la guerra non era ancora nemmeno iniziata. Così, il 26 giugno il progetto fu cancellato e la commissione dovette ricominciare daccapo, questa volta restando entro un tetto massimo di 45 mila sterline per 2,5 milioni di copie, inclusa distribuzione. La scelta cadde allora sulla soluzione low cost proposta da Waterfield di un manifesto “flessibile”, con una grafica fissa o addirittura di solo testo, in modo che lo slogan avrebbe potuto essere variato con poca spesa: nasceva così, da un “taglio di bilancio”, l’idea della grafica minimal tanto apprezzata decenni più tardi. Nonostante l’apparente semplicità, il nuovo manifesto fu studiato nei dettagli.[4] Inizialmente si pensò ad un carattere tipografico che imitasse il dattiloscritto, come se Giorgio VI in persona si fosse seduto alla macchina da scrivere per rivolgere un accorato appello al suo popolo, poiché il messaggio sarebbe dovuto arrivare «più lontano possibile nella forma in cui il Re stesso l’avrebbe mandato». Questa soluzione fu però ritenuta (a ragione) poco credibile e ci si orientò invece sull’adozione di un carattere nuovo, «di tipo speciale e bello».

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4-5. esempi dell’uso del carattere “Gill Sans”. A sinistra, la targa sulla locomotiva LNER 4468 “Mallard” del 1938 (foto: P.Hudson). A sinistra, la sovraccoperta di un libro Penguin Book del 1936 (“Addio alle Armi” di Hemingway).

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6. Il “Gill Sans” deriva dal “Johnston”, font utilizzato nella metropolitana di Londra sin dal 1916.

Ne fu creato quindi uno ad hoc certamente ispirato al Gill Sans, carattere definito dal giornalista inglese Simon Garfield «il carattere più britannico che si fosse mai visto, […] sobrio, decoroso e timidamente fiero».[5] Il Gill Sans era stato disegnato nel 1928 dall’artista ed incisore Eric Gill per l’insegna di un libraio di Bristol, “Douglas Cleverdon”, ed ebbe in seguito un notevole successo: venne adottato dalla compagnia ferroviaria London and North Eastern Railway, fu impiegato per le celebri sovraccoperte a colori dei libri Penguin (1935) e per gli avvisi del ministero della guerra (1940),[5] scelto da BBC, British Railways e Chiesa d’Inghilterra. Oltre che un artista eclettico, Gill era un personaggio a dir poco eccentrico: se da una parte dimostrava un profondo senso religioso, dall’altra i suoi diari riportavano «dettagli raggelanti»[5] sulla sua vita privata, dettagli del livello di: «Continuato esperimento con cane […] e scoperto che un cane si congiunge con un uomo» (e non è nemmeno quello peggiore).[5] Ad ogni modo, il carattere realizzato per il poster del MOI[6] era simile al Gill Sans, ma non identico: in alcuni dettagli[7] ricordava anche quello adottato dalla metropolitana di Londra sin dal 1916, il Johnston Sans creato dal tipografo Edward Johnston del quale (non a caso) Eric Gill era stato allievo.

7. Da sinistra a destra: il font creato “ad hoc” per i manifesti del MOI deriva dal “Gill Sans” e dal “Johnston”; la “corona Tudor” in araldica e la versione stilizzata usata come logo della campagna.

A evocare la paternità regale del messaggio fu messa invece una corona Tudor[8] stilizzata, “riciclata” dal logo realizzato da un designer sconosciuto per un precedente progetto di propaganda, poi cancellato, che prevedeva l’invio di una “lettera reale” ad ogni cittadino britannico. Infine, il contrasto tra i colori forti e monolitici scelti per lo sfondo (soprattutto il rosso) ed il bianco dei caratteri tipografici avrebbe dovuto soddisfare un altro requisito fondamentale, quello di «attirare immediatamente l’attenzione ed evocare una reazione spontanea», come un cartello di pericolo.

Danger sign Belfast, Ardfern/Commons (CC-BY-SA 3.0)

8. La combinazione di scritta bianca su fondo rosso attira l’attenzione ed è perciò una caratteristica comune nei cartelli che avvisano di un pericolo, come questo a Belfast, Irlanda del Nord.

I tre poster del M.O.I.

Nel frattempo, la Commissione aveva ottenuto di procedere immediatamente alla stampa dei primi manifesti a cura del “Her Majesty’s Stationery Office” o HMSO (in pratica la tipografia dello stato), adducendo che in stato di guerra avrebbe potuto essere più difficile stampare in breve tempo[9] grandi quantità di materiale. Restava da definire gli slogan, e il tempo stringeva. Sulla linea della “moderata sobrietà” sostenuta da Huxley[2] fu inizialmente proposto lo slogan England is prepared (l’Inghilterra è pronta), in seguito abbandonato in favore di un meno partigiano «We’re going to see it through» (andremo fino in fondo);[2] mentre W.S. Dane propose un serafico Keep Calm Don’t Panic. A Waterfield lo stile britannicamente imperturbabile di questi messaggi sembrava invece poco stimolante nell’ottica di un incombente conflitto. Propose qualcosa di più diretto, un appello accorato come Your King and Country Need You All (Il vostro Re ed il vostro Paese hanno bisogno di voi tutti)[10] o un messaggio che ponesse la forza di volontà di ognuno tra i fattori decisivi per la vittoria: Your Courage, your Cheerfullness, Your Resolution Will Bring Us Victory (il tuo coraggio, il tuo ottimismo, la tua determinazione ci porteranno alla vittoria). Inoltre, serviva qualcosa che ricordasse la necessità di combattere il nazismo e tutto ciò che esso rappresentava: qualcosa come Freedom is in Peril – Defend it With All Your Might (la libertà è in pericolo – difendila con tutte le tue forze). Da una rosa di venti proposte, cinque manifesti furono presentati il 4 agosto del 1939 al segretario generale, Samuel Hoare, il quale ne selezionò tre: Your Courage… e Freedom is in Peril proposti da Waterfield ed il Keep Calm don’t Panic di Dane che nel frattempo (non si sa per opera di chi) era diventato Keep Calm and Carry On.[11] Erano così nati i tre poster del Ministry of Information.

Sistemate spaziatura e proporzioni a cura dei grafici, i disegni definitivi furono inviati il 9 agosto a Sir Ivison Stevenson Macadam,  Vice Direttore Generale e Vice Segretario del MOI[12] per l’approvazione finale[3] ed il 23 agosto 1939 fu finalmente autorizzata la stampa di 3,75 milioni di manifesti[2] presso la tipografia del HMSO. Proprio il giorno in cui a Mosca la Germania nazista siglava il patto Molotov-Ribbentropp con l’Unione Sovietica: un altro passo verso la guerra ormai imminente. I contratti però non erano ancora stati siglati e le rotative non poterono iniziare prima del 31 agosto; il giorno seguente le forze naziste invasero la Polonia e il 3 settembre, a stampa ancora in corso, il Regno Unito dichiarò ufficialmente guerra al III Reich. I manifesti furono stampati in differenti colori e in vari formati, dalle locandine 10″ x 15″ (c.a 25 x 38 cm) ai poster formato “double crown”[13] (c.a 51 x 76 cm), fino ai formati “16-sheet”[14] (2 x 3 m) e “48-sheet” (3 x 6 m) destinati ai cartelloni pubblicitari. I messaggi Freedom is in Peril (destinato alle zone remote) e Your Courage… costituivano il 35% della prima commessa,[15] ossia poco più di un milione e trecentomila esemplari, che vennero immediatamente distribuiti ed affissi in tutto il paese. Il poster Keep Calm and Carry On, che costituiva il 65% della commessa e quindi il “grosso” della produzione, non fu invece distribuito con l’intenzione di tenerlo in riserva per future necessità, come ad esempio per placare il panico dopo un eventuale raid aereo.

Ai tre manifesti iniziali se ne aggiunsero repentinamente altri due: Don’t Help the Enemy – Careless Talk may give away vital secrets (non aiutare il nemico – conversazioni incaute possono tradire segreti vitali), approvato dal War Office e prontamente stampato (in formato piccolo) in 133 mila copie distribuite nel mese di settembre (fig. 15), ed un estemporaneo Our Fighting Men Depend on You (I nostri combattenti dipendono da voi) mai ufficialmente autorizzato, quest’ultimo destinato a fattorie, stabilimenti, porti. Negli anni successivi (1940-1942) la stessa corona stilizzata sarebbe stata riutilizzata in almeno un altro manifesto, più tradizionale (fondo bianco e carattere serif) che invitava di nuovo a non rivelare informazioni al nemico (Be on your Guard, fig. 16). La campagna del MOI, tuttavia, non ebbe l’effetto sperato. Gli slogan furono giudicati retorici e vaghi; il The Times scrisse di «esortazioni eclatanti ed inutili», «invocazioni insipide e paternalistiche»; il Daily Mirror uscì invece con il sarcastico titolo in prima pagina «Waste and Paste» (spreca ed incolla) in riferimento ai costi della campagna. Inoltre, gli autori avevano commesso un grave errore di comunicazione: nello slogan Your Courage […] Will Bring Us Victory, l’incauta combinazione di your (tuo) e us (noi) tendeva ad essere interpretata come «il tuo coraggio […] porterà noi alla vittoria», vale a dire i sacrifici della popolazione porteranno benefici a qualcun’altro (il governo). Armiamoci e partite, come si suol dire. Infine, i tanto temuti raid aerei ancora non si erano visti e, a fronte delle critiche, nel’ottobre del 1939 il MOI decise di cancellare la campagna, che ebbe quindi vita brevissima. Il manifesto oggi più famoso, il Keep Calm and Carry On, era ancora nei magazzini e non fu mai più distribuito. La guerra sarebbe finita nel 1945 senza che i londinesi l’avessero mai visto.

La riscoperta

barter-books

16-17: la libreria “Barter Books” di Alnwick (Northumberland), dove fu riscoperto il manifesto «Keep Calm and Carry On». Si trova nell’edificio della ex-stazione ferroviaria (Geograph).

Era il 1991, quarantasei anni dopo la fine della guerra. Ad Alnwick, un cittadina inglese del Northumberland, Mary Manley decise di aprire un negozio di libri usati (“Book Bart”) con il marito Stuart e scelse come sede il magnifico edificio vittoriano della ex stazione ferroviaria, costruita nel 1887 e chiusa nel 1968 con la cessazione dell’esercizio della linea Almouth-Alnwick, diramazione della East Coast Main Line. Un giorno intorno al 2000 Mr. Stuart decise di aprire una cassa polverosa di vecchi libri ritirata ad un’asta, e sul fondo trovò un pezzo di carta ripiegato. Era un poster rosso, con una corona e una scritta «Keep Calm and Carry On», e Stuart ignorava di avere tra le mani la cosiddetta gallina dalle uova d’oro:

Non ne sapevo nulla, ma lo mostrai a mia moglie: a entrambi piacque, e così decidemmo di incorniciarlo e di esporlo in negozio.[16]

Molti clienti videro il manifesto e chiesero di acquistarlo; i Manley non vollero cederlo ma ebbero l’idea di farne delle copie e venderle in negozio. Le vendite furono modeste fino al 2005, quando il poster fu proposto come idea regalo natalizia nel supplemento di un quotidiano nazionale: «…si scatenò l’inferno.»

Il telefono non smetteva di suonare, il sito internet era fuori uso per il sovraccarico, ogni dipendente era impiegato per impacchettare le stampe: tutto il Regno Unito voleva quel poster. I Manley ricevevano mille ordini al mese e tra gli indirizzi di spedizione ci fu il numero 10 di Downing Street a Londra[17] e numerose ambasciate. In totale Manley vendette 41000 copie del manifesto, ma il disegno fu riprodotto su t–shirt, tazze, cuscini, cover per smartphone e un’infinità di oggetti (). Nel 2009 la rock band gallese Stereophonics intitolò Keep Calm And Carry On il proprio settimo album e altrettanto fecero i Supreme Court con Keep Calm / Carry on. Lo slogan (spesso abbreviato in “Keep Calm” o “KCCO”) era diventato un “tormentone” su internet che raggiunse il picco di popolarità, come si evince dal volume di ricerca su Google, nel marzo 2012:

kcco-google-search

18 – Volume di ricerca su Google per “Keep Calm and Carry On”: il picco massimo è nel marzo 2012 ().

Quando il poster fu proposto come idea regalo da un quotidiano nazionale, «si scatenò l’inferno».

Perché tanto successo? Il “Keep Calm and Carry On”, forse troppo innovativo nel ’39, nel XXI secolo si rivela una felice combinazione di elementi vincenti. Ha il gusto del vintage, la corona stilizzata dona quel tocco chic un po’ barocco; ma allo stesso tempo appare moderno e minimalista con la sua grafica semplice, lo sfondo uniforme, i caratteri snelli e puliti: esattamente quel meltin-pot che piace al pubblico del XXI secolo. La vera chiave del successo, però, è nello slogan senza tempo. La grande recessione del 2007 aveva portato ansie molto diverse da quelle, ormai lontane, delle sirene antiaeree della seconda guerra mondiale. Il consiglio di “stare calmi ed andare avanti”, però,  suonava quantomai attuale e sembrava modellato sulla quotidianità di ognuno: secondo il Dott. Lesley Prince, psicologo sociale, «è molto bello, quasi zen. Se la gente sta pensando ‘rischio di perdere la casa’, è un buon consiglio».[16] Il primo poster “motivazionale” della storia era diventato un’icona popolare della crisi economica.

Parodie

Now Panic and Freak Out

19 – Il contrario di “Keep Calm and Carry On” è “Now Panic and Freak Out”.

Il poster Keep Calm and Carry On fu ben presto oggetto di numerose parodie che non fecero altro che aumentarne la popolarità. Nel 2008 l’artista britannico Olly Moss disegnò per la Threadless una t-shirt che ne rappresentava l’esatto opposto, l’antitesi: la corona irriverentemente capovolta e lo slogan «Now Panic and Freak Out» (Ora panico e impazzisci), un capolavoro di ironia. Fu però il sito Keep Calm-o-matic, dal 2009, a dare la possibilità a chiunque di personalizzare messaggio, colori e logo per realizzare la propria versione digitale del poster. Liberata la fantasia degli utenti, le parodie dilagarono in rete (con risultati non sempre eccellenti, c’è da dire) e oggi non si contano più.

Note

  1. [1]Internet meme: “tormentone” che si diffonde in maniera virale e spontanea sul web, grazie alle condivisioni degli utenti.
  2. [2]Irving, History (op. cit.)
  3. [3]Lewis, R: (op. cit.)
  4. [4]Sembra che alla composizione grafica abbia contribuito anche l’artista ed illustratore britannico Ernest Wallcousins (cfr. Irving, op. cit.).
  5. [5]Garfield, p. 50–51 (op. cit.)
  6. [6]Nel 2011 questo typeface è stato ricreato dalla fonderia digitale K-Type ed è ora disponibile per computer con il nome di Keep Calm ().
  7. [7]Keep Calm and Carry OnK-Type. 17 sett. 2011. web.
  8. [8]La House of Tudor fu una dinastia di cinque sovrani di origine gallese che regnarono in Inghilterra dal 1485 al 1603.
  9. [9]Non era una questione di costi: anzi, era previsto che con la guerra sarebbero scesi grazie alla possibilità, ad esempio, di requisire magazzini e reclutare volontari.
  10. [10]In particolare quel you all, voi tutti, metteva l’accento sul fatto che anche le donne erano chiamate allo sforzo bellico.
  11. [11]Forse si volle evitare la parola panic.
  12. [12]dal 1939 al 1941, e già primo segretario e direttore generale del Royal Institute of International Affairs dal 1929 al 1955.
  13. [13]“Doppia corona”: standard britannico per la stampa, pari a 20 x 30 pollici (cfr. English Uncut Printing Sizes).
  14. [14]Standard britannico per i cartelloni pubblicitari, basato sul numero di fogli (sheet) necessari per comporlo (cfr. Paper Sizes)
  15. [15]Rispettivamente 12% “Freedom…” e 23% “Your Courage…” (cfr. Lewis, op. cit.)
  16. [16]Huges, BBC News (op. cit.)
  17. [17]La residenza del primo ministro britannico, all’epoca Tony Blair.

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. T. Stannard [CC-BY 4.0] WellCome Images/Commons
  2. Ministry of Information [PD] Imperial War Museum/Commons
  3. Peter Fraser, 1939-40 c.a [PD] UK National Archives/Commons
  4. P. Hudson, 2009 [CC-BY-2.0] Commons
  5. 1936, Penguin Books. Fair use.
  6. Sunil060902, Londra 15-9-2008 [CC BY-SA 3.0] Commons
  7. © Laputa.
  8. Ardfern, [CC BY-SA 3.0] Commons
  9. 1939, UK Government — Commons
  10. 1939, UK Government — Commons
  11. 1939, UK Government — Commons
  12. 1939, UK Government — Commons
  13. 1939, UK Government — Imperial War Museum, (fair use)
  14. 1939, UK Government — East Carolina University, Digital Collection <https://digital.lib.ecu.edu/10964>
  15. 1940-42 c.a, UK Government — East Carolina University, Digital Collection <https://digital.lib.ecu.edu/10971>
  16. © wfmillar/Geograph, 20-4-2008 [CC-BY-SA 2.0] Geograph.co.uk/Commons
  17. © Andy F/Geograph, 14-6-2009 [CC-BY-SA 2.0] Geograph.co.uk/Commons
  18. © Google Inc. ()
  19. © GBeye (fair use)
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Silvio DellʼAcqua

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Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.