1 — Galleria Vittorio Emanuele II: il centro dell’ottagono con lo stemma sabaudo e il motto “FERT”.[1]
Il 18 marzo 1848 la città di Milano insorse contro l’occupazione austriaca, una rivolta passata alla Storia come le “Cinque giornate di Milano”. Nella notte tra il 19 e il 20 marzo le truppe imperiali abbandonarono silenziosamente i tetti del Duomo, dal quale tenevano sotto assedio la Piazza e i popolosi quartieri intorno, tanto che nessuno degli insorti si accorse della ritirata. Temendo un’imboscata i patrioti non si fidarono di occupare immediatamente le posizioni abbandonante, ma una volta rotti gli indugi salirono sul tetto: fu così che il valtellinese Luigi Torelli e il trevisano Scipione Bagaggi alzarono il tricolore sulla Madonnina, simbolo caro a tutti i milanesi, dando alla città e agli insorti nuovo coraggio e inaugurando così una tradizione in vigore ancora oggi. La Veneranda Fabbrica del Duomo infatti ogni anno innalza il tricolore in determinate ricorrenze sia religiose sia civili, tra cui il 28 settembre per commemorare l’insurrezione popolare di Napoli contro i nazifascisti.[2] Il giorno dopo la vittoria degli insorti, il 23 marzo, le truppe piemontesi di Carlo Alberto si misero in marcia verso Milano, ma per la città la prima guerra d’indipendenza italiana si sarebbe conclusa con il ritorno, il 6 agosto dello stesso anno, degli austriaci. L’appuntamento con la Storia e con una nuova fase per la città di Milano era rimandato. Undici anni più tardi, nel giugno del 1859, la città fu nuovamente liberata dall’occupazione austriaca, questa volta ad opera delle truppe franco–piemontesi impegnate nella seconda guerra d’indipendenza, e poco più tardi con l’armistizio di Villafranca fu annessa al regno sabaudo.[3]
Milano contava all’epoca circa 196 000 persone nella cerchia dei Bastioni, altre 47 000 persone oltre la cerchia in quello che dal 1782 era il comune dei Corpi Santi, che fu distinto dal Comune di Milano dal 1782 al 1873 e comprendeva Porta Comasina con Porta Tenaglia; Porta Nuova; Porta Orientale con Porta Tosa, Malnoè e Cassina delle Rottole; Porta Romana con Porta Vigentina; Porta Ticinese con Porta Lodovica e Ronchetto delle rane; Porta Vercellina con Portello del Castello. La città viveva una fase di espansione demografica ed economica tale da candidarla a centro di primo piano del nuovo Regno d’Italia. In questo contesto di crescente prosperità economica e di risorgimento politico sotto il tricolore, per alcuni risultava stonato l’impianto urbanistico irregolare del cuore stesso della città: Piazza Duomo. Dinanzi alla cattedrale vi era l’Isolato del Rebecchino, di origine medievale, e il Portico dei Figini, costruito nel quattrocento; tra il Duomo e il Teatro alla Scala vi era invece un quartiere costituito da un dedalo di vicoli stretti e tortuosi in cui vi erano situati anche il Teatro Re e la Regia Questura. La volontà di dare un nuovo e più razionale volto alla Piazza, collegandola anche direttamente con Piazza della Scala, unita alla necessità storica di collegare meglio la città, coinvolse la cittadinanza e la classe dirigente meneghina in un dibattito sul da farsi dopo anni di progetti e proposte senza esito.
Il 5 dicembre 1859, cinque mesi dopo l’annessione, Vittorio Emanuele II firmò un decreto che autorizzava il primo municipio milanese italiano, di cui era sindaco Antonio Beretta, a emettere una lotteria di 2 milioni di biglietti da 10 lire cadauno, il cui ricavato netto sarebbe stato destinato all’opera di rinnovamento. La lotteria non ebbe molto successo con gran parte dei biglietti che restò invenduta, ma per lo meno occupò il dibattito sulla stampa e tra i milanesi. Alla lotteria seguì nell’aprile 1860 un concorso di idee aperto a tutta la cittadinanza sul progetto di ammodernamento. Un’apposita commissione municipale dopo aver vagliato tutte le idee ricevute delineò le linee fondamentali del progetto: sistemazione di Piazza Duomo, strada rettilinea di collegamento con Piazza della Scala, che poteva essere sia scoperta sia coperta “a vetri” e a destinazione prevalentemente commerciale. Una volta stabilite le idee principali fu la volta di un secondo concorso, nel febbraio del 1861, questa volta dedicato solamente a esperti di architettonica. Il concorso si concluse senza alcun progetto vincitore ma ebbe una menzione speciale il progetto “Dante” dell’architetto bolognese Giuseppe Mengoni. Infine nel 1863 fu la volta di un terzo concorso, questa volta solo su invito, a cui partecipò sia Mengoni sia l’architetto milanese, nonché professore dell’Accademia delle Belle Arti di Brera, Giuseppe Pestagalli.
Prevalse il progetto di Mengoni che prevedeva una strada commerciale, ad un unico braccio ma con uno slargo al centro, e copertura in ferro e vetro. Il Comune, nelle sedute del 15 e 16 settembre del 1863, approvò il progetto che però non sarebbe rimasto quello definitivo. Il progetto infatti fu rivisto da Mengoni sia in base a sue rielaborazioni, sia per tener conto delle indicazioni della commissione del concorso e della commissione d’Ornato, che dal 1807 aveva il compito di vigilare sulla qualità delle nuove costruzioni milanesi. Al progetto originale furono quindi aggiunti due bracci all’altezza dello slargo centrale, in direziona via Foscolo e via Pellico; fu cambiata la volumetria della Galleria passando dai due piani iniziali a quattro; fu rivisto tutto l’impianto decorativo; fu modificato lo sbocco su Piazza della Scala da emiciclo a poligono. Il Municipio di Milano approvò infine le modifiche apportate il 7 settembre 1864. Il progetto di quella che sarebbe diventata la Galleria Vittorio Emanuele II era notevole: si trattava di un’opera monumentale pensata per ottimizzare la rendita economica e per valorizzare il centro della città. Di fatto con i suoi 1260 locali complessivi la Galleria di Milano era un centro commerciale ante litteram.
L’idea di un corso coperto non era una novità assoluta: già dalla fine del XVIII a Parigi esistevano i cosiddetti passage (→), che rappresentarono la prima forma di galleria commerciale. I passage nacquero dall’esigenza di riqualificare il degradato centro parigino, caratterizzato da strade strette e luride e progressivamente abbandonato dalle attività commerciali, che si spostavano nella più vivibile periferia settentrionale della città. Coperti, pavimentati e ben tenuti, secondo gli architetti post–rivoluzionari i passage dovevano rappresentare uno spazio democratico e accessibile a tutti, che fondesse la funzione commerciale con l’intrattenimento ospitando anche bar, ristoranti e teatri. Questo modello si estese poi ad altre città europee, come appunto Milano, diventando un’icona della belle époque. Milano inoltre aveva già un passage: la Galleria De Cristoforis, dell’architetto Andrea Pizzala,[4] inaugurata nel 1832 collegava via Monte Napoleone con “corsia dei Servi” (oggi “corso Vittorio Emanuele”). La Galleria De Cristoforis fu il primo passage realizzato nella penisola italica[5] ed ebbe un innovativo sistema d’illuminazione serale tramite lampade a gas; purtroppo fu però demolita negli anni ’30 del XX secolo a seguito di un nuovo piano urbanistico.
Anche se l’idea di una galleria commerciale non era originale, il progetto di Mengoni rappresentava tuttavia qualcosa di inedito dal punto di vista monumentale e il Municipio dovette ricorrere a capitali esteri per la sua realizzazione. Grazie allo stesso Mengoni, che contribuì a trovare la soluzione più fattibile, fu quindi costituita la società inglese “The City of Milan Improvements Company Limited”, con cui l’11 gennaio del 1865 il Comune firmò l’appalto dei lavori. Tre mesi più tardi, il 7 marzo del 1865, in quello che diventerà l’ottagono della futura galleria vi fu una cerimonia pubblica per la posa della prima pietra “iniziatrice dei lavori”, alla presenza del re Vittorio Emanuele II a cui l’opera fu dedicata. In realtà i lavori erano già iniziati con le prime demolizioni degli stabili espropriati, e fu grazie a quelle demolizioni che Mengoni poté ricavare uno spazio dove allestire quattro ordini di scalinate per gli ospiti e il padiglione a baldacchino per il re. La cerimonia molto formale e simbolica prevedeva che nella “prima pietra” vi fosse riposta una cassetta in piombo contenente i disegni della Galleria, l’atto della cerimonia firmato dal re e alcune monete con l’effige del sovrano. La cassetta fu poi sigillata con una lastra di marmo di Carrara sulla cui facciata era incisa a caratteri rossi l’auspicio del re e i nomi dei principali convenuti. Una volta archiviata la cerimonia simbolica, l’impresa poté entrare nel vivo.
Il primo tratto realizzato sul finire del 1866 fu da Piazza della Scala all’attuale ottagono; da gennaio 1867 iniziò la costruzione della copertura ricorrendo a un’innovativa impalcatura scorrevole su apposite rotaie. Nell’estate 1867 furono decorati gli edifici, fu posato il marmo della pavimentazione con i mosaici dedicati alle principali città italiane, furono installate ventiquattro statue in gesso degli illustri italiani e quattro “maestri di Brera” dipinsero sul posto le allegorie delle attività umane e dei continenti. Al centro del pavimento dell’ottagono fu posto lo stemma e il motto sabaudo, quel “F.E.R.T.” il cui significato a lungo dibattuto è andato perso.[1]
Mancava ancora l’arco di ingresso da Piazza Duomo ma in due anni l’opera poteva dirsi compiuta: vi avevano lavorato mille persone ogni giorno, delle più disparate mansioni, per un totale stimato di settecentomila giornate individuali di lavoro. Nonostante i lavori sul lato di Piazza Duomo dovessero essere ancora completati, compresa la ristrutturazione della Piazza, il re che da sempre aveva mostrato interesse e sostegno per l’opera presenziò all’inaugurazione della Galleria, tenutasi il 15 settembre del 1867.
Vittorio Emanuele II si compiacque per la realizzazione in così poco tempo di un’opera tanto imponente e nel suo tour volle vedere anche i lavori sul lato di Piazza Duomo, augurandosi poi che fossero terminati alacremente. Il primo re dell’Italia unita non poteva però sapere che si stava per verificare qualcosa di tipicamente italiano: il fallimento della ditta appaltatrice e lo stop ai lavori. Il dissesto della società inglese diede vita ad una serie di vicende legali e amministrative che portarono nel 1869 alla vendita della Galleria al Comune di Milano, la cui giunta nel frattempo era totalmente cambiata. Nel 1870 i lavori ripresero sotto la direzione dell’ingegner Gerolamo Chizzolini poiché Mengoni era troppo impegnato nel disegno dell’arco d’ingresso, dal lato di Piazza Duomo, che l’architetto bolognese stava concependo alla stregua di un classico arco di trionfo, dettagliatamente decorato e rivestito di marmi di pregio. Dal 1870 al 1876 si accumularono ulteriori lentezze sia per la difficoltà nel rifornirsi dei materiali richiesti, sia per la lentezza di Mengoni stesso nel consegnare i disegni esecutivi. Il 3 ottobre del 1876 Mengoni si cimentò come imprenditore, stipulando un appalto a forfait con il Comune per la conclusione dei lavori entro il dicembre del 1877. Per una tragica e beffarda ironia del destino il 30 dicembre del 1877, mentre controllava da vicino i dettagli di una finitura, Mengoni precipitò dall’impalcatura perdendo la vita. Il suo lascito fu un’opera imponente e moderna, la prima in Italia a utilizzare ferro e vetro lasciati a vista, che rimane tuttora tra i simboli di Milano e vivo luogo commerciale e d’intrattenimento.[6] Alla Galleria Vittorio Emanuele II di Mengoni è ispirata la Galleria Umberto I di Napoli, mentre l’architetto canadese Eberhard Zeidler ha omaggiato l’opera inserendo una galleria sullo stile milanese nel più contemporaneo Toronto Eaton Centre. E a conferma di come la Galleria sia diventata un po’ il simbolo laico della città, in occasione della finale della UEFA Champions League 2016[7] sul cartellone della premiazione era raffigurata la cupola dell’ottagono; ma soprattutto per i milanesi la Galleria è semplicemente il proprio amato “salotto”.
Il re Vittorio Emanuele II approvò e sostenne la costruzione della Galleria che sull’arco d’ingresso riporta la scritta «A Vittorio Emanuele II i Milanesi»; suo figlio Umberto I il 18 marzo del 1898 insignì la città di Milano[8] della medaglia d’oro del Risorgimento nazionale in virtù delle cinque giornate del 1848; ci sorge tuttavia il dubbio che i sovrani di casa Savoia ignorassero l’ostilità dei milanesi, per via del tipico campanilismo italiano, nei confronti della loro città natìa. I milanesi infatti per scherno verso Torino iniziarono a pestare i genitali del toro, simbolo della città sabauda, raffigurato in un mosaico sul pavimento della Galleria insieme a quelli di Roma e di Firenze. Il rituale ai giorni nostri ha perso la valenza di scherno campanilistico e ha assunto un significato scaramantico: posizionarsi con il piede sui genitali del toro facendo una rotazione a occhi chiusi porterebbe fortuna. Milioni di turisti ogni anno cedono alla scaramanzia consumando il povero mosaico, che è praticamente di continuo restaurato senza neppure che la dea bendata faccia il proprio dovere.
Nel corso del novecento la Galleria fu gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati, e il restauro del dopoguerra tentò di rimanere il più fedele possibile alla struttura originaria. In occasione di EXPO 2015 la Galleria è stata nuovamente oggetto di un importante restauro, da marzo 2014 ad aprile 2015, che ha avuto il merito di riscoprire i colori originali dell’opera e di fornire nuove informazioni sulle tecniche costruttive dell’epoca.
Oggi arrivando in piazza Duomo, dopo ovviamente aver ammirato la cattedrale e la sua “Madonnina”, potete notare la statua equestre di Vittorio Emanuele II[9] guardare in direzione della Galleria che porta il suo nome; avventurandovi nel passage non vi mancherà dove posare gli occhi tra vetrate, cupola, statue, decorazioni e mosaici; il tutto immerso tra negozi e bar che per obbligo tassativo del Comune hanno insegne a caratteri dorati su fondo nero senza eccezione alcuna. A questo punto, se potete, prendetevi un costoso caffè o un costoso gelato seduti ad ammirare la Galleria; potrete sentire ancora per un attimo l’atmosfera della belle époque, magari anche quella della “Milano da bere” e forse inconsapevolmente, anche se non siete milanesi, vi verrà da pensare: …ma Milan, l’è on gran Milan. ∎
Note
- [1]Per le ipotesi più accreditate sul significato dell’acronimo “FERT” si veda Treccani.↩
- [2]“Il tricolore e la Madonnina“. Duomo di Milano <duomomilano.it>. Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. 11 Feb. 2014. Web.↩
- [3]Tecnicamente l’armistizio prevedeva la cessione della Lombardia alla Francia che a sua volta l’avrebbe ceduta al Piemonte.↩
- [4]Ricci G. e G. D’Amia La cultura architettonica nell’età della restaurazione. S. S. Giovanni (MI): Mimesis Edizioni, 2002. Pag. 476.↩
- [5]All’epoca Milano era ovviamente ancora sotto dominazione austriaca.↩
- [6] All’epoca della costruzione, come normale che sia, non mancarono gli oppositori del progetto.↩
- [7]La finale si è giocata alla Stadio Meazza di Milano.↩
- [8]Milano fu la prima città a ricevere la benemerenza.↩
- [9]La statua è stata eretta dopo la morte del sovrano.↩
Bibliografia e fonti
- AA.VV. Descrizione dettagliata della monumentale Galleria Vittorio Emanuele II che si aprirà il 15 settembre 1876 – 2ª ed. corretta. Milano: Tipografia Gattinoni, 1867.
- Fabi, Massimo Salvatore. Nuovissima guida artistica, monumentale e scientifica di Milano. 10ª ed. riveduta ed aumentata. Milano: Giuseppe Reina Lib.–Edit. 1860.
- “Storia“ InGalleria. Web.
- “L’impianto ornamentale” InGalleria. Web.
- Ray, Daniel “Il salotto di Milano“ InGalleria. Web.
- “Le città benemerite del Risorgimento nazionale“. Quirinale.it Presidenza della Repubblica. Web.
- “Comune dei Corpi Santi” Lombardia Beni Culturali. Regione Lombardia. Web.
- “Cinque giornate di Milano” in Dizionario di Storia. Roma: Treccani. Web.
- “Armistizio di Villafranca” in Dizionario di Storia. Roma: Treccani. Web.
Immagini
- copertina: © scabrn/Fotolia.
- Anonimo, XIX secolo [PD] Commons.
- da Maps, Baldwin & Cradock 1832.
- ibidem. Ricostruzione della sagoma: Silvio Dell’Acqua <www.laputa.it> [CC BY-SA 4.0].
- metà del XIX secolo c.a, incisione [PD] Commons.
- Giuseppe Mengoni, 1863 [PD] Commons.
- 1881, mappa tratta da G. Savallo, Nuova guida della città di Milano e sobborghi pel 1881, [PD] Commons.
- 1865, dipinto di Domenico Induno [PD] Commons.
- © frenk58/Fotolia.
- High Contrast, Milano luglio 2010 [CC-BY 3.0] Commons.
- 1891, incisione da Pierer, August Universal-Lexikon der Gegenwart und Vergangenheit. [PD] Commons.
- Giacomo Brogi(1822-1881), 1880 c.a [PD] Commons.
- © G. Dall’Orto, Milano 20 Gen 2007. Commons.
- Foto Pessina, agosto 1943 [PD] Commons.
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