Land's End

Il faro di Longships

In Fari, Finis Terrae di Silvio DellʼAcqua

Storm at Lands End Cornwall England


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Se esiste un inferno tra i fari, questo è certamente il primo.[1] Charles Paolini, scrittore

Il capo di Land’s End (“Penn an Wlas” in cornico) è l’estremità della lunga e stretta penisola della Cornovaglia e l’ultimo lembo sud–occidentale[2] di terraferma prima dell’Oceano; tanto che l’espressione «da Land’s End a John o’ Groats», i due punti estremi della Gran Bretagna,[3] equivale per i britannici al «coast to coast» statunitense. Qui si trova dal 1908 circa[4] una storica taverna[5] chiamata “The First and Last Restoration House in England”, il primo ed ultimo ristoro in Inghilterra (a seconda che veniate dal mare o dalla terraferma).

2 – le scogliere di Land’s End viste da sud (© R. Butterfield/Geograph).

Land's End: il cartello che segna la "fine della terra" (© L. Clarke/Geograph).

3 – Land’s End: il cartello che segna la “fine della terra” (© L. Clarke/Geograph).

4 – “The First and Last Refreshment House in England”, il primo e l’ultimo punto di ristoro in Inghilterra: si chiama così dal 1908 circa.


Dalla punta del capo guardando verso il mare, si vedono le onde infrangersi contro una striscia di rocce granitiche che emergono a circa un miglio dalla costa. Al tramonto, la sagoma scura di queste rocce ricorda un convoglio di “navi lunghe”, le tipiche imbarcazioni vichinghe, stagliate contro un cielo fiammeggiante: da qui il nome “Longships”, navi lunghe.[6] Oggi i turisti giungono sin qui per ammirare la suggestiva scena, ma tanto queste rocce sono scenografiche se viste dalla terraferma, quanto temibili se viste dal mare.

Lands End

5 – Al tramonto la sagoma delle “Longships” ricorda un convoglio di “navi lunghe”, le tipiche imbarcazioni vichinghe: da qui il nome.

Prima della costruzione del faro doppiare la punta della Cornovaglia significava passare in un canale largo appena ½ miglio tra Land’s End ed i famigerati scogli, in acque che lo scrittore e poeta britannico John Ruskin (1819–1900) descrisse come «…un intero disordine di onde… tutta la superficie del mare diventa un vertiginoso turbine di rapida, contorta, torturata e confusa rabbia».[7] Il mare tutt’intorno al capo era disseminato di rocce pericolose[8] e nessun’altro tratto di costa dell’Inghilterra, si diceva,[9] era altrettanto pericoloso come l’estrema punta della Cornovaglia.[7] Per affrontare questo essenziale passaggio tra il Canale della Manica e la costa occidentale della Gran Bretagna era necessario che si verificassero condizioni di visibilità sufficiente e mare calmo. Di notte, ma anche di giorno con le frequenti nebbie, il rischio di sfracellarsi sulle scogliere del promontorio o essere trascinati dalle forti correnti tidali[10] contro il tagliente granito delle Longships era talmente concreto da far desistere anche i capitani più avventurosi.

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6 – “The Wreckers”, dipinto del 1877 di Robert Swain Gifford.

I mercantili che si sfracellavano sulle rocce erano una vera manna per i wreckers, i pirati di terra che depredavano i relitti del prezioso carico; una pratica tanto comune da coinvolgere intere comunità che vivevano di sciacallaggio:[11] per quanto fosse punito dalla legge e condannato dalla chiesa, il saccheggio dei relitti era una attività redditizia e difficile da contrastare, soprattutto quando costituiva la principale fonte di sussistenza. In mancanza di un faro, alle navi non restava che tentare la sorte. Il primo naufragio documentato in questo punto risale al 1535[12] ma si dovette arrivare alla fine del XVIII secolo perché le autorità prendessero finalmente atto della regolarità con cui i vascelli si sfracellavano sul granito intorno a Land’s End. Nel 1790 fu incaricato l’ingegnere John Smeaton, che nel 1759 aveva ultimato con successo l’ardita costruzione del terzo faro di Eddystone al largo di Plymouth, di valutare la costruzione di una luce a Roseveern, nelle vicine Scilly. La conclusione fu però che, vista la distanza di 30 miglia dalla punta della penisola, un faro a Roseveern sarebbe forse stato utile per la navigazione tra le isole (dove peraltro dal 1680 esisteva già un faro, a St. Agnes) ma di nessun effetto sulla navigazione costiera in Cornovaglia. Dietro presentazione di una petizione dei marittimi, per i quali il passaggio di Land’s End costituiva una autentica piaga, il 30 di giugno dell’anno successivo la Corporazione di Trinity House[13] ottenne la concessione della Corona per la costruzione di un faro a Wolf Rock, uno scoglio in mare aperto a circa otto miglia a sud–ovest da Land’s End. L’ente non intendeva però assumersi in proprio la responsabilità di un’impresa così ardua e scaricò la “patata bollente” ad un contractor, tale luogotenente Henry Smith [14] il quale, resosi ben presto conto della difficoltà, rinegoziò la concessione ottenendo la costruzione di un faro in pietra sulle più accessibili Longships (che si distavano solo ½ miglio dalla costa) e due semplici daymark, pali in ferro visibili solo di giorno, sugli scogli di Runnelstone (quattro miglia a sud–est vicino alla costa) e Wolf Rock (che avrebbe visto la costruzione di un faro solo nel 1836).

Il primo faro (1795)

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7 – Il primo faro di Samuel Wyatt del 1725 (Trinity House).

Il progetto fu affidato all’architetto Samuel Wyatt, che dal 1766 era consulente di Trinity House e per la Corporazione aveva già all’attivo la costruzione del faro di Dungeness (ultimato nel 1792). La scelta del sito ricadde ovviamente sullo scoglio più grande delle Longships, alto fino a dodici metri sopra il livello di alta marea:[15] l’isolotto chiamato Karn Bras, che in cornico significa “grande mucchio di roccia”. Il cantiere fu stabilito a Sennen, sulla costa, dove i blocchi di granito cornico venivano tagliati con gli incastri a coda di rondine che, dopo Eddystone, erano diventati pratica comune nella tecnica costruttiva dei fari in pietra. Imbarcati per attraversare il braccio di mare, venivano messi in posizione sullo scoglio e cementati con calce idraulica in grado di indurire anche sott’acqua. La torre progettata da Wyatt era tozza, alta solo 38 piedi (circa dodici metri) con pareti spesse 4 piedi alla base che si riducevano gradualmente fino a 3 (circa un metro). All’interno era suddivisa in tre locali, il più basso dei quali conteneva la cisterna dell’acqua potabile ed il magazzino. Al piano intermedio si trovava un soggiorno ed all’ultimo la stanza da letto; per passare da una stanza all’altra ci si arrampicava su una scala a pioli. In cima la stanza della lanterna in legno e rame, che ospitava 18 lampade ad olio del tipo “Argand”[16] disposte su due livelli, dotata ciascuna di un riflettore parabolico. L’ottica, che veniva a trovarsi 24 metri sul livello dell’alta marea, era costruita per essere semplice, efficace ed economica: priva di parti in movimento, emetteva una potente luce fissa[17] con una portata di 14 miglia nautiche. Per risparmiare combustibile, la luce non era proiettata versa la terraferma e in quella direzione la finestra era sostituita da una lamiera. Ultimato l’edificio, la luce che per la prima volta rompeva l’oscurità delle acque intorno a Land’s End fu accesa il 29 settembre del 1795 e da quel giorno il numero di incidenti diminuì radicalmente. L’ingegnere civile scozzese Robert Stevenson, futuro progettista di fari[18] e nonno del Robert Stevenson autore de L’isola del tesoroLo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (per citare i più famosi), visitò il faro nel 1801 e fu molto impressionato dalla potenza della luce, ma anche dalle difficili condizioni di vita dei faristi che dividevano gli esigui spazi dell’edificio, scaldando la cena sulle lampade perché non c’era nemmeno la cucina. La paga era di £ 30 annue e per campare i guardiani dovevano trovarsi un secondo lavoro sulla terraferma nei mesi di riposo.

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8 – Land’s End e le Longships , con il faro di Wyatt, in una incisione del 1861 di J. T. Blight.

Nel frattempo Henry Smith, titolare della concessione per 50 anni, si era ritrovato in difficoltà economiche: fu giudicato «incapace di gestire la situazione»[19] e sollevato dall’incarico, per finire nel 1806 dietro le sbarre della Fleet Prison[20] di Londra per debiti. La gestione e la manutenzione del faro tornò d’ufficio a Trinity House, ma la Court of Chancery assegnò tutti i profitti derivanti dai pedaggi[21] alla famiglia di Smith fino alla scadenza della concessione.[22] Non è chiaro il motivo di tanta generosità — apparentemente solo per riconoscenza verso colui che aveva proposto per primo la costruzione del faro[23] — ma sicuramente sarebbe costata cara alla Corporazione: per l’esattezza 3017 sterline nel 1831, al netto dei costi di manutenzione pari £1183. Nel 1836 i profitti erano già saliti nel £ 8293[23] e di fronte ad ancora nove anni di pedaggi da versare[24] Trinity House pensò bene di chiudere la questione e riscattare il faro versando agli eredi la cifra di £ 40 676 in un’unica soluzione. Ma c’era un altro problema: sebbene il faro di Wyatt si fosse dimostrato estremamente efficiente in condizioni ottimali, la furia del mare d’inverno in quel punto era stata invece abbondantemente sottostimata. Durante le tempeste, il faro era esposto a mareggiate di tale violenza che le onde superavano in altezza il faro, oscurandone la luce. L’acqua mandava in frantumi i vetri della lanterna e nel 1815, stando a quanto riporta la Royal Cornwall Gazette del 7 gennaio, l’edificio fu gravemente danneggiato dall’impatto di un’onda e ci vollero diversi giorni per ripararlo; ancora il 7 ottobre del 1857, sette delle 18 lampade furono spente dall’acqua durante una tempesta. L’unica soluzione era una torre più alta.

Il secondo faro (1870)

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9 – Il secondo faro di Douglass , in un acquerello del 1891 di Themistokles von Eckenbrecher.

Nel 1869 fu incaricato del progetto l’ingegnere Sir James Nicholas Douglass (1857 — 1913)[25] che aveva appena ultimato la costruzione del vicino faro di Wolf Rock, alle Scilly, da dove furono recuperati macchinari, attrezzature ed imbarcazioni. Il granito, in parte cornico ed in parte proveniente dal nord della Francia, veniva tagliato a terra secondo i disegni esecutivi e trasportato alle Longships con speciali barche dotate di rulli per agevolare lo scorrimento dei blocchi, che venivano infine sbarcati e posizionati con una gru. Nel 1870, sotto la capace direzione del supervisore[26] Michael Beazeley che aveva seguito Sir Douglass da Wolf Rock, iniziò la costruzione della nuova torre sullo stesso scoglio di Karn Bras, accanto al vecchio faro di Wyatt che restò attivo per tutto il tempo dei lavori. Nell’inverno del 1872 quindici uomini rimasero bloccati per diverse settimane nei due fari, a causa del mare mosso che impediva l’avvicinamento delle imbarcazioni, ma a parte questo inconveniente i lavori proseguirono senza particolari incidenti ed il nuovo faro fu ultimato nel 1875. La torre di Douglass era alta 35 metri, snella ma solida, a “fusto di quercia” con piccole finestre; in cima la lanterna ospitava una lampada a vapori pressurizzati di kerosene con ottica rotante. Anche nel nuovo edificio le condizioni di vita e di lavoro dei faristi erano tutt’altro che confortevoli: le stanze rotonde non raggiungevano i 2,5 m di diametro inclusa la scala, le provviste consistevano in cibi secchi o salati (non esistevano frigoriferi) ed i turni di permanenza erano di uno o due mesi. Anche il cambio era difficoltoso e non privo di rischi: se il mare non era sufficientemente sicuro (il che significava praticamente piatto), il soggiorno forzato doveva prolungarsi in attesa di condizioni migliori. Nonostante la relativa vicinanza alla costa, Longships era uno dei fari più isolati e meno amati dai faristi.

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10 – Il faro delle Longships sull’isolotto di Karn Bras (Depositphotos).

Nonostante i miglioramenti il rischio era sempre in agguato e gli incidenti non cessarono mai del tutto: ad esempio il 9 novembre del 1898 fu il piroscafo britannico SS Blue Jacket  a finire inspiegabilmente contro gli scogli in una notte limpida[27] ed ancora di recente, nel 2003, la nave da carico tedesca RMS Mülheim naufragò sulle scogliere di Land’s End. Nel 1967 il segnale fu elettrificato e modernizzato: la lampada divenne elettrica e la nuova ottica rotante produceva un fascio isofase;[28] di 5 secondi seguito da altri 5 di eclisse, bianco o rosso a seconda della direzione di osservazione e visibile a 19 miglia nautiche. anche il segnale da nebbia, del tipo esplosivo a cartucce di nitrocellulosa,[29] fu sostituito con un più moderno corno ad aria. La realizzazione di una piattaforma sopra alla lanterna per l’atterraggio degli elicotteri alla fine degli anni ’70 rese l’avvicendamento del personale più rapido, ma non meno avventuroso: inevitabile che Longships fosse tra i primi candidati per l’automazione, che avvenne senza interruzione del servizio tra il 1987 e l’inizio del 1988. La cisterna dell’acqua potabile alla base dell’edificio, convertita in serbatoio del gasolio, avrebbe alimentato i nuovi motori diesel per almeno sei mesi. Da allora, il personale vi si reca solo per i rifornimenti e per la manutenzione programmata.

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11 – Longships dalla terraferma, a Carn Barra (© B. Jones)

Land's End in una mappa del 1946.

12 – Land’s End in una mappa del 1946: a sinistra è indicato il faro.

Storie e leggende

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13 – La piccola Mary, in piedi sopra ad una Bibbia, accende le lampade del faro: illustrazione da “The watchers on the Longships. A tale of Cornwall in the last century” di J.F. Cobb (1905, pag. 208.)

Il faro di Longships fu oggetto di racconti e leggende popolari che si confondono con la cronaca. Nel dicembre del 1842 un quotidiano locale riferì che uno dei due guardiani, un uomo di nome Clement, tornò a terra con i capelli completamente grigi dopo essere stato intrappolato al faro con un collega per ben quindici settimane. Nel 1861 si riporta un incidente nel quale avrebbe perso la vita un farista, lasciando il collega a governare il faro fino all’arrivo dei soccorsi. Secondo lo scrittore C. Nicholson[7] l’autenticità della notizia resta dubbia poiché il fatto sembra ricalcare quanto accaduto invece alle Smalls agli inizi del XIX secolo. Nel 1873 la stampa riferì invece di un guardiano che, recatosi sulla terraferma per acquistare le provviste, sarebbe stato rapito dai wreckers che speravano così di impedire l’accensione del faro. Quella notte, però, la luce entrò in funzione lo stesso per guidare le navi lungo il passaggio: ad accenderlo fu la figlia dello stesso farista che, non vedendo rientrare il padre, si prodigò ad accendere la luce alzandosi in punta di piedi sopra ad una grossa Bibbia per arrivare alle lampade, garantendone il funzionamento per molte notti prima di essere raggiunta dai soccorsi. La storia, non priva di retorica, è abbastanza inverosimile da essere classificata tra le leggende senza tema di smentita (all’epoca i guardiani erano almeno tre e i familiari non soggiornavano al faro) ma piacque a James Francis Cobb che la riprese nel suo romanzo Watchers on the Longships (1878) insieme a quella del farista tornato con i capelli grigi. Secondo lo scrittore, i rumori del vento tra le fessure della roccia ed amplificati dall’acustica dell’edificio avrebbero terrorizzato alla follia «più di un farista» tra i meno esperti. La leggendaria rumorosità del faro di Douglass, citata anche da Charles Paolini in I guardiani dei fari, ha però un fondo di verità: all’interno della torre in pietra, un canale lungo 35 metri e largo poco più di due, ogni urto delle onde risuona «come un corno da caccia.»[1][30]

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14 – Le Longships (© R. Croft/Geograph)

Note

  1. [1]Paolini, Charles I guardiani dei fari. Sentinelle del mare. Storie e leggende Milano: Magenes, 2012. Pag. 111.
  2. [2]È erroneamente ritenuto l’estremo occidentale della terraferma britannnica, ma in realtà Ardnamurchan Point in Scozia è più a ovest.
  3. [3]John o’ Groats, in Scozia, è l’estremo nord–orientale e dista 1400 km da Land’s End
  4. [4]cfr. History in Pictures
  5. [5]Prima di essere una taverna, era una semplice casa con un cartello che recitava «The first and last house» (cfr. History in Pictures)
  6. [6]Le navi lunghe (longships o longboats) sono la tipologia di navi, tipicamente utilizzate dai vichinghi nordici, cui appartengono i famosi drakkar o drekkar.
  7. [7]Nicholson (op. cit.)
  8. [8]In particolare lo scoglio di “Runnelstone”, vicino alla costa quattro miglia a sud est, e Wolf Rock 8 miglia a sud–ovest, uno scoglio granitico sul quale solo nel 1795 sarebbe stato costruito l’omonimo faro.
  9. [9]In realtà lo si diceva di molte coste, in Inghilterra.
  10. [10]correnti tidali: causate dai moti di marea.
  11. [11]Nelle comunità costiere della Cornovaglia si insegnava ai bambini a pregare Dio di benedire i genitori e far trovare loro una bella nave sugli scogli ogni mattina: «God bless father’n mither an’ zend a good ship to shore vore mornin’». Cfr. Nicholson, (op. cit.).
  12. [12]Larn, Richard; G. Edwin Mills. Shipwrecks at Land’s End. 1970. p. 34.
  13. [13]Trinity House è ancor oggi l’autorità competente per i fari di Inghilterra, Galles, Isole del Canale e Gibilterra.
  14. [14]Probabilmente un ufficiale (o ex– tale) della Royal Navy.
  15. [15]Gli unici tre isolotti a non essere sommersi dall’alta marea sono Tal–y–Maen, Karn Bras e Meinek.
  16. [16]La lampada Argand è un tipo di lampada ad olio inventata nel 1783 dal chimico svizzero Aimé Argand (1750 — 1803).
  17. [17]La luce fissa era una caratteristica insolita per un faro, anche all’epoca.
  18. [18]La sua più celebre opera sarebbe stata il faro di Bell Rock, nel 1811.
  19. [19]«incapable of managing the concern». Cfr. Trinity House (op. cit.), Nicholson pag. 69 (op. cit.)
  20. [20]Era una prigione per debitori e bancarottieri, chiusa nel 1844.
  21. [21]I fari erano mantenuti grazie a fees, i pedaggi, tasse riscosse agli armatori in base al tragitto della nave.
  22. [22]Un caso simile si era verificato al faro delle Skerries nel 1725.
  23. [23]Trinity House (op. cit.)
  24. [24]La concessione sarebbe scaduta nel 1845.
  25. [25]Già progettista del faro di Small Island (1861) e supervisore di quello di Wolf Rock (1869), fu in seguito membro (fellow) della Royal Society, ingegnere in capo di Commissioners of Irish Lights (ente per i fari d’Irlanda ed Irlanda del Nord), progettista del terzo faro di Bishop Rock (1877) ed il quarto faro di Eddystone (1877)
  26. [26]Quello che oggi chiameremmo site manager, il direttore dei lavori.
  27. [27]Noall, C. Cornish Shipwrecks Illustrated. Truro: Tor Mark Press; 1969. p. 21
  28. [28]Isofase: è la caratteristica luminosa in cui la luce ha la stessa durata dell’eclissi; in questo caso ad esempio 5 + 5 secondi.
  29. [29]Un segnale di questo tipo era stato installato anche sul terzo faro a Bishop Rock nel 1877.
  30. [30]Secondo Paolini la rumorosità era dovuta anche al fatto che la torre fosse in ferro. A Longships però non è mai esistito un faro metallico, entrambi gli edifici furono costruiti in granito.

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. © Ian Woolcock: Storm at Lands End Cornwall England. Fotolia.
  2. © Roger Butterfield, 9-5-2006 [CC-BY-SA 2.0] Geograph.
  3. © Lewis Clarke, 2-7-2011 [CC-BY-SA 2.0] Geograph.
  4. © Chris Dorney 18-9-2012. Depositphotos.
  5. © olliemt1980, 3-7-2014. Depositphotos.
  6. Robert Swain Gifford, 1877. The Wreckers. [PD] Commons.
  7. Trinity House [PD] tavola nº 1122 (via Little Dart).
  8. John Thomas Blight, 1861 [PD] Commons.
  9. Themistokles von Eckenbrecher, 1891 [PD] Commons.
  10. © urbanbuzz, 6-8-2014. Depositphotos.
  11. © Bob Jones, [CC-BY-SA 2.0] Geograph.
  12. Ordnance Survey Map [PD] Commons.
  13. 1905, da Cobb, James F. The Watchers on the Longships. A Tale of Cornwall in the Last Century. 25ª ed. London: W. Gardner, Darton, 1905. 208. Internet Archives.
  14. © Richard Croft [CC-BY-SA 2.0] Geograph.
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Silvio DellʼAcqua

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Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.