1989: fuga dal Vaticano (in autostop)

In Dal mondo, Storia di Silvio DellʼAcqua

Schwalbach, Germania Ovest, una cittadina nel Saarland vicino al confine con la Francia. Era il 1° aprile del 1989 e mancavano 222 giorni al cosiddetto “crollo” del Muro di Berlino. Un funzionario del comune in vena di burle compilò una richiesta di asilo politico a nome di un rifugiato polacco, tale “Karol Wojtyla”, classe 1920, professione: Papst (Papa). Nella motivazione della richiesta il malcapitato riferiva di essere fuggito da Roma, dove era stato «costretto a diventare rappresentate ufficiale della mafia vaticana», ed essere arrivato a Schwalbach in autostop. In seguito l’impiegato burlone fu spostato in un altro ufficio e chi lo sostituì si trovò sulla scrivania una richiesta di asilo da parte del signor Karol Wojtyla, professione pontefice, in fuga dalla mafia vaticana.[1]
Forse il nuovo funzionario restò un po’ perplesso, ma fece quello che avrebbe fatto un Bürokrat tedesco: mandò avanti la pratica. Così, al papa autostoppista fu concesso dapprima un permesso di soggiorno provvisorio (ironia della sorte: con atto numero 666) e, nonostante non si fosse presentato alla visita di controllo, fu in seguito assegnato a un centro profughi nella Renania-Palatinato dove lo avrebbero però atteso invano. Apparentemente, in tutto questo, nessuno si accorse  che la fototessera allegata alla pratica non raffigurava nemmeno Giovanni Paolo II ma un altro celebre polacco, tale Lech Wałęsa, attivista politico, fondatore di Solidarność (chi ha vissuto gli anni della guerra fredda si ricorderà questo nome), il sindacato che proprio nell’aprile dell’89 avrebbe ottenuto il riconoscimento legale di partito politico e che l’anno successivo porterà lo stesso Wałęsa alla presidenza della Polonia. Ci vollero molti mesi prima che qualcuno si accorgesse della beffa e la storia uscisse sulla stampa locale.[1]
Lech Wałęsa

Lech Wałęsa



Forse la scelta dei personaggi, nella mente dell’ideatore, celava una certa polemica anticattolica (Wojtyła era il Papa, ma anche Wałęsa era un convinto cattolico) e anticlericale (nel riferimento alla «mafia vaticana»), forse l’ironia era più di matrice politica (sia Wojtyła che Wałęsa erano anticomunisti); o forse la nazionalità dei due tradiva un sentimento anti-polacco, cosa che all’epoca accomunava le due Germanie ancora divise: ad est perché li si collegava al sindacato Solidarność che, essendo filocattolico e antisovietico, era inviso ai sostenitori della Deutsche Demokratische Republik ed alla propaganda di regime; ad ovest invece perché i polacchi erano vittima di uno stereotipo razzista che li vedeva come poveraglia dell’est venuta a rubare il lavoro e le automobili — all’epoca infatti erano molto comuni tra i tedeschi occidentali battute tipo «Komm nach Polen: dein Auto ist schon da![2]» (vieni in Polonia: la tua auto è già qua). O, infine, nulla di quanto sopra: forse fu un Aprilscherz, un semplice “pesce d’aprile” fine a sé stesso.


  1. [1]cfr: Vannuccini, Vanna e Francesca Predazzi Piccolo viaggio nell’anima tedesca. Milano: Feltrinelli, 2017.
  2. [2]Möller, Stephen Viva Polonia: Als deutscher Gastarbeiter in Polen (2018)

piccolo viaggio nell'anima tedesca (copertina)


L'autore

Silvio DellʼAcqua

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Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.