Le micronazioni -a differenza dei microstati, che sono entità sovrane internazionalmente riconosciute- sono piccole comunità che, con le più diverse motivazioni, si sentono, si ritengono una nazione e come tale chiedono di essere considerate: nazione, non necessariamente stato. La differenza è che non tutte pretendono di battere moneta, avere dei confini, un esercito che li difenda e tutte queste cose che caratterizzano gli “stati”. Una nazione è un popolo che cerca la propria identità, la propria autodeterminazione, e non sempre ciò coincide con una bandiera ed un governo. Nel caso delle micronazioni, però, questi “popoli” si riducono ad una manciata di persone, a volte una sola, lo spazio geografico si riduce ad un fazzoletto di terra, un’isoletta, quando non ad uno spazio virtuale come la rete. Ma uno spazio -reale o meno- aspramente rivendicato. Questa “ossessione” fa delle micronazioni dei simboli di libertà, delle isole felici che affascinano i sognatori e trovano sostenitori in tutto il mondo, per i quali la possibilità di risiedervi davvero è spesso irrilevante (come per i cittadini di Ladonia). Alcune riescono a diventare anche microstati con un proprio territorio, come la repubblica di Cospaia, Tavolara o il Principato di Sealand, altre sono solo quartieri le cui velleità indipendentiste sono tollerate dalle autorità che ne fanno un vantaggio turistico; altre ancora sono puramente culturali ed esprimono la propria simbolica territorialità solo su eventi come i concerti del “Neue Slowenische Kunst”. Non mancano infine controverse reinterpretazioni di eredità dinastiche o rocamboleschi tentativi di aggirare il diritto internazionale e ritagliarsi un propria minuscola nicchia nella quale «dichiarare la propria, insindacabile, sovranità». Il libro di Graziani, Stati d’eccezione, racconta in modo approfondito le motivazioni e le storie, eccentriche ai limiti del surreale ma tutte rigorosamente vere, di 41 micronazioni: «una sorta di continente sommerso, tutto da esplorare.»
Silvio Dell’Acqua