La cripta dei Chase

In Geografia insolita, Leggende contemporanee, Speciale Halloween, Superstizioni e credenze di Silvio DellʼAcqua

Chase Vault nel 1815


La cripta dei Chase agli inizi del ‘900, da West Indian tales of old (Londra 1915).
The twelve month and a day been gone,
A voice spoke from the deep:
«Who is it sits all on my grave,
and will not let me sleep?»
Il dodicesimo mese e un giorno[1],
Una voce parlò dal profondo
«Chi è seduto sulla mia tomba
e non mi lascerà dormire?»


The Unquiet Grave (La tomba inquieta), ballata popolare britannica

Sin dall’antichità si crede che i fantasmi siano le anime dei “morti inquieti”, intrappolati tra il mondo dei vivi e impossibilitati a raggiungere quello dei morti: destino questo riservato tanto agli insepulti, cui è mancata cioè una degna sepoltura, quanto ai morti ante diem, ossia prima del compimento del proprio legitimus tempus fati.[2] Una morte prematura quindi, proprio come accadde alla piccola Mary Anna Chase, deceduta nel 1808 a soli due anni, ed alla sorella Dorcas di quattro, che la raggiunse nel 1812. E al padre Thomas, suicidatosi solo un mese dopo. Una storia lugubre cui fa seguito un enigma sconcertante: tumulate nella cripta di famiglia nel piccolo cimitero coloniale britannico di Christ Church, ad ogni apertura della pesante lastra di marmo che ne chiudeva l’accesso le bare vennero ritrovate spostate e senza apparenti segni di effrazione. Non siamo però nell’Inghilterra dei castelli diroccati e delle antiche magioni, ma a Oistin Bays sull’isola di Barbados nel mar dei Caraibi, luogo forse più adatto ad una cartolina che ai racconti di fantasmi. E a differenza di questi ultimi, i fatti della cripta dei Chase sembrano essere ben documentati.
Spiaggia ad Oistins Bay, Barbados

2 – Le incantevoli spiagge di Oistin Bay, Barbados.

Barbados è la più orientale delle isole dei Caraibi e la sua posizione geografica ne ha influenzato profondamente la storia e la cultura: comunemente considerata parte dell’arcipelago delle Piccole Antille, limite geografico fra il mar dei Caraibi e l’oceano Atlantico, in realtà si trova molto ad est rispetto a queste e relativamente isolata. Primo approdo quindi per le navi che provenivano dall’Atlantico, l’isola fu dal tardo XVII secolo un collegamento principale tra la Gran Bretagna, il continente africano e gli stessi Caraibi. Mentre le altre isole passavano di mano in mano tra le potenze coloniali, l’isolamento di Barbados contribuì ad una certa stabilità tanto che fu possedimento britannico ininterrottamente dal 14 maggio 1625, quando fu rivendicata come tale per conto del re Giacomo I d’Inghilterra[3] dal capitano Henry Powell, fino al 1966 quando ottenne l’indipendenza pur restando nell’ambito del Commonwealth.

Posizione di Barbados nei Caraibi

3 – Posizione di Barbados nei Caraibi (Commons ).

Sull’isola si insediarono sin dai primi anni ricchi tenutari britannici che disboscarono gran parte della superficie per coltivare tabacco, cotone, canna da zucchero (importata dal Pernambuco ad opera degli olandesi nel 1640[4]) e, primi nei Caraibi, barbabietola da zucchero. Le piantagioni si rivelarono molto produttive e l’economia dell’isola prosperò a discapito degli schiavi importati dall’Africa per soddisfare la crescente richiesta di manodopera. Il diplomatico britannico George Downing annota che nel 1645 furono importati «non meno di mille neri»[4] e nel 1651 lo statuto di Barbados ammetteva candidamente che la fonte principale di ricchezza degli abitanti consisteva «nel lavoro dei loro servi».[4]
Quaccheri a Barbados, 1700

Inglesi quaccheri e schiavi africani in una piantagione di tabacco a Barbados, stampa olandese del 1700 c.a (New York Public Library )

Arriviamo al XIX secolo con una situazione pressoché immutata. Il colonnello Thomas Chase era uno dei ricchi tenutari dell’isola, noto localmente per l’eccessiva crudeltà verso gli schiavi e per il pessimo carattere. Nel 1808 la famiglia Chase fu colpita da un terribile lutto: la piccola Mary Ann Maria morì alla tenera età di due anni. Non disponendo di una cappella di famiglia, per poter dare degna sepoltura alla piccola il padre dovette acquistarne una. Si trovò così una cripta di “seconda mano” nel vecchio cimitero della chiesa parrocchiale di Christ Church[5] a Oistin Bay, costruita nel lontano 1724 da tale James Elliot e da lui mai utilizzata. Nei secoli precedenti infatti, vari membri delle famiglie di coloni avevano fatto costruire cappelle funerarie sull’isola, solitamente interrate per evitare che fossero danneggiate dalla furia dei frequenti uragani.[6] Anche quella che in seguito sarebbe diventata sinistramente nota come la “cripta dei Chase” (Chase Vault) era seminterrata, una stanza di due metri per quattro con soffitto a volta, realizzata interamente in blocchi di arenaria corallina sigillati con malta di cemento. Rimasta inutilizzata per oltre ottant’anni, quando fu acquistata da Chase conteneva già un “ospite”: tale Thomasina Goddard (probabilmente parente dei precedenti proprietari), tumulata appena l’anno precedente (1807) e che si decise di lasciare dov’era quando la piccola bara di Mary Ann Maria fu interrata.
Mappa di Barbados, 1888

Mappa di Barbados del 1888 con le suddivisioni amministrative: quella di Christ Church è la più meridionale.



Nel 1812 sarebbe stata purtroppo raggiunta dalla sorellina maggiore Dorcas, affetta da un male oscuro che oggi sarebbe stato forse diagnosticato come anoressia: quando morì, all’età di quattro anni, si disse che si era lasciata morire di fame nel disperato tentativo di sfuggire alla brutalità del padre. Che fosse vero o semplicemente maldicenze dovute alla sua cattiva fama, l’uomo più detestato di Barbados fu sopraffatto dal dolore per questa seconda, terribile perdita e soltanto un mese dopo, nell’agosto del 1812, si tolse la vita. Si racconta che ci vollero otto uomini per spostare la pesante lastra di marmo che chiudeva l’accesso, ma quando la cripta fu di nuovo aperta il 9 agosto per deporre la salma del colonnello, uno spettacolo inquietante si rivelò agli occhi dei presenti: le bare erano state evidentemente spostate da mani ignote e quella della piccola Mary Ann Maria aveva apparentemente attraversato la stanza e si trovava appoggiata nell’angolo opposto. La prima reazione dei bianchi convenuti al funerale fu ovviamente di accusare i lavoratori neri della profanazione, ma questi — altrettanto ovviamente — negarono con decisione di aver profanato la tomba. Le bare furono rimesse a posto aggiungendo il feretro di Thomas Chase; la cripta fu richiusa con cura e sigillata con il cemento.

Circa quattro anni dopo, il 25 settembre 1816, dovette essere aperta di nuovo per riporvi i resti del piccolo Samuel Brewster Ames di soli 11 mesi, figlio di un altro tenutario bianco dell’isola e parente dei Chase. Dall’esterno l’ipogeo sembrava inviolato, ma anche questa volta le bare all’interno erano state misteriosamente spostate e quella di Thomas Chase fu ritrovata girata su un lato. Pochi mesi prima, dal 14 al 16 aprile del 1816, si era verificata una grande rivolta degli schiavi[7] passata alla storia come la “ribellione di Bussa” dal nome del nativo africano che l’aveva guidata, uno schiavo impiegato come ranger nelle piantagioni. I proprietari terrieri repressero i disordini con la solita brutalità, avvalendosi del 1st West India Regiment dell’esercito britannico, una unità militare composta in gran parte di schiavi liberati e costretti quindi ad aprire il fuoco contro i propri fratelli africani. La rivolta fu presa a pretesto dagli inglesi per incolpare ancora una volta i neri, motivati dal desiderio di vendetta per i compagni caduti durante la soppressione della rivolta.
Bussa Emancipation Statue, Bridgetown

6 – Monumento alla “rivolta di Bussa” del 1816, eretto a Bridgetown nel 1985. La schiavitù a Barbados fu abolita nel 1834.



Tuttavia ciò era molto improbabile: nonostante il (comprensibile) risentimento nei confronti dello schiavista e degli inglesi tutti, la popolazione di colore era piuttosto superstiziosa e nessun africano o creolo avrebbe voluto nemmeno avvicinarsi al cimitero dopo il tramonto, per via delle voci sinistre che avevano iniziato a circolare sulla cripta. Figuriamoci entrare in una tomba di notte. Gli stessi inglesi, che pur non perdevano occasione per incolpare i negroes, non erano del tutto convinti di questa spiegazione perché il locale disponeva di un solo accesso e la pesante lastra di marmo blu del Devonshire che chiudeva l’ingresso non presentava segni di manomissione. Inoltre, se le bare delle bambine e della signora Goddard erano relativamente leggere, Thomas Chase era un uomo corpulento e la sua bara, rivestita internamente in piombo, aveva richiesto otto[8] o addirittura dodici[9] uomini per essere trasportata. Quante persone sarebbero state necessarie per mettere a soqquadro l’intera cripta?

chiesa parrocchiale di Christ Church a Oistins

L’attuale chiesa parrocchiale di Christ Church a Oistin, Barbados, nella parrocchia civile omonima. Intorno si vedono le varie cripte interrate del cimitero (foto: Commons ).

Le bare furono rimesse di nuovo a posto e il caveau fu richiuso, ma dopo soli due mesi, il 17 novembre 1816, sarebbe stato aperto di nuovo. Samuel Brewster Ames, questa volta il padre del piccolo Samuel Brewster da poco sepolto, era stato ucciso da alcuni schiavi durante la rivolta di aprile ma, stante l’emergenza in corso, la salma aveva ricevuto una sepoltura provvisoria a St. Philips[10] — pratica piuttosto comune in questi casi — ed ora si voleva ricongiungerla con quella del figlioletto. Frattanto le voci su misteriosi fatti del cimitero di Christ Church erano girate ed una piccola folla di curiosi si era radunata intorno alla cripta per assistere all’apertura. Visti i precedenti, questa volta la lastra di marmo fu esaminata ancor più attentamente e, dopo ever convenuto che non vi erano segni di effrazione, fu lentamente aperta. La luce del sole rivelò, tra lo stupore generale, che ancora una volta le bare erano state spostate e disposte a caso nel locale; quella della Goddard era addirittura sfracellata probabilmente dall’urto contro una parete. Il reverendo Thomas Orderson, rettore della parrocchia, ispezionò accuratamente la cripta  insieme ad altri tre uomini senza trovare nulla, se non delle tracce di fango e umidità che potevano far pensare agli effetti di un’alluvione. A Barbados piove molto, soprattutto da giugno a novembre, e se la cappella si fosse allagata le bare avrebbero forse potuto galleggiare all’interno di essa. Il terreno, composto prevalentemente da calcare corallino pleistocenico, era abbastanza poroso da far defluire rapidamente l’acqua. Sennonché la cripta era stata chiusa da solo sei settimane: avrebbe potuto l’acqua, in un lasso di tempo così breve, riempire l’ipogeo tanto da sollevare i feretri e poi defluire completamente?

La cripta dei Chase come appare oggi (2013, Kaspar C/Flikr )

Se da una parte le prime decadi dell’Ottocento furono caratterizzate da importanti scoperte scientifiche e progressi tecnologici (il vaccino contro il vaiolo,[11] la pila di Volta, la locomotiva a vapore,[12] solo per citarne alcuni), dall’altra si diffondeva in occidente un certo interesse per tutto ciò che era misterioso e stravagante: la letteratura gotica celebrava le storie di fantasmi e antichi manieri, proprio in quegli anni Mary Shelley scrisse il Frankenstein (1817) e John Polidori lanciò il mito del vampiro moderno con un celebre racconto pubblicato su New Monthly Magazine (1819). Non stupisce quindi che, mentre i lavoratori delle piantagioni si tenevano alla larga dalla cripta ritenendola afflitta da una qualche maledizione voodoo, l’intera popolazione bianca dell’isola — proprietari terrieri, amministratori, perfino navigatori di passaggio — potesse nutrire una curiosità quasi morbosa per il mistero delle “bare animate” di Barbados e attendesse la prossima apertura come un evento. Sarebbero stati accontentati tre anni dopo, il 17 luglio del 1819, quando il caveau dovette essere aperto di nuovo per accogliere tale Thomasina (o Thomazine) Clarke, un’altra parente dei Chase recentemente deceduta.
Nel frattempo, nel 1817, un nuovo governatore era stato nominato a Barbados. Era il feldmaresciallo Lord Stapleton Cotton, I visconte Combermere (1773 – 1865), generale britannico comandante delle West Indian Forces che già era stato comandante di cavalleria sotto il Duca di Wellington durante la guerra d’indipendenza spagnola, persona stimatissima e di comprovata fiducia. Anch’egli incuriosito dalle voci sulla misteriosa cripta decise di partecipare alle esequie e fu quindi testimone del fatto. Anche questa volta le bare furono trovate irrispettosamente sparse per la stanza mentre i resti di quella distrutta della Goddard, precedentemente accantonati in un angolo, furono ritrovati esattamente dov’erano e ciò sembrava smentire l’ipotesi alluvionale. Se l’acqua fosse stata in grado di spostare pesanti bare piombate, infatti, avrebbe sicuramente dovuto spazzare via anche un mucchietto di legni e ossa.
Stapleton Cotton, I visconte Combermere

Stapleton Cotton, I visconte Combermere, in un dipinto di Mary Martha Pearson (National Portrait Gallery ).


La stanza fu accuratamente ispezionata dal governatore e dai suoi attendenti alla ricerca di botole, passaggi, crepe, segni di manomissione, ma senza successo. Risistemate per l’ennesima volta le bare, il pavimento fu cosparso di finissima sabbia, in modo che un eventuale intruso non avrebbe potuto evitare di lasciare impronte. La lastra che chiudeva l’ingresso fu infine nuovamente sigillata con il cemento, sul quale però diversi funzionari, compreso il governatore, apposero questa volta i propri suggelli. Ormai la curiosità era altissima, l’intera isola parlava del mistero dei Chase e la popolazione fremeva per assistere alla prossima apertura. In mancanza del pretesto di un morto da metterci dentro o forse, come riferisce il reverendo Orderson, in conseguenza di un «rumore udito nella notte»,[10] il governatore ordinò una ispezione d’ufficio allo scopo di verificare lo stato del caveau. L’apertura straordinaria fu fissata per il 18 aprile 1820 e quel giorno migliaia di persone si affollarono dentro e fuori il piccolo cimitero, tanto che i villaggi rimasero deserti. La curiosità vinse sulle superstizioni e superò le barriere sociali: perfino i lavoratori neri si mischiarono ai bianchi nella folla galvanizzata[] e per un giorno almeno furono tutti uguali, uniti da un misto di ansia ed eccitazione per l’inspiegabile.

The scorching rays of the sun blazed forth in tropical splendour upon that sea of living forms. European and negroes, all crowded together in their varied attires, and scarcely less varied complexions, upon the brow of a hill, with the massice stone tombs rising here and there above them, and the old church standing forth in sombre relief, as if a connecting link between the living and the dead, made the scene altogether one wich begarred description, while perhaps its peculiar interes was in the death–like silence that reigned over it — the silence of mute anxiety and superstitious awe.
I raggi cocenti del sole ardevano in uno splendore tropicale su quel mare di forme viventi. Europei e negri, tutti ammassati nei loro vari abbigliamenti e nelle carnagioni appena meno varie, sul ciglio di una collina, con le tombe di pietra massiccia che si innalzano qua e là sopra di loro, e la vecchia chiesa che si stagliava in un solenne il legame tra i vivi e i morti, rendeva la scena a stento credibile, mentre forse il suo particolare interesse era nel silenzio quasi mortale che regnava su di esso — il silenzio dell’ansia muta e del timore superstizioso.


Da Memoirs and correspondence of field–marshal viscount Combermere (1866), vol. I pag. 391[]

Oltre allo stesso governatore le fonti citano tra i presenti all’ispezione, Mr. R. Bowcher Clarke (forse parente della sepolta Thomasina), Mr. Rowland Cotton, l’on. Nathan Lucas, il reverendo Orderson, rettore della parrocchia e il maggiore J. Finch, segretario militare del governatore, e una manovalanza di una decina di neri piuttosto riluttanti.[13] Ispezionato accuratamente l’esterno e verificata la perfetta integrità dei sigilli, si procedette con l’apertura dell’accesso. Questa volta, però, la lastra sembrava bloccata da qualcosa. Con grande sforzo gli operai riuscirono a spostare il marmo solo di qualche pollice e quando l’apertura fu sufficiente a far passare una persona si poté constatare che a bloccare la lastra era il pesante feretro di Thomas Chase appoggiato contro di essa. All’interno, le bare erano ancora una volta spostate e — fatto ancor più incredibile — il tappeto di sabbia fine era intonso, prova certa che né l’acqua né l’uomo erano entrati nella cripta. La bara della piccola Mary Ann Marie era stata scagliata con tanta violenza contro la parete opposta da lasciare un segno nell’arenaria. Fu eseguito un disegno dello stato della cripta e redatto un memorandum manoscritto siglato dal parroco Orderson:[13]

Feb. 22, 1808. Vault opened for Mary Ann Maria Chase, infant daughter of the Honbl. Thomas Chase.
22 febbraio, 1808. Cripta aperta per Mary Ann Maria Chase, figlia infante dell’Onorevole Thomas Chase.


July 6, 1812. Vault opened for Dorcas Chase. Mary Ann Maria Chase’s coffin was found in its proper place.
6 luglio, 1812. Cripta aperta per Dorcas Chase. La bara di Mary Ann Maria Chase fu trovata al suo posto.


Aug. 9, 1812. Vault opened for the Honbl. Thos. Chase. The two coffins above–mentioned were found out of their proper place. The infant’s especially, wich had been throwns to the opposite angle of the vault.
9 agosto, 1812. Cripta aperta per l’On.  Thomas Chase. Le due bare summenzionate furono trovate fuori posto. Specialmente quella dell’infante, che è stata gettata nell’angolo opposto della cripta.


Sept. 25, 1816. Vault opened for Samuel B. Ames, an infant. Coffins in great disorder.
25 settembre, 1816. Cripta aperta per Samuel B. Ames, un infante. Bare in grande disordine.


Nov 17, 1816. Vault open for Thomazin Clarke, Coffins found in great confusion. At each time of the Vault being opened, the coffins were carefully replaced in their proper place, and the mouth of the Vault regularly closed by masons.
17 novembre, 1816. Cripta aperta per Thomazin Clarke, bare trovate in gran confusione. Ad ogni apertura della cripta, le bare vennero rimesse al proprio posto e l’accesso regolarmente chiuso dai muratori.


April 18, 1820. In consequence of a noise being heard one night in the Vault, it was opened next day in the presence of Lord Combermer and two other persons of first respectability, and the same confusion prevailed among the coffins, all of which were of lead, exept Thomazin Clarke’s, wich was of cedar.
18 aprile, 1820. In conseguenza di un rumore udito una notte dalla cripta, questa fu aperta il giorno seguente alla presenza di Lord Combermere e due altre persone di assoluta rispettabilità, e la stessa confusione prevalse tra le bare, le quali erano tutte di piombo tranne quella di Thomazin Clarke che era di cedro.


Signed Thomas H. Orderson,
Rector.

Firmato Thomas H. Orderson,
Rettore


da Folk–Lore, 1907[10]

cripta dei Chase all'apertura nel 1829

Disposizione delle bare al 7 luglio del 1819 e come furono all’apertura il 18 aprile 1820: schizzo riportato da Folk–Lore nel 1907 (op. cit.)

Quando è troppo è troppo. Fu ordinato che le bare venissero immediatamente rimosse e interrate separatamente; la cripta da allora fu lasciata aperta e vuota come si trova ancora oggi e nessuno la usò più. Da allora non si verificò più alcun fatto inspiegabile al suo interno o nel piccolo cimitero. La terza moglie del governatore, Mary Woolley, pubblicherà le Memorie e corrispondenza del Visconte Combermere a Londra nel 1866. La schiavitù a Barbados sarebbe stata definitivamente abolita nel 1834.

Quale misteriosa forza tormentava l’eterno riposo dei Chase? Già all’epoca qualcuno ipotizzò che fosse l’effetto di qualche attività vulcanica o sismica, ma non furono registrate attività sismiche rilevanti a Barbados tra il 1812 ed il 1820. Altra ipotesi è quella dell’acqua: nel 2014 lo scrittore e divulgatore scientifico Brian Dunning in un suo articolo su Skeptoid[8] ha calcolato che la bara di Thomas Chase avrebbe dovuto pesare non più di quattrocento chilogrammi per essere agevolmente spostata da otto uomini; pertanto, ipotizzando un volume tra i 400 e i 900 litri, per il principio di Archimede avrebbe potuto galleggiare. Una delle spiegazioni più bizzarre fu invece quella fungina:[9] il 19 luglio del 1952 apparve sul tabloid londinese Everybody’s Weekly un articolo sul caso della cripta dei Chase. Poco tempo dopo l’autore, Valentine Dyall, fu contattato da tale Mr Gregory Ames di Londra il quale esibì una lettera scritta il giorno di Natale del 1820 dal bisnonno barbadiano, parente stretto degli Ames (padre e figlio) sepolti nella cappella e testimone oculare dell’accaduto. Nella lettera, il bisnonno sosteneva che la causa dello spostamento delle bare fosse un fungo “esplosivo” che cresce abitualmente nelle grotte e nelle caverne di Honduras. Si riferiva probabilmente a qualche tipo di “vescia” o puffball fungi, nome volgare sotto cui vanno diverse specie fungine che, giunte a maturazione, rilasciano una piccola nuvola di spore che sembra una esplosione. A sostengo di ciò riferiva anche la testimonianza di uno schiavo anziano di Barbados, il quale gli aveva raccontato che il motivo per cui la cripta non ospitava il corpo del John Elliott che l’aveva fatta costruire nel 1724, era che si preferì seppellirlo altrove per via di misteriosi suoni, come «esplosioni ovattate», che si udivano al suo interno; questo molto tempo prima che vi fossero sepolti i Chase. Tuttavia le testimonianze sottolineano l’accuratezza delle ispezioni e non fanno menzione di funghi o tracce di essi; inutile dire poi che non si conoscono funghi esplosivi di tale potenza da spostare o fare a pezzi delle bare. Non mancarono poi teorie occultistiche o (in tempi più recenti) addirittura“ufologiche[9] sulle quale non vale la pena dilungarsi. Escludendo forze soprannaturali, per molti la spiegazione più ovvia fu il vandalismo da parte dei lavoratori neri delle piantagioni. Avevano il movente, ossia la vendetta nei confronti dello schiavista Chase e della popolazione bianca in genere. Né le loro proteste d’innocenza, né il terrore che li teneva al largo dal cimitero furono considerate prove sufficienti a scagionarli. Del resto, «è colpa del nero» è un leitmotiv di cui — ancor oggi — il mondo occidentale fatica a sbarazzarsi. Ma già allora non tutti erano d’accordo sulla tesi dolosa e il tappeto di sabbia ritrovato intatto all’ispezione del 1820 certo non contribuiva ad avvalorala.

Bridgetown, Barbados. Litografia del 1848

Bridgetown, il capoluogo di Barbados, in una litografia da The History of Barbados di R. H. Schomburgk, 1848 (op. cit.)

In effetti c’è una spiegazione ancor più semplice al fenomeno delle “bare erranti” di Barbados, e cioè che nulla di tutto ciò sia mai accaduto. La cripta è lì ancor oggi, essa stessa prova della propria esistenza ma non di ciò che vi avvenne all’interno. Il Book of Christ Church, il registro della parrocchia, conferma le sepolture[14] ma — proprio in quanto documento meramente burocratico — non fa menzione degli strani fatti ad esse collegati. Se esistettero altri registri, andarono probabilmente perduti nell’uragano del 1831 che distrusse la chiesa. A Barbados esistevano però i giornali: il Barbados Gazette veniva pubblicato dal 1731, ma la cronaca dell’epoca non fa menzione di questa storia, il che è molto strano se è vero, come si legge nelle Memorie e corrispondenza di Combermere, che i fatti di Christ Churh destarono molto clamore e interesse sull’isola. La prima testimonianza scritta e sopravvissuta sembra essere il libro del 1833 Transatlantic Sketches nel quale il capitano James Alexander annota le sue visite «nei luoghi più interessanti del Nord e Sud America, e le indie Occidentali [i Caraibi, n.d.a] con note sulla schiavitù nera e l’emigrazione canadese». Il capitano Alexander spende per la famigerata cripta qualche paragrafo, trattandola alla stregua di una curiosità locale da Lonely Planet: «Non è generalmente noto che a Barbados c’è una misteriosa cripta, dove nessuno osa depositare i morti. È in un cimitero in riva al mare».[15] Il libro tuttavia non riporta alcuna fonte, ed essendo Alexander salpato solo nel 1831 va da sé che la sua non può essere una testimonianza di prima mano. Nello stesso anno (1833) la storia venne raccontata dal giornalista Thomas Byerley (1789–1826), noto con lo pseudonimo Reuben Percy, nella “Percy’s Anedocte Gallery” del settimanale The Mirror of Literature, Amusement, and Instruction (nº 22), ma cita come fonte proprio il libro del capitano Alexander. Nel 1848 anche il libro The history of Barbados del geografo Robert Herman Schomburgk, pubblicato anch’esso a Londra, tratta brevemente i fatti, con qualche differenza: sostiene che solo due volte si fosse trovata la cripta in disordine e che Lord Combermere avesse solo sentito parlare delle «misteriose circostanze» e che avesse presenziato all’ultima apertura, nel 1820. Sfortunatamente, anche Schomburgk non cita alcuna fonte se non «un disegno della posizione in cui furono trovate le bare, alcune copie del quale sono ancora presenti sull’isola». Si trattava probabilmente di copie del disegno che, secondo diverse fonti, fu tratto in occasione del sopralluogo del 1820 insieme al memorandum del reverendo Orderson. Uno di questi disegni fu pubblicato anche dalla celebre rivista letteraria inglese Once a Week dell’11 marzo 1865 ad accompagnamento di un articolo sul caso:

il vault prima e dopo l'apertura del 1820, da "Once a Week" del 1865

Il disegno della disposizione delle bare nella posizione originale e all’apertura nel 1820, pubblicato su Once a Week del 11 marzo 1865.

È interessante notare che tutte le fonti finora citate siano state pubblicate a Londra; sempre nella capitale britannica furono dati alle stampe nel 1860 un libretto anonimo sulla vicenda intitolato Death’s Deed, e nel 1866 le già citate Memorie e corrispondenza del governatore di Barbados, Lord Combermere, a cura della terza moglie Ann Woolley. Ques’ultimo conteneva sì un dettagliato resoconto sui misteriosi fatti del cimitero di Christ Church, a dispetto del titolo non si trattava però di una testimonianza diretta del governatore ma una ricostruzione della Woolley che per quanto riguarda la storia della cripta affermava di essersi basata su un «libello stampato e fatto circolare privatamente da un abitante dell’isola». Tuttavia, secondo il West Indian Tales of Old di sir. A. E. Aspinall (1915), il libello che ispirò la Woolley non fu stampato a Barbados ma anch’esso in Inghilterra: sarebbe infatti nient’altro che il sopraccitato Death’s Deed pubblicato a Londra sei anni prima.[13] Insomma, sembra che le fonti portino tutte a Londra e che siano, quando va bene, di seconda mano.


Bisogna arrivare al 1907 perché si faccia uno studio approfondito sul caso: a occuparsene fu l’antropologo Andrew Lang, che scrisse un dettagliato articolo pubblicato sulla rivista londinese Folk–Lore, «trimestrale su miti, costumi, istituzioni e tradizioni» pubblicato dalla Folk–Lore Society. Per un incredibile colpo di fortuna Lang aveva un cognato, tale Charles Thomas Alleyne, il cui padre viveva proprio a Barbados all’epoca in cui Lord Combermere fece aprire la cripta. Alleyne disse di avere sentito la storia della cripta da un testimone oculare, lo stesso Robert Browcher Clarke effettivamente menzionato da diverse fonti come presente al sopralluogo del 1820.[10][13] Di nuovo una fonte di seconda mano ma, scrive Lang, meglio di niente. Grazie al provvidenziale cognato barbadiano Lang era riuscito a recuperare da una collezione privata un foglio manoscritto, forse una trascrizione di quel memorandum compilato il giorno del sopralluogo, firmato da tale «J. Anderson, Rector» nel quale venivano puntualmente elencate le aperture della cripta e lo stato dei feretri all’interno. Sul retro del foglio c’era uno schizzo a colori, probabilmente copia di quello citato da Schomburgk nel suo diario di viaggio.
Frontespizio di "Folk–Lore", vol. XVIII, 1907

Frontespizio della rivista Folk–Lore, vol. XVIII, 1907.


Ma il fatto che il documento non fosse datato e che Anderson potesse essere la storpiatura di Orderson, il parroco che effettivamente aveva firmato il registro dei funerali dal 1803 al 1820,[14] suggeriva che il manoscritto fosse in realtà una copia, nemmeno troppo accurata, di qualche altro documento. E in effetti è molto simile al resoconto firmato proprio da «Thomas Harrison Orderson, D.D.», il parroco di Christ Church, riportato sul già citato Death’s Deed del 1860: ancora una volta le fonti sembrano riportare a Londra. Mr. Alleyne recuperò e inviò a Lang una terza versione, quella riportata sopra, leggermente diversa ma firmata sempre da Orderson e trascritta «da una vecchia copia in possesso della sorella di Mr. Clarke, che fu presente all’ultima apertura della cripta» (il che sembra essere un equivalente del moderno «mio cugino mi ha raccontato che…»). Una ulteriore versione del memorandum è attribuita invece all’on. Nathan Lucas, testimone oculare, e “certificata” (sic) dal parroco Orderson: è riportata nel libro West Indian Tales of Old di Algernon Edward Aspinall, pubblicato — di nuovo a Londra — nel 1915. Il disegno che la accompagna è diverso da quelli riportati da Once a Week nel 1865 e dal Folk–Lore nel 1907: questa volta è prospettico, e anche la posizione delle bare è differente.

Posizione delle bare quando la cripta fu chiusa il 7 luglio del 1819 e quando fu riaperta il 18 aprile del 1820, dal «manoscritto dell’Hon. Nathan Lucas» come riportato da sir Aspinall in West Indian Tales of Old (1915, op. cit.).

Tra tutte queste copie e trascrizioni diventa difficile capire quale sia quella originale o per lo meno quella che vi si avvicini maggiormente. Ammesso che quel documento “originale”, scritto dal reverendo Orderson o dall’onorevole Nathan Lucas o entrambi che fosse, sia mai esistito. La vicenda della scripta dei Chase ha infatti in sé tutti gli elementi di quello che probabilmente è, ossia null’altro che una leggenda metropolitana ante litteram. C’è l’elemento misterioso o disturbante; è ricca di dettagli (nomi, date) che conferiscono legittimità alla storia rendendola più “vera”; ci sono testimoni autorevoli, come Lord Combermere, o apparentemente “vicini” come il parente che ha assistito all’apertura, ma ad una analisi più approfondita non si riesce mai ad arrivare alle fonti originali.

Kuressaare, già Arensburg, in una cartolina del 1900.

Kuressaare (Estonia), già Ahrensburg, in una cartolina del 1900.

Lang rileva inoltre l’incredibile somiglianza della vicenda con un’altra, collocata in Estonia nel 1844. C’è sempre un’isola, quella di Ösel — altrimenti nota come Saaremaa — nel mar Baltico. C’è un cimitero, questa volta luterano, quello di Ahrensburg (oggi Kuressaare). C’è una cappella, quella della famiglia Buxhoewden. A causa di strani ed inquietanti rumori, la cappella venne aperta e le casse vengono trovate «impilate disordinatamente». Anche qui ci furono resoconti ufficiali, i sigilli inviolati e — anziché la sabbia — la cenere di legna sparsa sul pavimento a rilevare eventuali impronte di profanatori; ma le bare furono trovate comunque in disordine e la cenere intatta esattamente come a Barbados. Inoltre le date delle aperture erano addirittura coincidenti: il 9 agosto, il 17 luglio, 25 settembre, 17 novembre e così via. Il presidente del comitato incaricato di svolgere le indagini su Ahrensburg sarebbe stato il Barone di Godenstubbé, i cui figli riferirono la vicenda ad un diplomatico americano a Parigi nel 1859, basandosi a loro dire sui racconti del padre. Quest’ultimo, Mr. Dale Owen, che aveva la passione per lo spiritismo ed era anzi «della specie più credulona e superstiziosa»,[10] pubblicò la storia in America nel libro Footfalls on the Boundaries of Another World (1861). Il fatto che ne esista una versione ambientata in Estonia sembra confermare la natura leggendaria della storia: è ben nota agli studiosi del folklore, infatti, la tendenza delle tradizioni popolari a “riciclare” vecchie leggende, ricollocandole in luoghi e tempi più vicini come accadde ad esempio con le numerose versioni della storia del pifferaio di Hameln (tra le quali ve n’è una ambientata anch’essa in un’isola del Baltico, Ummanz). Lang cita appunto il caso del parallelismo Barbados–Ösel come esempio di quelle che chiama “storie bi–locate” (bi–located stories). Un’altra storia simile è riportata dall’European Magazine and London Review nel 1815[16] e riguarda questa volta una cripta a Staunton, nel Sussex (Inghilterra). Anche qui, si legge, «diverse bare furono ritrovate fuori posto, con grande stupore degli abitanti del villaggio». Anche in questo caso ci sono parecchie analogie con la cripta di Barbados: si parla infatti di «una bara tanto pesante da richiedere otto uomini per sollevarla», esattamente come quella del colonnello Chase, ritrovata anch’essa ad ostruire l’ingresso; anche qui infine fu considerata l’ipotesi dell’allagamento per spiegare il fenomeno.[17]

Se — come si dice — le leggende nascondono sempre un fondo di verità, quali fatti possono celarsi dietro il racconto, così ben collocato nel tempo e nello spazio, di una tomba tormentata? Difficile dirlo. Le storie della tradizione popolare, come quelle del folklore urbano, riflettono un’angoscia, un timore diffuso che caratterizza l’epoca o il particolare contesto in cui nascono e per questo può risultare estremamente difficile interpretarne le metafore a posteriori. Alcune poi nacquero per fini politici, come quella dei villagi Potëmkin, inventata da un diplomatico detrattore di Caterina II di Russia (l’ambasciatore Helbig) per screditarla. Ma secondo lo studioso Joe Nickell del Center for Skeptical Inquiry (2001), la leggenda di Barbados potrebbe avere origini massoniche. Le leggende massoniche non sono racconti di fatti reali, storici, ma servivano invece a tramandare una conoscenza e il significato va ricercato nelle allegorie: il soffitto a volta della cripta, le pietre, i muratori, gli scalpellini, il martello, i sigilli, l’acqua sono tutti elementi ricorrenti del simbolismo massonico; anche le date così ben precisate, o il ricorrente riferimento agli «otto uomini» necessari a spostare la bara/la lastra potrebbero avere qualche significato simbolico. Nickell rileva inoltre che almeno due dei nomi citati nelle varie versioni della storia erano membri della massoneria britannica,[18] che era presente sull’isola dal 1740 e controllata dalle Logge di Londra ed Edimburgo. Saremmo quindi di fronte ad un racconto allegorico con un significato preciso, entrato a far parte del folklore assumendo le caratteristiche di quella che oggi chiamaremmo “leggenda urbana” ma nel quale un membro della massoneria avrebbe certamente riconosciuto gli elementi simbolici e compreso il “messaggio” codificato. Va aggiunto poi che il XIX secolo in Inghilterra era l’epoca della letteratura gotica: cimiteri, cripte e tombe scoperchiate erano classici cliché delle ghost stories e questa dei Chase aveva quindi tutte le carte in regola per essere un successo.

Nel XIV secolo il filosofo e frate francescano inglese Guglielmo da Ockham espresse un principio che è ritenuto alla base del pensiero scientifico moderno: tale principio, noto come Novacula Occami o “rasoio di Ockham” afferma che «a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire». Forse non sapremo mai con assoluta certezza cosa accadde dentro quella cripta seminterrata ad Oistin, ma la spiegazione più semplice, e quindi più probabile, è che non sia accaduto proprio nulla. 

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Note

  1. [1]Un anno: secondo la tradizione inglese era il tempo concesso ai vivi per il pianto e il dolore per la perdita di una persona cara. Entro il giorno successivo al dodicesimo mese, il lutto doveva essere superato e la vita riprendere regolarmente, altrimenti il fantasma del defunto sarebbe stato strappato dalla tomba e costretto a vagare per la terra dei vivi (Cfr. Terre Celtiche )
  2. [2]Scotti, Massimo Storia degli spettri. Fantasmi, medium e case infestate fra scienza e letteratura Milano: Feltrinelli, 2013. 978-8807881992
  3. [3]James Stuart (1566 – 1625), contemporaneamente sovrano di Scozia con il nome di Giacomo VI di Scozia.
  4. [4]Rediker, Marcus, e Peter Linebaugh I ribelli dell’Atlantico: La storia perduta di un’Utopia libertaria. Milano: Feltrinelli, 2018. Pag. 159. ISBN 978-8807890574
  5. [5]Christ Church, nella parte meridionale dell’isola, fu una delle prime civil parishes fondate dai coloni a Barbados. La parrocchia civile era, ed è tuttora, una istituzione tipicamente inglese e legata alla presenza della chiesa anglicana sull’isola. Dopo lo scisma anglicano (XVI secolo) il governo del territorio nelle aree rurali fu lasciato infatti alle parrocchie anglicane che avevano il diritto di riscuotere una tassa sui prodotti, la cosiddetta “decima”.
  6. [6]Woolley, Mary Memoirs and correspondence of field–marshal viscount Combermere (op. cit.)
  7. [7]Clayton, Ian R. “The Bussa Rebellion“, Worldsagas.com.
  8. [8]Dunning, Brian, (op. cit.)
  9. [9]Fanthorpe, Lionel and Patricia. The World’s greatest Unsolved Mysteries. Dundurn, 1997. Pagg. 64–75.
  10. [10]Lang, Andrew (op. cit.)
  11. [11]introdotto dal medico britannico Edward Jenner nel 1796.
  12. [12]Inventata nel 1804 da Trevithick
  13. [13]West Indian Tales of old, 1915 (op. cit.)
  14. [14]Come ebbe modo di verificare Mr. Alleyne nel 1907. Cfr. Lang (op. cit.)
  15. [15]Alexander, pag. 161 (op. cit.)
  16. [16]“The Curious Vault at Staunton, Suffolk” in European Magazine and London Review, luglio–dicembre 1815, vol. 68. Pag. 226  Hati Trust.
  17. [17]Il caso di Staunton è citato anche da Aspinall nel West Indian Tales of Old del 1915 (op. cit.)
  18. [18]Nickell, Joe Real–Life X-FilesInvestigating the Paranormal. University Press of Kentucky, 2001.

Bibliografia

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Silvio DellʼAcqua

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Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.