La cripta dei Chase agli inizi del ‘900, da West Indian tales of old (Londra 1915).
A voice spoke from the deep:
«Who is it sits all on my grave,
and will not let me sleep?»
Una voce parlò dal profondo
«Chi è seduto sulla mia tomba
e non mi lascerà dormire?»
The Unquiet Grave (La tomba inquieta), ballata popolare britannica
Sin dall’antichità si crede che i fantasmi siano le anime dei “morti inquieti”, intrappolati tra il mondo dei vivi e impossibilitati a raggiungere quello dei morti: destino questo riservato tanto agli insepulti, cui è mancata cioè una degna sepoltura, quanto ai morti ante diem, ossia prima del compimento del proprio legitimus tempus fati.[2] Una morte prematura quindi, proprio come accadde alla piccola Mary Anna Chase, deceduta nel 1808 a soli due anni, ed alla sorella Dorcas di quattro, che la raggiunse nel 1812. E al padre Thomas, suicidatosi solo un mese dopo. Una storia lugubre cui fa seguito un enigma sconcertante: tumulate nella cripta di famiglia nel piccolo cimitero coloniale britannico di Christ Church, ad ogni apertura della pesante lastra di marmo che ne chiudeva l’accesso le bare vennero ritrovate spostate e senza apparenti segni di effrazione. Non siamo però nell’Inghilterra dei castelli diroccati e delle antiche magioni, ma a Oistin Bays sull’isola di Barbados nel mar dei Caraibi, luogo forse più adatto ad una cartolina che ai racconti di fantasmi. E a differenza di questi ultimi, i fatti della cripta dei Chase sembrano essere ben documentati.Barbados è la più orientale delle isole dei Caraibi e la sua posizione geografica ne ha influenzato profondamente la storia e la cultura: comunemente considerata parte dell’arcipelago delle Piccole Antille, limite geografico fra il mar dei Caraibi e l’oceano Atlantico, in realtà si trova molto ad est rispetto a queste e relativamente isolata. Primo approdo quindi per le navi che provenivano dall’Atlantico, l’isola fu dal tardo XVII secolo un collegamento principale tra la Gran Bretagna, il continente africano e gli stessi Caraibi. Mentre le altre isole passavano di mano in mano tra le potenze coloniali, l’isolamento di Barbados contribuì ad una certa stabilità tanto che fu possedimento britannico ininterrottamente dal 14 maggio 1625, quando fu rivendicata come tale per conto del re Giacomo I d’Inghilterra[3] dal capitano Henry Powell, fino al 1966 quando ottenne l’indipendenza pur restando nell’ambito del Commonwealth.
Sull’isola si insediarono sin dai primi anni ricchi tenutari britannici che disboscarono gran parte della superficie per coltivare tabacco, cotone, canna da zucchero (importata dal Pernambuco ad opera degli olandesi nel 1640[4]) e, primi nei Caraibi, barbabietola da zucchero. Le piantagioni si rivelarono molto produttive e l’economia dell’isola prosperò a discapito degli schiavi importati dall’Africa per soddisfare la crescente richiesta di manodopera. Il diplomatico britannico George Downing annota che nel 1645 furono importati «non meno di mille neri»[4] e nel 1651 lo statuto di Barbados ammetteva candidamente che la fonte principale di ricchezza degli abitanti consisteva «nel lavoro dei loro servi».[4]Nel 1812 sarebbe stata purtroppo raggiunta dalla sorellina maggiore Dorcas, affetta da un male oscuro che oggi sarebbe stato forse diagnosticato come anoressia: quando morì, all’età di quattro anni, si disse che si era lasciata morire di fame nel disperato tentativo di sfuggire alla brutalità del padre. Che fosse vero o semplicemente maldicenze dovute alla sua cattiva fama, l’uomo più detestato di Barbados fu sopraffatto dal dolore per questa seconda, terribile perdita e soltanto un mese dopo, nell’agosto del 1812, si tolse la vita. Si racconta che ci vollero otto uomini per spostare la pesante lastra di marmo che chiudeva l’accesso, ma quando la cripta fu di nuovo aperta il 9 agosto per deporre la salma del colonnello, uno spettacolo inquietante si rivelò agli occhi dei presenti: le bare erano state evidentemente spostate da mani ignote e quella della piccola Mary Ann Maria aveva apparentemente attraversato la stanza e si trovava appoggiata nell’angolo opposto. La prima reazione dei bianchi convenuti al funerale fu ovviamente di accusare i lavoratori neri della profanazione, ma questi — altrettanto ovviamente — negarono con decisione di aver profanato la tomba. Le bare furono rimesse a posto aggiungendo il feretro di Thomas Chase; la cripta fu richiusa con cura e sigillata con il cemento.
Tuttavia ciò era molto improbabile: nonostante il (comprensibile) risentimento nei confronti dello schiavista e degli inglesi tutti, la popolazione di colore era piuttosto superstiziosa e nessun africano o creolo avrebbe voluto nemmeno avvicinarsi al cimitero dopo il tramonto, per via delle voci sinistre che avevano iniziato a circolare sulla cripta. Figuriamoci entrare in una tomba di notte. Gli stessi inglesi, che pur non perdevano occasione per incolpare i negroes, non erano del tutto convinti di questa spiegazione perché il locale disponeva di un solo accesso e la pesante lastra di marmo blu del Devonshire che chiudeva l’ingresso non presentava segni di manomissione. Inoltre, se le bare delle bambine e della signora Goddard erano relativamente leggere, Thomas Chase era un uomo corpulento e la sua bara, rivestita internamente in piombo, aveva richiesto otto[8] o addirittura dodici[9] uomini per essere trasportata. Quante persone sarebbero state necessarie per mettere a soqquadro l’intera cripta?
Le bare furono rimesse di nuovo a posto e il caveau fu richiuso, ma dopo soli due mesi, il 17 novembre 1816, sarebbe stato aperto di nuovo. Samuel Brewster Ames, questa volta il padre del piccolo Samuel Brewster da poco sepolto, era stato ucciso da alcuni schiavi durante la rivolta di aprile ma, stante l’emergenza in corso, la salma aveva ricevuto una sepoltura provvisoria a St. Philips[10] — pratica piuttosto comune in questi casi — ed ora si voleva ricongiungerla con quella del figlioletto. Frattanto le voci su misteriosi fatti del cimitero di Christ Church erano girate ed una piccola folla di curiosi si era radunata intorno alla cripta per assistere all’apertura. Visti i precedenti, questa volta la lastra di marmo fu esaminata ancor più attentamente e, dopo ever convenuto che non vi erano segni di effrazione, fu lentamente aperta. La luce del sole rivelò, tra lo stupore generale, che ancora una volta le bare erano state spostate e disposte a caso nel locale; quella della Goddard era addirittura sfracellata probabilmente dall’urto contro una parete. Il reverendo Thomas Orderson, rettore della parrocchia, ispezionò accuratamente la cripta insieme ad altri tre uomini senza trovare nulla, se non delle tracce di fango e umidità che potevano far pensare agli effetti di un’alluvione. A Barbados piove molto, soprattutto da giugno a novembre, e se la cappella si fosse allagata le bare avrebbero forse potuto galleggiare all’interno di essa. Il terreno, composto prevalentemente da calcare corallino pleistocenico, era abbastanza poroso da far defluire rapidamente l’acqua. Sennonché la cripta era stata chiusa da solo sei settimane: avrebbe potuto l’acqua, in un lasso di tempo così breve, riempire l’ipogeo tanto da sollevare i feretri e poi defluire completamente? Se da una parte le prime decadi dell’Ottocento furono caratterizzate da importanti scoperte scientifiche e progressi tecnologici (il vaccino contro il vaiolo,[11] la pila di Volta, la locomotiva a vapore,[12] solo per citarne alcuni), dall’altra si diffondeva in occidente un certo interesse per tutto ciò che era misterioso e stravagante: la letteratura gotica celebrava le storie di fantasmi e antichi manieri, proprio in quegli anni Mary Shelley scrisse il Frankenstein (1817) e John Polidori lanciò il mito del vampiro moderno con un celebre racconto pubblicato su New Monthly Magazine (1819). Non stupisce quindi che, mentre i lavoratori delle piantagioni si tenevano alla larga dalla cripta ritenendola afflitta da una qualche maledizione voodoo, l’intera popolazione bianca dell’isola — proprietari terrieri, amministratori, perfino navigatori di passaggio — potesse nutrire una curiosità quasi morbosa per il mistero delle “bare animate” di Barbados e attendesse la prossima apertura come un evento. Sarebbero stati accontentati tre anni dopo, il 17 luglio del 1819, quando il caveau dovette essere aperto di nuovo per accogliere tale Thomasina (o Thomazine) Clarke, un’altra parente dei Chase recentemente deceduta.La stanza fu accuratamente ispezionata dal governatore e dai suoi attendenti alla ricerca di botole, passaggi, crepe, segni di manomissione, ma senza successo. Risistemate per l’ennesima volta le bare, il pavimento fu cosparso di finissima sabbia, in modo che un eventuale intruso non avrebbe potuto evitare di lasciare impronte. La lastra che chiudeva l’ingresso fu infine nuovamente sigillata con il cemento, sul quale però diversi funzionari, compreso il governatore, apposero questa volta i propri suggelli. Ormai la curiosità era altissima, l’intera isola parlava del mistero dei Chase e la popolazione fremeva per assistere alla prossima apertura. In mancanza del pretesto di un morto da metterci dentro o forse, come riferisce il reverendo Orderson, in conseguenza di un «rumore udito nella notte»,[10] il governatore ordinò una ispezione d’ufficio allo scopo di verificare lo stato del caveau. L’apertura straordinaria fu fissata per il 18 aprile 1820 e quel giorno migliaia di persone si affollarono dentro e fuori il piccolo cimitero, tanto che i villaggi rimasero deserti. La curiosità vinse sulle superstizioni e superò le barriere sociali: perfino i lavoratori neri si mischiarono ai bianchi nella folla galvanizzata[] e per un giorno almeno furono tutti uguali, uniti da un misto di ansia ed eccitazione per l’inspiegabile.
Da Memoirs and correspondence of field–marshal viscount Combermere (1866), vol. I pag. 391[]
Oltre allo stesso governatore le fonti citano tra i presenti all’ispezione, Mr. R. Bowcher Clarke (forse parente della sepolta Thomasina), Mr. Rowland Cotton, l’on. Nathan Lucas, il reverendo Orderson, rettore della parrocchia e il maggiore J. Finch, segretario militare del governatore, e una manovalanza di una decina di neri piuttosto riluttanti.[13] Ispezionato accuratamente l’esterno e verificata la perfetta integrità dei sigilli, si procedette con l’apertura dell’accesso. Questa volta, però, la lastra sembrava bloccata da qualcosa. Con grande sforzo gli operai riuscirono a spostare il marmo solo di qualche pollice e quando l’apertura fu sufficiente a far passare una persona si poté constatare che a bloccare la lastra era il pesante feretro di Thomas Chase appoggiato contro di essa. All’interno, le bare erano ancora una volta spostate e — fatto ancor più incredibile — il tappeto di sabbia fine era intonso, prova certa che né l’acqua né l’uomo erano entrati nella cripta. La bara della piccola Mary Ann Marie era stata scagliata con tanta violenza contro la parete opposta da lasciare un segno nell’arenaria. Fu eseguito un disegno dello stato della cripta e redatto un memorandum manoscritto siglato dal parroco Orderson:[13]
Signed Thomas H. Orderson,
Rector.
Firmato Thomas H. Orderson,
Rettore
da Folk–Lore, 1907[10]
Quando è troppo è troppo. Fu ordinato che le bare venissero immediatamente rimosse e interrate separatamente; la cripta da allora fu lasciata aperta e vuota come si trova ancora oggi e nessuno la usò più. Da allora non si verificò più alcun fatto inspiegabile al suo interno o nel piccolo cimitero. La terza moglie del governatore, Mary Woolley, pubblicherà le Memorie e corrispondenza del Visconte Combermere a Londra nel 1866. La schiavitù a Barbados sarebbe stata definitivamente abolita nel 1834.
Quale misteriosa forza tormentava l’eterno riposo dei Chase? Già all’epoca qualcuno ipotizzò che fosse l’effetto di qualche attività vulcanica o sismica, ma non furono registrate attività sismiche rilevanti a Barbados tra il 1812 ed il 1820. Altra ipotesi è quella dell’acqua: nel 2014 lo scrittore e divulgatore scientifico Brian Dunning in un suo articolo su Skeptoid[8] ha calcolato che la bara di Thomas Chase avrebbe dovuto pesare non più di quattrocento chilogrammi per essere agevolmente spostata da otto uomini; pertanto, ipotizzando un volume tra i 400 e i 900 litri, per il principio di Archimede avrebbe potuto galleggiare. Una delle spiegazioni più bizzarre fu invece quella fungina:[9] il 19 luglio del 1952 apparve sul tabloid londinese Everybody’s Weekly un articolo sul caso della cripta dei Chase. Poco tempo dopo l’autore, Valentine Dyall, fu contattato da tale Mr Gregory Ames di Londra il quale esibì una lettera scritta il giorno di Natale del 1820 dal bisnonno barbadiano, parente stretto degli Ames (padre e figlio) sepolti nella cappella e testimone oculare dell’accaduto. Nella lettera, il bisnonno sosteneva che la causa dello spostamento delle bare fosse un fungo “esplosivo” che cresce abitualmente nelle grotte e nelle caverne di Honduras. Si riferiva probabilmente a qualche tipo di “vescia” o puffball fungi, nome volgare sotto cui vanno diverse specie fungine che, giunte a maturazione, rilasciano una piccola nuvola di spore che sembra una esplosione. A sostengo di ciò riferiva anche la testimonianza di uno schiavo anziano di Barbados, il quale gli aveva raccontato che il motivo per cui la cripta non ospitava il corpo del John Elliott che l’aveva fatta costruire nel 1724, era che si preferì seppellirlo altrove per via di misteriosi suoni, come «esplosioni ovattate», che si udivano al suo interno; questo molto tempo prima che vi fossero sepolti i Chase. Tuttavia le testimonianze sottolineano l’accuratezza delle ispezioni e non fanno menzione di funghi o tracce di essi; inutile dire poi che non si conoscono funghi esplosivi di tale potenza da spostare o fare a pezzi delle bare. Non mancarono poi teorie occultistiche o (in tempi più recenti) addirittura“ufologiche”[9] sulle quale non vale la pena dilungarsi. Escludendo forze soprannaturali, per molti la spiegazione più ovvia fu il vandalismo da parte dei lavoratori neri delle piantagioni. Avevano il movente, ossia la vendetta nei confronti dello schiavista Chase e della popolazione bianca in genere. Né le loro proteste d’innocenza, né il terrore che li teneva al largo dal cimitero furono considerate prove sufficienti a scagionarli. Del resto, «è colpa del nero» è un leitmotiv di cui — ancor oggi — il mondo occidentale fatica a sbarazzarsi. Ma già allora non tutti erano d’accordo sulla tesi dolosa e il tappeto di sabbia ritrovato intatto all’ispezione del 1820 certo non contribuiva ad avvalorala.
In effetti c’è una spiegazione ancor più semplice al fenomeno delle “bare erranti” di Barbados, e cioè che nulla di tutto ciò sia mai accaduto. La cripta è lì ancor oggi, essa stessa prova della propria esistenza ma non di ciò che vi avvenne all’interno. Il Book of Christ Church, il registro della parrocchia, conferma le sepolture[14] ma — proprio in quanto documento meramente burocratico — non fa menzione degli strani fatti ad esse collegati. Se esistettero altri registri, andarono probabilmente perduti nell’uragano del 1831 che distrusse la chiesa. A Barbados esistevano però i giornali: il Barbados Gazette veniva pubblicato dal 1731, ma la cronaca dell’epoca non fa menzione di questa storia, il che è molto strano se è vero, come si legge nelle Memorie e corrispondenza di Combermere, che i fatti di Christ Churh destarono molto clamore e interesse sull’isola. La prima testimonianza scritta e sopravvissuta sembra essere il libro del 1833 Transatlantic Sketches nel quale il capitano James Alexander annota le sue visite «nei luoghi più interessanti del Nord e Sud America, e le indie Occidentali [i Caraibi, n.d.a] con note sulla schiavitù nera e l’emigrazione canadese». Il capitano Alexander spende per la famigerata cripta qualche paragrafo, trattandola alla stregua di una curiosità locale da Lonely Planet: «Non è generalmente noto che a Barbados c’è una misteriosa cripta, dove nessuno osa depositare i morti. È in un cimitero in riva al mare».[15] Il libro tuttavia non riporta alcuna fonte, ed essendo Alexander salpato solo nel 1831 va da sé che la sua non può essere una testimonianza di prima mano. Nello stesso anno (1833) la storia venne raccontata dal giornalista Thomas Byerley (1789–1826), noto con lo pseudonimo Reuben Percy, nella “Percy’s Anedocte Gallery” del settimanale The Mirror of Literature, Amusement, and Instruction (nº 22), ma cita come fonte proprio il libro del capitano Alexander. Nel 1848 anche il libro The history of Barbados del geografo Robert Herman Schomburgk, pubblicato anch’esso a Londra, tratta brevemente i fatti, con qualche differenza: sostiene che solo due volte si fosse trovata la cripta in disordine e che Lord Combermere avesse solo sentito parlare delle «misteriose circostanze» e che avesse presenziato all’ultima apertura, nel 1820. Sfortunatamente, anche Schomburgk non cita alcuna fonte se non «un disegno della posizione in cui furono trovate le bare, alcune copie del quale sono ancora presenti sull’isola». Si trattava probabilmente di copie del disegno che, secondo diverse fonti, fu tratto in occasione del sopralluogo del 1820 insieme al memorandum del reverendo Orderson. Uno di questi disegni fu pubblicato anche dalla celebre rivista letteraria inglese Once a Week dell’11 marzo 1865 ad accompagnamento di un articolo sul caso:
È interessante notare che tutte le fonti finora citate siano state pubblicate a Londra; sempre nella capitale britannica furono dati alle stampe nel 1860 un libretto anonimo sulla vicenda intitolato Death’s Deed, e nel 1866 le già citate Memorie e corrispondenza del governatore di Barbados, Lord Combermere, a cura della terza moglie Ann Woolley. Ques’ultimo conteneva sì un dettagliato resoconto sui misteriosi fatti del cimitero di Christ Church, a dispetto del titolo non si trattava però di una testimonianza diretta del governatore ma una ricostruzione della Woolley che per quanto riguarda la storia della cripta affermava di essersi basata su un «libello stampato e fatto circolare privatamente da un abitante dell’isola». Tuttavia, secondo il West Indian Tales of Old di sir. A. E. Aspinall (1915), il libello che ispirò la Woolley non fu stampato a Barbados ma anch’esso in Inghilterra: sarebbe infatti nient’altro che il sopraccitato Death’s Deed pubblicato a Londra sei anni prima.[13] Insomma, sembra che le fonti portino tutte a Londra e che siano, quando va bene, di seconda mano.
Ma il fatto che il documento non fosse datato e che Anderson potesse essere la storpiatura di Orderson, il parroco che effettivamente aveva firmato il registro dei funerali dal 1803 al 1820,[14] suggeriva che il manoscritto fosse in realtà una copia, nemmeno troppo accurata, di qualche altro documento. E in effetti è molto simile al resoconto firmato proprio da «Thomas Harrison Orderson, D.D.», il parroco di Christ Church, riportato sul già citato Death’s Deed del 1860: ancora una volta le fonti sembrano riportare a Londra. Mr. Alleyne recuperò e inviò a Lang una terza versione, quella riportata sopra, leggermente diversa ma firmata sempre da Orderson e trascritta «da una vecchia copia in possesso della sorella di Mr. Clarke, che fu presente all’ultima apertura della cripta» (il che sembra essere un equivalente del moderno «mio cugino mi ha raccontato che…»). Una ulteriore versione del memorandum è attribuita invece all’on. Nathan Lucas, testimone oculare, e “certificata” (sic) dal parroco Orderson: è riportata nel libro West Indian Tales of Old di Algernon Edward Aspinall, pubblicato — di nuovo a Londra — nel 1915. Il disegno che la accompagna è diverso da quelli riportati da Once a Week nel 1865 e dal Folk–Lore nel 1907: questa volta è prospettico, e anche la posizione delle bare è differente.
Tra tutte queste copie e trascrizioni diventa difficile capire quale sia quella originale o per lo meno quella che vi si avvicini maggiormente. Ammesso che quel documento “originale”, scritto dal reverendo Orderson o dall’onorevole Nathan Lucas o entrambi che fosse, sia mai esistito. La vicenda della scripta dei Chase ha infatti in sé tutti gli elementi di quello che probabilmente è, ossia null’altro che una leggenda metropolitana ante litteram. C’è l’elemento misterioso o disturbante; è ricca di dettagli (nomi, date) che conferiscono legittimità alla storia rendendola più “vera”; ci sono testimoni autorevoli, come Lord Combermere, o apparentemente “vicini” come il parente che ha assistito all’apertura, ma ad una analisi più approfondita non si riesce mai ad arrivare alle fonti originali.
Lang rileva inoltre l’incredibile somiglianza della vicenda con un’altra, collocata in Estonia nel 1844. C’è sempre un’isola, quella di Ösel — altrimenti nota come Saaremaa — nel mar Baltico. C’è un cimitero, questa volta luterano, quello di Ahrensburg (oggi Kuressaare). C’è una cappella, quella della famiglia Buxhoewden. A causa di strani ed inquietanti rumori, la cappella venne aperta e le casse vengono trovate «impilate disordinatamente». Anche qui ci furono resoconti ufficiali, i sigilli inviolati e — anziché la sabbia — la cenere di legna sparsa sul pavimento a rilevare eventuali impronte di profanatori; ma le bare furono trovate comunque in disordine e la cenere intatta esattamente come a Barbados. Inoltre le date delle aperture erano addirittura coincidenti: il 9 agosto, il 17 luglio, 25 settembre, 17 novembre e così via. Il presidente del comitato incaricato di svolgere le indagini su Ahrensburg sarebbe stato il Barone di Godenstubbé, i cui figli riferirono la vicenda ad un diplomatico americano a Parigi nel 1859, basandosi a loro dire sui racconti del padre. Quest’ultimo, Mr. Dale Owen, che aveva la passione per lo spiritismo ed era anzi «della specie più credulona e superstiziosa»,[10] pubblicò la storia in America nel libro Footfalls on the Boundaries of Another World (1861). Il fatto che ne esista una versione ambientata in Estonia sembra confermare la natura leggendaria della storia: è ben nota agli studiosi del folklore, infatti, la tendenza delle tradizioni popolari a “riciclare” vecchie leggende, ricollocandole in luoghi e tempi più vicini come accadde ad esempio con le numerose versioni della storia del pifferaio di Hameln (tra le quali ve n’è una ambientata anch’essa in un’isola del Baltico, Ummanz). Lang cita appunto il caso del parallelismo Barbados–Ösel come esempio di quelle che chiama “storie bi–locate” (bi–located stories). Un’altra storia simile è riportata dall’European Magazine and London Review nel 1815[16] e riguarda questa volta una cripta a Staunton, nel Sussex (Inghilterra). Anche qui, si legge, «diverse bare furono ritrovate fuori posto, con grande stupore degli abitanti del villaggio». Anche in questo caso ci sono parecchie analogie con la cripta di Barbados: si parla infatti di «una bara tanto pesante da richiedere otto uomini per sollevarla», esattamente come quella del colonnello Chase, ritrovata anch’essa ad ostruire l’ingresso; anche qui infine fu considerata l’ipotesi dell’allagamento per spiegare il fenomeno.[17]
Se — come si dice — le leggende nascondono sempre un fondo di verità, quali fatti possono celarsi dietro il racconto, così ben collocato nel tempo e nello spazio, di una tomba tormentata? Difficile dirlo. Le storie della tradizione popolare, come quelle del folklore urbano, riflettono un’angoscia, un timore diffuso che caratterizza l’epoca o il particolare contesto in cui nascono e per questo può risultare estremamente difficile interpretarne le metafore a posteriori. Alcune poi nacquero per fini politici, come quella dei villagi Potëmkin, inventata da un diplomatico detrattore di Caterina II di Russia (l’ambasciatore Helbig) per screditarla. Ma secondo lo studioso Joe Nickell del Center for Skeptical Inquiry (2001), la leggenda di Barbados potrebbe avere origini massoniche. Le leggende massoniche non sono racconti di fatti reali, storici, ma servivano invece a tramandare una conoscenza e il significato va ricercato nelle allegorie: il soffitto a volta della cripta, le pietre, i muratori, gli scalpellini, il martello, i sigilli, l’acqua sono tutti elementi ricorrenti del simbolismo massonico; anche le date così ben precisate, o il ricorrente riferimento agli «otto uomini» necessari a spostare la bara/la lastra potrebbero avere qualche significato simbolico. Nickell rileva inoltre che almeno due dei nomi citati nelle varie versioni della storia erano membri della massoneria britannica,[18] che era presente sull’isola dal 1740 e controllata dalle Logge di Londra ed Edimburgo. Saremmo quindi di fronte ad un racconto allegorico con un significato preciso, entrato a far parte del folklore assumendo le caratteristiche di quella che oggi chiamaremmo “leggenda urbana” ma nel quale un membro della massoneria avrebbe certamente riconosciuto gli elementi simbolici e compreso il “messaggio” codificato. Va aggiunto poi che il XIX secolo in Inghilterra era l’epoca della letteratura gotica: cimiteri, cripte e tombe scoperchiate erano classici cliché delle ghost stories e questa dei Chase aveva quindi tutte le carte in regola per essere un successo.
Nel XIV secolo il filosofo e frate francescano inglese Guglielmo da Ockham espresse un principio che è ritenuto alla base del pensiero scientifico moderno: tale principio, noto come Novacula Occami o “rasoio di Ockham” afferma che «a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire». Forse non sapremo mai con assoluta certezza cosa accadde dentro quella cripta seminterrata ad Oistin, ma la spiegazione più semplice, e quindi più probabile, è che non sia accaduto proprio nulla. ∎
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Note
- [1]Un anno: secondo la tradizione inglese era il tempo concesso ai vivi per il pianto e il dolore per la perdita di una persona cara. Entro il giorno successivo al dodicesimo mese, il lutto doveva essere superato e la vita riprendere regolarmente, altrimenti il fantasma del defunto sarebbe stato strappato dalla tomba e costretto a vagare per la terra dei vivi (Cfr. Terre Celtiche )↩
- [2]Scotti, Massimo Storia degli spettri. Fantasmi, medium e case infestate fra scienza e letteratura Milano: Feltrinelli, 2013. 978-8807881992↩
- [3]James Stuart (1566 – 1625), contemporaneamente sovrano di Scozia con il nome di Giacomo VI di Scozia.↩
- [4]Rediker, Marcus, e Peter Linebaugh I ribelli dell’Atlantico: La storia perduta di un’Utopia libertaria. Milano: Feltrinelli, 2018. Pag. 159. ISBN 978-8807890574↩
- [5]Christ Church, nella parte meridionale dell’isola, fu una delle prime civil parishes fondate dai coloni a Barbados. La parrocchia civile era, ed è tuttora, una istituzione tipicamente inglese e legata alla presenza della chiesa anglicana sull’isola. Dopo lo scisma anglicano (XVI secolo) il governo del territorio nelle aree rurali fu lasciato infatti alle parrocchie anglicane che avevano il diritto di riscuotere una tassa sui prodotti, la cosiddetta “decima”.↩
- [6]Woolley, Mary Memoirs and correspondence of field–marshal viscount Combermere (op. cit.)↩
- [7]Clayton, Ian R. “The Bussa Rebellion“, Worldsagas.com.↩
- [8]Dunning, Brian, (op. cit.)↩
- [9]Fanthorpe, Lionel and Patricia. The World’s greatest Unsolved Mysteries. Dundurn, 1997. Pagg. 64–75.↩
- [10]Lang, Andrew (op. cit.)↩
- [11]introdotto dal medico britannico Edward Jenner nel 1796.↩
- [12]Inventata nel 1804 da Trevithick↩
- [13]West Indian Tales of old, 1915 (op. cit.)↩
- [14]Come ebbe modo di verificare Mr. Alleyne nel 1907. Cfr. Lang (op. cit.)↩
- [15]Alexander, pag. 161 (op. cit.)↩
- [16]“The Curious Vault at Staunton, Suffolk” in European Magazine and London Review, luglio–dicembre 1815, vol. 68. Pag. 226 Hati Trust.↩
- [17]Il caso di Staunton è citato anche da Aspinall nel West Indian Tales of Old del 1915 (op. cit.)↩
- [18]Nickell, Joe Real–Life X-Files: Investigating the Paranormal. University Press of Kentucky, 2001.↩
Bibliografia
- Alexander, sir James Edward Transatlantic sketches Londra: ed. R. Bentley, 1833. Pagg. 161–162 . Archive.org
- Schomburgk, Robert Hermann The History of Barbados. Londra, 1848. Pag. 220–221 . Archive.org
- Woolley, Mary Memoirs and correspondence of field–marshal viscount Combermere, from his family papers Londra: Hurst & Blackett, 1866. Vol. 1. Pagg. 385–393 . Google Books.
- Lang, Andrew “Deaths Deeds, a bi–located story.” in Folk-Lore: A Quarterly Review on Myth, Tradition, Institution & Custom, Vol XVIII, 1907. Pagg. 376–390 . Archive.org
- Aspinall, sir Algernon Edward West Indian Tales of old. Cap. X: “A Barbados Mystery”. Londra: Duckworth & Co. 1915. Pag. 224–233 . Archive.org
- “History of Barbados” in Barbados.org. Web.
- Polidoro, Massimo “La tomba che si muove” in Enigmi e misteri della storia — La verità svelata. Milano: Piemme, 2013. ISBN 978-8856627794
- Dunning, Brian “The Moving Coffins of Barbados” in Skeptoid, 28 gennaio 2014. Web.