L’ultraviolenza di Pierino Porcospino

In Cultura, Dal mondo di Silvio DellʼAcqua

Konrad inseguito dal sarto, da Pierino Porcospino

Una bambina in fiamme. Un bambino sanguinante, vittima di uno spaventoso “cappellaio matto” che gli taglia i pollici con un forbicione. Queste immagini scioccanti, ci crediate o no, non sono grottesche drôlerie medievali ma illustrazioni tratte da un libro di filastrocche per bambini del 1845: Der Struwwelpeter, scritto dallo psichiatra tedesco Heinrich Hoffmann (1809 – 1894), il più diffuso in Germania dopo le favole dei Grimm e noto in italiano come Pierino Porcospino (prima edizione italiana: Hoepli, 1882). Hoffman scrisse Der Struwwelpeter nel 1844 come strenna di Natale per il figlio e lo pubblicò l’anno successivo, esortato da amici e familiari entusiasti. Lo psicanalista Georg Groddeck (1834-1934) lo definì «il cantico dei cantici dell’inconscio per gli adulti» e anche Freud lo citò nell’esposizione delle sue teorie. Il filosofo tedesco Theodor W. Adorno in Minima Moralia (1949) fu invece molto critico sul modello di educazione repressiva rappresentato da Pierino Porcospino, vedendovi addirittura le basi per una società autoritaria e predisposta al nazismo.

Il libro fu pubblicato inizialmente con lo pseudonimo Reimerich Kinderlieb, che significa “rimatore amante dei bambini” (decisamente azzeccato), e intitolato Lustige Geschichten und drollige Bilder mit 15 schön kolorierten Tafeln für Kinder von 3–6 Jahren. Siccome era un po’ lungo, dalla terza edizione del 1958 si scelse di chiamarlo semplicemente Der Struwwelpeter (letteralmente “Peter dalla testa irsuta”): il titolo veniva dal soprannome del protagonista della prima filastrocca, un ragazzino il cui torto è di essere lurido e trasandato, avere unghie lunghe «mai tagliate» e per capigliatura «una foresta densa, sporca, puzzolente.»

Il povero Pierino è semplicemente presentato come modello negativo, da non imitare pena il pubblico disprezzo: «Oh, che schifo quel bambino! È Pierino il Porcospino.» Nelle Geschichten (storie) che seguono, scritte con tono umoristico ed apparentemente leggero, si narrano invece le vicende di bambini disobbedienti o semplicemente sbadati e per questo colpiti da punizioni tremende, ai limiti dello splatter. La piccola Paulinchen, che gioca con i fiammiferi, finisce bruciata viva e di lei non resterà che un mucchietto di cenere. Kaspar, solo perché non vuole mangiare la zuppa, muore di fame in quattro giorni e come se ciò non bastasse viene beffardamente tumulato con una zuppiera come lapide. Konrad, reo di succhiarsi i pollici, viene inseguito da una specie di Willy Wonka fuori di testa che gli vuole mozzare le dita.

Paulinchen prende fuoco


Nella filastrocca Die Geschichte von den schwarzen Buben (la storia del moretto) c’è però anche una chiara morale antirazzista. Tre ragazzini si prendono gioco di un coetaneo di colore, ignorando i rimproveri del saggio “groβe Nikolas”, che nella traduzione italiana diventa il maestro Nicolò ma che in realtà è un riferimento al Sankt Nikolaus della tradizione germanica. Ma l’incazzoso Babbo Natale teutonico perde la pazienza e getta i tre bulli in un grande calamaio pieno di inchiostro nero, rendendoli così più neri della vittima dei loro scherni:


Du siehst sie hier, wie schwarz sie sind,
Viel schwärzer als das Mohrenkind!

Oh, come neri diventar costoro,
Assai più neri del leggiadro moro!



Se da una parte la punizione segue evidentemente la regola del contrappasso dantesco secondo i principi della pedagogia illuminista di Rousseau, dall’altra la commisurazione tra la gravità dell’atto compiuto e la durezza del castigo inflitto sembra essere invece del tutto casuale: abbiamo infatti almeno un paio di morti, un mutilato e un disperso, tutto per sciocchezze come succhiarsi i pollici o aprire l’ombrello quando c’è vento (Die Geschichte vom fliegenden Robert, la storia di Roberto che vola).


Il piccolo Friederich di Der Struwwelpeter



Il piccolo Friederich di Der Struwwelpeter e Alex DeLarge di A Clockwork Orange: la somiglianza tra i due è inquietante.

Poi c’è Frederich, un bambino sadico e stronzissimo che pratica l’ultraviolenza stile Arancia Meccanica: prima ammazza il canarino a sgabellate per poi prendere a bastonate anche la baby sitter. Ecco, lui no. Invece di essere centrato da un meteorite come ci si aspetterebbe, o immerso nel Flegetonte come avrebbe auspicato Dante,  l’ornitoclasta Frederich se la cava inspiegabilmente con un banale morso di cane e qualche giorno a letto con una medicina amarissima, terapia per la violenza insensata del piccolo drugo come la “cura Ludovico” lo fu per Alex DeLarge. Anche qui abbiamo il contrappasso: il bambino che maltratta gli animali è sua volta punito da un animale, ma in confronto agli altri morti malissimo gli è andata comunque di lusso. E che dire di Philipp, che si dondola sulla sedia finendo per trascinare a terra la tovaglia apparecchiata e facendo schiattare la madre di infarto? Lui addirittura non viene nemmeno punito, il padre è troppo avvilito dal digiuno forzato per preoccuparsi anche di castigare il figlio. Forse, la penitenza del maldestro bambino sarà il senso di colpa a vita per essere stato tanto “sciagurato”.


I pescatori con gli arpioni recuperano il copro di Hanns che galleggia nell’acqua a faccia in giù. Contrariamente all’apparenza, se la caverà.

Philipp si dondola sulla sedia fino a trascinare a terra la tovaglia e le vivande. La sua punizione sarà un pasto saltato.



L'autore

Silvio DellʼAcqua

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Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.