Rifugio "Guido Corsi" allo Jôf Fuârt

La Società Alpina del Friuli e le donne

In Dal mondo, Storia di Annalisa Neviani

Massiccio dello Jôf Fuârt, Alpi Giulie

Massiccio dello Jôf Fuârt, Alpi Giulie

Per tradizione ogni autunno una sezione del CAI organizzava una settimana di vacanza gratuita, offerta agli iscritti più giovani e meritevoli. Nel 1974 io ero una socia nemmeno ventenne della sezione di La Spezia e mi assegnarono l’ambito premio: una settimana intera a Udine, ospite della SAF. Credo che avessero scelto me perché non c’erano molte donne alpiniste e pertanto ritenevano che la presenza di una arrampicatrice, di roccia e non sociale, avrebbe messo in buona luce la nostra minuscola e sconosciuta sezione. Comunque lo confesso con grandissima vergogna: non sapevo nemmeno che esistesse una sezione del CAI chiamata “SAF”. Furono costretti a spiegarmi che era, in pratica, la sezione di Udine, ma aveva una denominazione peculiare perché dalla sua fondazione, avvenuta nel 1881 aveva avuto vita autonoma finché (nel 1929) il governo mussoliniano aveva costretto tutte le associazioni, minoritarie come numero, ma importantissime come storia e dignità, a confluire nel CAI. Subì la stessa sorte anche la SAT, la grandissima Società Alpinisti Tridentini, che era nata, forse, più per promuovere l’annessione di Trento al Regno d’Italia che per organizzare gite in montagna. Non a caso annoverava tra i suoi soci più attivi Cesare Battisti, l’irredentista che sarà catturato dagli austro–ungarici e impiccato come reo di alto tradimento. Anche la SAG (Società Alpina delle Giulie ) viene fagocitata dal CAI, che in quell’infausto periodo era intriso di retorica fascista.

Udine, piazzale Osoppo negli anni ’70 (cartolina)

Arrivai dunque a Udine, forse un pochino meno ignorante grazie alle letture che mi avevano propinato per evitare gigantesche figure da sprovveduta e, come preannunciato, alla stazione trovai un socio della SAF che accoglieva i nuovi giunti, proprio come facevano i sergenti con le reclute: vedendosi comparire davanti una tizia tutta addobbata con scarponi, braghe alla zuava, zaino e tutti gli altri ammennicoli prima fece un salto di mezzo metro, poi mi squadrò come se gli fosse comparso davanti un basilisco tricefalo e, infine, recuperata la parola, bisbigliò attonito: «Ma tu da dove accidenti arrivi?» Gli spiegai che «io sono quella di Spezia» e mi chiamavo Annalisa Neviani. Visto che il galantuomo pareva titubante esibii la busta con la convocazione e qui si chiarì l’enigma: i friulani attendevano un tale A. L. Neviani, che per loro avrebbe potuto essere, putacaso, Antonio Luigi, Andrea Lorenzo, Alberto Livio, ma mai e poi mai Anna Lisa! A me pareva un falso problema, ma a lui no, proprio no. Alla fine mi venne annunciato, in tono severo, che avrebbero dovuto parlarne con… Monsignor Vescovo! Già, perché i trenta fortunati vincitori avrebbero dovuto essere accasermati nel Seminario Vescovile e tale venerabile struttura non era mai stata violata da piede muliebre, nemmeno se calzato da robusti scarponi numero 42. Non ho mai saputo cosa abbia detto l’eminente prelato, ma alla fine mi sistemarono nell’infermeria destinata ai seminaristi con malattie infettive, mentre i miei colleghi usufruivano di una camerata unica.

Duomo di Udine, anni 70 (cartolina).

Ovviamente un socio, promosso sul campo guardiano dell’harem, ma non evirato (almeno spero!) pernottava assai scomodamente su una branda in corridoio per impedire una mia eventuale evasione. Già, perché si prevedeva una libera uscita serale per i maschi, ma non per me. Nessuno pensava che una corda da 40 metri nel mio zaino potesse porre rapidamente fine al problema. Così una sera mi ritrovai a dover riportare all’ovile un gregge berciante e indisciplinato: sapendo di dover risalire la corda con staffe e Prusik mi ero mantenuta rigorosamente sobria, mentre i miei amici erano tutti più o meno ciucchi. Devo aver tirato giù svariati Santi del calendario, perché a un certo punto alcuni Alpini in libera uscita pensarono bene di farmi la predica. Male gliene incolse, perché li precettai all’istante per ricondurre sulla retta via i mie ventinove sbronzi: evidentemente avevo già sviluppato quella virtù che si richiede ai medici di area critica e che viene comunemente definita ”attitudine al comando”. Devo ammettere che furono davvero comprensivi e solidali: solo grazie a loro guadagnai il portone del Seminario, dove fui però obbligata a palesarmi!

In seguito ci portarono anche a fare svariate vie ferrate. Durante una di queste gite alcuni gendarmi austriaci, che arrampicavano sopra di noi, provocarono una caduta di pietre che mi rovinò malamente il casco. Arrivati al rifugio incontrammo questi sprovveduti e io feci le mie più sentite rimostranze in un misto di italiano, tedesco da angiporto e genovese. Devo aver fatto un gran brutto effetto, perché alla fine il loro maresciallo (o come accidenti si chiama in Austria[1]) commentò (in perfetto italiano, maledetto lui!): «La Fraülein chissà dove ha imparato a parlare tedesco!». Avrei voluto vedere lui con il casco diviso in due come una noce di cocco!

Rifugio "Guido Corsi" allo Jôf Fuârt

Rifugio “Guido Corsi” allo Jôf Fuârt (Commons).

L’ultimo giorno andai a lavarmi la faccia nel bagno di un rifugio e, orba come sono, caddi a pera cotta con gli occhiali in mano. Risultato: montatura a pezzi e uno sbrego nel palmo, prontamente medicato versandoci sopra la grappa per disinfettare (che spreco!) e fasciato con un fazzoletto pulito. In serata cena di gala con il Senatore Giovanni Spagnolli, allora Presidente nazionale del CAI . L’Onorevole mi vide con il braccio al collo, chiese delucidazioni e gli risposero che ero caduta «sullo Jôf Fuârt[2]». Il fatto magari era anche vero, ma tralasciarono il dato fondamentale, cioè che ero scivolata maldestramente nel bagno e non ero certo precipitata da una parete di roccia. Errore fatale: durante il pistolotto finale il Senatore andò avanti un’eternità con la storia dell’eroica fanciulla che, con mirabile sprezzo del pericolo, si avventura tra precipizi e forre, sui sacri confini della Patria, cadendo poi eccetera. Alla fine ridevano TUTTI e Spagnolli non si capacitava dell’effetto che aveva suscitato il suo discorso patriottico. Non sono mai più ritornata a Udine: peccato!


  1. [1]Vizeleutnant, (n.d.r.)
  2. [2]Montagna delle Alpi Giulie, alta 2662 m s.l.m: nota come Viš in sloveno e Wischberg in tedesco, appartiene alla catena Jôf Fuârt-Montasio (n.d.r.)
L'autore

Annalisa Neviani

medico ospedaliero in pensione, chiacchierona e curiosa.