Berlino: il Muro alla porta di Brandeburgo, 12 gennaio 1989.

Dal “bombolone” di Kennedy all’archivio Rosenholz: storia e storie all’ombra del Muro

In Dal mondo, Storia di Alessio Lisi

Berlino: il Muro alla porta di Brandeburgo, 12 gennaio 1989.

La Repubblica Democratica Tedesca[1] lo chiamava il “Bastione di protezione antifascista” mentre per l’Occidente esso era semplicemente il Muro di Berlino. Costruito in fretta e furia nella notte tra sabato 12 e domenica e 13 agosto del 1961, leggenda vuole che tanta solerzia fu dovuta all’ufficiale della DDR incaricato di costruirlo, cui la moglie aveva promesso una focosa notte di sesso se avesse completato la missione con successo. La volontà dei vertici della Repubblica Democratica Tedesca era di arginare il costante flusso verso l’Occidente, che dal 1949 al 1961 aveva visto 2,7 milioni di tedeschi dell’est cercare asilo a Berlino Ovest. In realtà la prima fortificazione era costituita per lo più da una recinzione di filo spinato, a cui si aggiungevano strade interrotte e divelte. Nelle settimane successive fu eretto il vero e proprio muro che nella sua costruzione avvolse anche abitazioni civili.

muro di Berlino 13 agosto 1961

Berlino: guardie di frontiera (Grenztruppen) della DDR chiudono il confine alla porta di Brandeburgo il 13 agosto 1961, il giorno in cui il “muro” fu eretto (Steffen Rehm).

Dopo il blocco di Berlino, inaugurato dai sovietici il 26 giugno del 1948 per forzare gli americani ad abbandonare la città e a cui gli americani risposero con il più grande ponte aereo della storia, i berlinesi vivevano un nuovo dramma. La Germania infatti era sia una nazione sconfitta e occupata dalle potenze alleate nella seconda guerra mondiale, sia il più importante e cruciale campo di battaglia della Guerra Fredda: in parole povere pagava il prezzo due volte, i berlinesi anche più degli altri. Il rischio di un conflitto nucleare con epicentro Berlino si corse nello stesso autunno del 1961: il 22 Ottobre E. Allan Lightner, un alto diplomatico statunitense fu bloccato dalle guardie della DDR al “Checkpoint Charlie”, il punto d’accesso a Berlino Est dedicato agli stranieri. Poiché gli accordi di Potsdam prevedevano per gli alleati la libera circolazione in tutti i quartieri di Berlino, Lightner si rifiutò di mostrare il passaporto e tornò indietro. Saputo dell’accaduto Lucius D. Clay, consigliere speciale del presidente Kennedy nonché l’ex generale che ideò il ponte aereo del 1948, ordinò ai soldati americani di scortare i diplomatici diretti a Berlino Est. Data la resistenza e l’insistenza da parte delle guardie della DDR nel voler controllare i passaporti, Clay ordinò di sostituire i soldati a bordo dei fuoristrada con dieci carri armati M48. Dinanzi al dispiegamento dei carri armati americani a 75 metri dal confine, l’Unione Sovietica rispose con altrettanti carri armati sovietici disposti alla stessa distanza dall’altro lato del Checkpoint Charlie. Per 16 tesissime ore americani e sovietici si puntarono i cannoni addosso, da una parte all’altra della frontiera. Temendo che la situazione potesse sfuggire di mano, Kennedy chiamò Clay per ricordargli che passare a Berlino Est senza passaporto non valeva un conflitto nucleare con Mosca; il presidente americano chiamò Chruščëv per tentare di calmare le acque, e a fronte della promessa di non invadere Berlino Est ottenne il ripristino del libero accesso alla zona orientale. Alle 11 del mattino successivo i sovietici ritirano per primi un carro armato e aspettarono finché anche gli americani non avessero ritirato uno dei loro; fu così che uno a uno i carri armati si ritirano dal Checkpoint Charlie in buon ordine.

JFK a Berlino

Il presidente USA John F. Kennedy parla a Berlino il 26 giugno 1963 (John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston).

Due anni più tardi, il 26 giugno 1963, fu di nuovo protagonista Kennedy che in visita a Berlino tenne il famoso discorso «Ich bin ein Berliner»;[2] anche se era chiaro l’intento retorico del discorso di Kennedy c’è chi aprì una discussione sulla celebre frase sostenendo che Kennedy avesse detto in realtà «Io sono un bombolone». La disputa nasceva dall’articolo “ein” (un) e da “Berliner” che nel Nord della Germania è il modo con cui si chiama il Krapfen: poiché si suol dire “io sono berlinese” e non “io sono un berlinese” allora per alcuni la traduzione letterale del discorso di Kennedy era “io sono un bombolone”. In molti negli USA diffusero questa versione dando per certo l’errore di Kennedy, mentre nella realtà l’utilizzo dell’articolo “un” non è formalmente scorretto, e inoltre dal contesto del discorso era abbastanza chiaro che non si riferisse al dolce ma alla città. La celebre frase di Kennedy a Berlino è famosissima, molto meno la frase spontanea che disse quando fu informato della costruzione del muro: «not a very nice solution, but … a hell of a lot better than a war“».[3] Archiviato il discorso di Kennedy il muro restò lì dov’era e si stima che dal 1961 al 1989 più di 600 persone furono uccise mentre tentavano la fuga verso l’Ovest, di cui almeno 136 proprio lungo il muro; al contrario si stima in almeno 5.000 persone il numero di coloro che riuscirono a fuggire. Poi quasi all’improvviso il muro crollò.

Prime operazioni di smantellamento del muro, 21 dicembre del 1989 (foto: U.S. Airforce).

Agli inizi del novembre del 1989 il governo della DDR era alle prese con la protesta aperta da parte della popolazione, soprattutto contro un progetto di legge sui viaggi. A seguito delle proteste in diverse città, il 9 novembre la legge era stata rivista prevedendo per i viaggi privati la concessione di un visto senza specifiche condizioni o tempi di attesa. Lo stesso giorno alle ore 19 al termine di una conferenza stampa, il segretario del Comitato Centrale Günter Schabowski diede notizia, senza porvi particolare attenzione, del nuovo regolamento sui viaggi privati. A quel punto il giornalista italiano Riccardo Ehrman, all’epoca corrispondente dell’ANSA da Berlino Est, chiese maggiori informazioni a Schabowski sulla nuova legge sui viaggi, consapevole di come l’intento della DDR fosse in realtà negarli come sempre. Per un’imprevedibile piega della Storia Schabowski non si era ben chiarito con il governo e quindi rispose alle domande del giornalista italiano affermando che: «si sarebbe potuto chiedere il permesso senza che ci siano condizioni, come motivi per il viaggio e rapporti di parentela»; che i permessi sarebbero stati rilasciati entro poco tempo; che il regolamento era in vigore «da subito, senza indugio». Alle ore 20 il telegiornale dell’emittente ARD aprì con la notizia che la Repubblica Democratica Tedesca aveva aperto i confini; poco dopo a Berlino Est una piccola folla iniziò a presentarsi al confine desiderosa di usufruire immediatamente delle nuove regole; prese di sorpresa le guardie di confine della DDR rimasero interdette sul da farsi e verso le 21:20 i primi cittadini dell’Est poterono passare a Berlino Ovest. Il comandante del valico faceva tuttavia apporre dei timbri per annullare la validità dei passaporti, privandone dei diritti gli ignari proprietari. Intorno alle 23:30 l’afflusso di persone divenne tale che il comandante, ancora senza indicazioni ufficiali, fece aprire la sbarra del confine; anche gli altri valichi di frontiera furono aperti e fu così che senza il minimo preavviso e grazie al malinteso di Schabowski, e alle domande di un giornalista italiano, il muro di Berlino smise di dividere la città.[4]

1 – Sede della STASI-HVA all’angolo tra Ruschestraße e Frankfurter Allee, Berlino-Lichtenberg. Dal 2003 è sete delleDeutschen Bahn, le ferrovie tedesche (foto: [CC BY-SA 3.0] Commons .

Proprio la sera del 9 novembre del 1989 mentre la folla dal Berlino Est assaltava la frontiera, un agente della CIA di stanza a Berlino[5] faceva il tragitto inverso in direzione di Normannenstraße dove vi era il quartier generale della STASI, il famigerato servizio segreto della DDR. L’edificio quella sera era popolato solo da “normali” impiegati; l’agente della CIA si fece accompagnare nei sotterranei di quello che fino a quel momento era una dei più grossi apparati di spionaggio in europa e nel mondo. A fronte del pagamento di 75.000 dollari in contanti, l’agente della CIA ricevette tre cassette contenenti 381 CD–ROM contenenti 340 000 schede, riguardanti 280 000 collaboratori della STASI nel periodo che va dall’autunno del 1951 al gennaio del 1988: l’operazione Rosenholz era riuscita e si poteva considerare il colpo del secolo dello spionaggio e per di più relativamente a basso costo. Se non fosse per un dettaglio fondamentale. Nei CD consegnati alla CIA vi erano le schede F16 contenenti i dati anagrafici e di registrazione dei collaboratori della HVA (Hauptverwaltung Aufklärung, agenzia di intelligence per l’estero dipendente dalla STASI), ma anche di persone a cui la STASI si era interessata senza che si possa parlare di collaborazione, e le schede con i nomi in codice dei collaboratori, dati personali, contatti e motivo del reclutamento. Mancavano però le schede F22 quelle relative alle attività svolte e con il numero di registrazione del collaboratore. In pratica la CIA era in possesso della scheda del signor Tizio e ne conosceva numero di registrazione e nome in codice “Caio” ma ne ignorava l’attività. Qualche ora dopo che l’agente della CIA se ne era andato, al quartiere generale della STASI arrivarono gli uomini della BFV,[6] il servizio segreto della Germania Ovest: anche loro ottennero dei CD–ROM ma contenevano solo le schede F22, quindi sapevano per esempio in che tipo di operazioni era coinvolto il collaboratore “Caio” ma ne ignoravano l’identità. Il servizio segreto della Germania Ovest era una creatura della CIA, quindi in linea teorica sarebbe stato facile unire i due dossier per avere il quadro d’insieme… eppure ne mancò la volontà. Per i tedeschi infatti il dossier era una nervo scoperto, si stima infatti che almeno dodicimila cittadini della Germania Ovest avessero collaborato con la STASI, e che molti di loro fossero personaggi noti del panorama politico e sociale; il dossier rischiava quindi di procurare non pochi imbarazzi al governo della Repubblica Federale.
Su come la CIA abbia ottenuto l’archivio Rosenholz molto probabilmente non si potrà mai sapere con certezza la verità, l’acquisto per 75 000 dollari è solo una delle ipotesi. C’è chi sostiene che il venditore fosse un agente del KGB, chi un agente della STASI al servizio della CIA, c’è chi sostiene che la CIA sia entrata in possesso dell’archivio nel 1991 e abbia aspettato un anno prima di informare i tedeschi, chi invece afferma che non sia arrivato in mano americane prima del 1993. Ciò che si sa di sicuro è che l’archivio Rosenholz rappresenta ancora una questione aperta tra gli Stati Uniti e la Germania.
Il muro di Berlino è stato per anni una ferita profonda per i berlinesi e per i tedeschi ed è difficile poter ricostruire con le parole ciò che è stato e ciò che ha comportato per la vita di migliaia di persone. Senza voler offendere la memoria collettiva dei berlinesi, si può però dire che un piccolo merito il muro di Berlino lo ha avuto: nel 1977 due amanti clandestini che si baciavano accanto al muro ispirò a David Bowie la canzone Heroes (sulla base dell’omonimo brano “krautrock” dei Neu! ’75 di due anni prima) che la rivista Rolling Stones ha inserito al 46º posto delle 500 migliori canzoni di sempre, inclusa anche nella colonna sonora del celebre film Christiane F. — Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Questo e molto altro è avvenuto a Berlino lungo un muro costruito in una notte di mezza estate.

Note

  1. [1]Deutsche Demokratische Republik, meglio nota come DDR.
  2. [2]«Io sono un Berlinese».
  3. [3]«Non una bella soluzione ma…dannatamente molto meglio di una guerra».
  4. [4]Il muro fu poi materialmente abbattuto tra giugno e novembre del 1990.
  5. [5]La CIA aveva una vera e propria base a Berlino Ovest.
  6. [6]Bundesamt für Verfassungsschutz.

Bibliografia e fonti

Immagine in alto: il Muro alla porta di Brandeburgo, 12 gennaio 1989. Foto: Dipartimento della Difesa U.S.A.

L'autore

Alessio Lisi

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Tarantino di nascita e pavese di adozione. Il resto è coperto dal segreto di stato dell'isola di Laputa.