1914-2014: 100º anniversario della Grande Guerra
Ogni nazione era convinta che la propria causa fosse giusta, si credeva minacciata da un perfido nemico bramoso di ucciderla, e pensava che soltanto la propria vittoria potesse salvare l’ordine morale nel mondo. Herbert A. L. Fisher (1865 – 1940), storico e politico britannico.
Alle ore 11 del 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este e sua moglie Sophie Chotek von Chotkowa vengono assassinati a Sarajevo, capitale della Bosnia annessa ufficialmente dall’impero asburgico nel 1908, per mano di un nazionalista slavo. La Storia colpì con triste ironia proprio l’arciduca che era l’unico esponente delle autorità austriache a favore dei nazionalisti slavi, dato che sognava che il suo impero fosse rifondato attraverso un patto federativo tra i vari popoli. La notizia dell’attentato suscitò scalpore e indignazione in tutta Europa (tranne che in Austria e Serbia). L’Europa del 1914, fino a quel 28 giugno, viveva ancora di un periodo di relativa pace seguita alla guerra franco-prussiana del 1870. L’assenza di conflitti europei però non implica che non vi fossero contrasti, che anzi erano tutt’altro che sopiti. La Germania riunificata dai prussiani nel II Reich aveva ancora fame di conquista e non si accontentava degli spiccioli rimasti del colonialismo; l’Austra-Ungheria aveva non pochi problemi interni dovuti al suo variegato e multietnico impero; la Francia, in cui si era instaurata la III Repubblica, covava non poco spirito di rivincita nei confronti dei tedeschi dopo la disfatta di Sedan del 1870 e la perdita delle regioni dell’Alsazia e della Lorena. Dopo il 1870 i giochi diplomatici e il balletto delle alleanze tra le varie nazioni portò infine alla creazione di due differenti schieramenti: da una parte “l’Alleanza” degli imperi centrali di Germania e Austria-Ungheria, dall’altra “l’Intesa” tra la monarchia costituzionale del Regno Unito, la terza Repubblica francese e la dispotica Russia dello Zar Nicola II.
Il Regno d’Italia nel 1882 aveva aderito all’alleanza tra Germania e Austria (che infatti fu ribattezzata “Triplice Alleanza”) ma con l’aggiunta di un protocollo in cui si specificava che in nessun caso l’alleanza sarebbe stata rivolta contro la Gran Bretagna. Ironia della sorte Germania e Austria-Ungheria nel 1883 avevano coinvolto nell’alleanza anche la Romania, che come l’Italia più tardi entrerà in guerra al fianco dell’Intesa, e temporaneamente anche al Regno di Serbia. Nel 1914 però l’Austria-Ungheria, convinta che la politica del pugno duro che adottò a suo tempo Bismarck potesse essere sempre efficace, e spalleggiata dalla Germania con cui condivideva il sogno di una vittoriosa “guerra lampo”, non vedeva l’ora di regolare i conti con la Serbia, rea un anno prima di essersi ulteriormente espansa annettendo parte della Macedonia e raddoppiando così il suo esercito. L’inchiesta della polizia austriaca portò a concludere però che se da una parte era chiaro che nell’attentato fossero coinvolti gruppi e funzionari serbi, dall’altra parte si poteva ritenere che il governo serbo fosse totalmente estraneo alla questione. Ma questo allo stato maggiore dell’esercito austriaco e ad alcuni esponenti del governo poco interessava. Come ebbe infatti a dire il conte Tisza, che obiettava ai venti di guerra non per questioni di principio ma adducendo motivi di convenienza, «non è affatto difficile trovare un casus belli adatto quando se ne ha bisogno». Il 23 luglio venne presentato un ultimatum al governo serbo che le autorità austriache avevano redatto col preciso scopo che fosse irricevibile. L’ultimatum conteneva, tra le altre, due richieste che violavano apertamente la sovranità serba e ponevano un termine di 48 ore per accettarlo. Il 24 luglio il governo tedesco, che non era ancora a conoscenza del contenuto del’ultimatum austriaco, trasmise ai governi di Russia, Francia e Gran Bretagna una nota diplomatica in cui si sosteneva che le richieste austriache erano «moderate e giuste» e che ogni interferenza nella questione avrebbe avuto conseguenze incalcolabili. La risposta serba fu consegnata agli austriaci due minuti prima che l’ultimatum scadesse: senza neppure leggerla l’ambasciatore austriaco ruppe le relazioni diplomatiche e come da istruzioni ricevute partì in treno da Belgrado; tre ore dopo venivano impartiti ordini per la parziale mobilitazione delle forze austriache sul fronte serbo. Rifiutando qualsiasi proposta di mediazione il governo austriaco convinse l’imperatore Francesco Giuseppe a firmare la dichiarazione di guerra con la falsa notizia di un attacco serbo contro truppe austriache. Esattamente un mese dopo l’attentato, alle ore 11 del 28 luglio 1914 la dichiarazione di guerra da parte dell’Austria era telegrafata alla Serbia.
A fronte della mobilitazione austro-ungarica, i generali dello Zar fecero pressione per una mobilitazione generale delle forze armate russe, la qual cosa altro non avrebbe significato che, di fatto, una dichiarazione di guerra all’Austria. Lo Zar era però titubante e parte della politica russa tentò sia di ottenere una mobilitazione delle forze armate solo parziale, sia di convincere la Germania a far pressioni sull’Austria e a disinnescare il conflitto. Il II Reich infatti se da una parte aveva già avvisato i russi che in caso di mobilitazione delle forze armate sarebbe stata guerra, dall’altra temeva che l’azione austriaca potesse far ricadere le colpe del conflitto sulla Germania, costandole così l’appoggio italiano e la neutralità inglese. La Germania tentò invano di contrattare la neutralità inglese assicurando che non intendeva annettere territorio metropolitano francese ma solo quello coloniale. Alla fine a far precipitare la situazione fu l’insistenza dei generali russi che convinsero lo Zar che una mobilitazione solo parziale delle forze armate era tecnicamente impossibile e che se si fosse continuato a rinviare la mobilitazione generale si metteva a rischio la sicurezza della nazione. Il 31 luglio l’ordine russo di mobilitazione generale fu reso pubblico: senza saperlo l’Europa della Belle Époque stava per suicidarsi nel fango delle trincee.
Di fronte alla mobilitazione russa lo Stato maggiore generale tedesco, al cui vertice vi era il Feldmaresciallo[1] Helmuth Johann Ludwig von Moltke, nipote di Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke eroe della riunificazione tedesca[2], divenne il protagonista dell’estensione del conflitto. Moltke rassicurò gli austriaci sul fatto che la Germania avrebbe sostenuto l’Austria “senza riserve” incitandola a dichiarare guerra alla Russia e a offrire qualcosa all’Italia per farle fare il dovere di alleata[3]. La Germania inoltre inviò due ultimatum, uno a Parigi e uno a San Pietroburgo. Senza nemmeno aspettare la risposta la Germania dichiarò guerra alla Russia il 1º agosto. L’ultimatum alla Francia era irricevibile ed era stato pensato così perché il piano tedesco prevedeva una guerra su due fronti e quindi, nella mente dei comandanti tedeschi, tale doveva essere per forza di cose! In risposta all’ultimatum la Francia ordinò la mobilitazione generale ma come gesto di buona volontà ritirò le forze di frontiera onde evitare pericolose schermaglie.
Alla fine i tedeschi dichiararono guerra alla Francia il 3 agosto sostenendo fantasiosamente che un aviatore francese avesse sganciato bombe su una linea ferroviaria tra Karlsruhe e Norimberga [4]. La sera del 2 agosto inoltre la Germania consegnò un ultimatum al Belgio pretendendo il libero transito delle proprie truppe[5]: il governo belga rifiutò e i tedeschi iniziarono l’invasione il 4 agosto. Di fronte all’occupazione tedesca del Belgio, la Gran Bretagna ruppe gli indugi e dichiarò guerra alla Germania: la Grande Guerra era definitivamente scoppiata. L’intervento della Gran Bretagna provocò non poco nervosismo al Kaiser Guglielmo II che aveva desiderato fino all’ultimo di tenere l’impero inglese neutrale. Curiosamente il Kaiser era anche scaramantico: per questa guerra aveva scelto di affidarsi ad un von Moltke come nel 1870 e stabilì il quartier generale nel “Palazzo Elettorale” (Kurfürstliches Schloss)[6], lo stesso edificio di Coblenza che fu occupato, sempre nel 1870, dal “vecchio” Moltke.
A questi Stati nel corso degli anni se ne aggiunsero altri in entrambi gli schieramenti, e molte altre furono le dichiarazioni di guerra che le varie ambasciate si scambiarono tra di loro. Nel 1914 gli eserciti europei erano convinti di potere gestire la guerra secondo i canoni ottocenteschi, cavalleria compresa, ma con l’aggiunta poderosa della leva di massa che aveva innalzato gli effettivi da migliaia a milioni. I generali ignoravano però che la tecnologia militare avesse sorpassato la loro mentalità e modo di intendere la guerra, e che allo scoppio del conflitto le armi difensive fossero nettamente superiori alle armi offensive. Se da una parte è facile dare giudizi a posteriori, e premettendo che nessun generale in quanto essere umano è imbattibile e immune da errori, dall’altra è quasi sconvolgente la catena di errori e l’ottusità con cui i comandanti delle varie armate portarono avanti il conflitto, sacrificando milioni di uomini in inutili attacchi frontali che portavano al massimo alla conquista di qualche centinaio di metri di terreno. L’ottusità raggiunse il culmine, e appare quasi ridicolo con gli occhi moderni, nel vedere con quanto astio i vari comandanti bocciarono il carro armato, come anche l’aereo, che risulterà invece l’arma capace di scardinare le trincee, per non parlare della cattiva abitudine di far rimuovere dai loro incarichi gli ufficiali colpevoli di aver avuto ragione nel contrastare le idee dell’alto comando. Nell’estate del 1914 però i vari comandanti sono ancori ignari di ciò che sta per succedere e da parte francese e tedesca non vedevano l’ora di mettere in pratica i piani militari tanto studiati negli anni precedenti: il Piano Schlieffen da parte tedesca e il Piano XVII da parte francese.
Approntato nel 1905 il Piano Schlieffen era un piano lungimirante: prevedeva infatti di tenere a bada i russi con 10 divisioni sul fronte orientale, contando che le enormi distante e le scarse linee di comunicazione avrebbero temporaneamente rallentato il gigante russo, mentre il grosso delle forze tedesche avrebbe compiuto una manovra aggirante, attraverso il Belgio, ai danni della Francia. Nei suoi calcoli Schlieffen intuì l’ipotesi di un intervento inglese stimando la presenza di un contingente di 100.000 uomini al fianco dei francesi. L’intuizione strategica di Schlieffen consisteva nel pensare ad una manovra con due ali, di cui quella sinistra (nei piani di Schlieffen composta da 8 divisioni) sulla frontiera franco-tedesca avrebbe funzionato da esca per attirare e concentrare i francesi in quel punto , mentre l’ala destra (composta da 53 divisioni più la riserva) avrebbe attraversato il Belgio e con un ampio movimento ad arco avrebbe poi preso alle “spalle” i francesi, spingendoli così in una sacca composta dalla Mosella, dalle fortezze della Lorena e dalla frontiera Svizzera. Schlieffen aveva ipotizzato che il passaggio dell’esercito sarebbe stato ottimale lungo la frontiere non solo del Belgio ma anche dell’Olanda; ipotizzò inoltre che nel caso la diplomazia tedesca non fosse riuscita ad avere con le “buone” il libero passaggio, il fatto stesso di aver schierato tante forze lungo il Belgio avrebbe indotto i francesi a invadere la belga valle della Mosa, che costituiva una naturale posizione difensiva, liberando così la Germania dalla disapprovazione morale di aver violato uno stato neutrale. In punto di morte Schlieffen pensò bene di rimarcare il suo piano con queste parole: «La faccenda deve concludersi in uno scontro. Preoccupatevi soltanto che l’ala destra sia forte». Il suo erede al vertice del comando tedesco, ovvero von Moltke, la pensava però in maniera diversa e finì con lo snaturare il piano: rafforzò l’ala sinistra anziché quella destra, indebolì troppo l’armata sul fronte orientale dovendo poi correre ai ripari spostando due armate dal fronte francese a quello russo. La sorte beffarda volle però che queste due armate arrivarono sul fronte orientale quando ormai i tedeschi avevano sbaragliato i russi a Tannenberg, mentre la loro assenza pesò sulla contemporanea battaglia della Marna in cui francesi e inglesi posero fine all’avanzata tedesca.
Il piano francese invece era fin troppo facile e ottimista. Dopo il 1870 l’esercito francese pensò bene di elaborare una strategia basata su una difesa iniziale, i cui capisaldi erano una serie di fortezze di frontiera, a cui far seguire un contrattacco. Con il Novecento però la filosofia era cambiata e i francesi erano convinti che l’offensiva era più consona al loro carattere ed elaborarono quindi una strategia di offensiva ad oltranza: fu così delineato il Piano XVII. Il piano era sbagliato sia nel calcolo delle forze tedesche sia su quale sarebbe stato il campo di battaglia. I francesi sottostimarono la reale forza di spiegamento dell’esercito tedesco ma soprattutto, pur intuendo una possibile manovra attraverso il Belgio, erano convinti che i tedeschi avrebbero fatto la cortesia di passare attraverso la difficoltosa foreste delle Ardenne, il che avrebbe permesso ai francesi di colpire facilmente le loro linee di comunicazione. In questo piano al contingente inglese non veniva assegnato che una mera funzione di appendice dell’esercito francese. I generali francesi dovettero constatare che i tedeschi avevano schierato il doppio delle forze da loro stimate ed effettuato un movimento aggirante molto più ampio (senza essere così gentili da passare attraverso le Ardenne). Se nonostante un piano strategico sbagliato la Francia non capitolò, arrestando l’avanzata tedesca sulla Marna, lo si deve sia agli errori di Moltke sia alla Russia che si era lanciata in un’offensiva militare alla quale non era pronta pur di aiutare l’alleato francese. La Russia stava andando incontro ad una sconfitta clamorosa: la battaglia di Tannenberg. ∎
The Green Fields of France (No Man’s Land) – Eric Bogle, 1976 (testo)Note
- [1] Feldmarschall, ovvero “Maresciallo di Campo” nelle forze armate tedesche era il più alto grado degli ufficiali generali, equivalente ad un odierno generale di livello OF-10. Il grado fu abolito nel 1945; attualmente il grado più alto è General, ovvero il generale di livello OF-9.↩
- [2]Per questo detto “von Moltke il Giovane”.↩
- [3]La Triplice Alleanza aveva valore difensivo e il Regno d’Italia preferì dichiararsi neutrale.↩
- [4]Anche questa notizia, come quella austriaca sul presunto attacco serbo, era totalmente priva di fondamento.↩
- [5]Nel mentre i tedeschi avevano già invaso il Lussemburgo.↩
- [6]Palazzo elettorale: così detto perché era stato sino al 1803 sede dei principi-elettori di Trier, l’ultimo dei quali fu Clemens Wenzeslaus von Sachsen. I principi elettori erano così detti perché costituivano il collegio elettorale al quale, a partire dal XIII secolo, spettava l’elezione dell’Imperatore. Il territorio governato da un principe elettore era detto elettorato (Kurfürstentum); il Palazzo Elettorale di Koblenz era quindi la sede principesca dell’elettorato di Treviri (Kurfürstentum Trier).↩
Bibliografia
- Liddell Hart, sir Basil Henry La prima guerra mondiale. 1914-1918, RCS Libri, 1999, Milano.
Immagini
- Historicair, 2011 [GNU-FLD / CC-BY-SA 3.0] Commons;
- Achille Beltrame, 1914 [PD] da La Domenica del Corriere del 12 luglio 1914/Commons;
- [PD] Commons;
- [PD] Commons;
- Agence Rol, 1914 [PD] Bibliothèque Nationale de France/Commons;
- Le Petit Journal, 4 ottobre 1914 © Silvio Dell’Acqua;
- Holger Weinandt, Coblenza 24-8-2003 [GNU-FDL] Commons;
- U.S. Army [PD] U.S. Military Academy – West Point/Commons;
- Agence Rol, 1914 [PD] Bibliothèque Nationale de France/Commons;
- Hugo Vogel (1855-1934), Tannenberg 15-1-1915 [PD] Bundesarchiv Bild 103-121-018.