Il faro di Leuca, porta del cielo

In Fari, Finis Terrae di Silvio DellʼAcqua

Capo Santa Maria di Leuca, faro e basilica visti dal mare


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Tornerà il bianco per un attimo a brillare dalla calce, regina arsa e concreta di questi umili luoghi dove termini, meschinamente, Italia, in poca rissa d’acque ai piedi di un faro. È qui che i salentini dopo morti fanno ritorno col cappello in testa. Vittorio Bodini, poeta barese (1914 – 1970)

Il capo di Leuca deve il nome all’antico toponimo greco (lingua tuttora parlata nel Salento[1]) τα Λευκά (ta Leucá, le Bianche) con cui, secondo lo storico e geografo greco Strabone (60 a.C. — c.a 21–24 d.C.), veniva anticamente chiamato questo luogo in riferimento alle bianche rocce delle sue scogliere. Ai tempi della Serenissima il Mare Adriatico era noto come Golfo di Venezia,[2] a sottolineare non solo la supremazia della Repubblica sulle sue acque ma anche la separazione geografica di questo lembo chiuso di Mediterraneo, un braccio di mare esteso dalla Laguna Veneta al canale d’Otranto che ne costituisce l’imbocco.

Golfo di Venezia mappa 1688

2 – L’Adriatico indicato come “Golfo di Venezia” su una mappa del 1688.

Bastioni naturali di questo ingresso sono, a oriente, l’isola greca di Corfù e a occidente il Capo di Leuca, estremo meridionale della costa adriatica: da qui passa il confine tra lo Ionio e l’Adriatico e non solo per convenzione nautica ma anche perché da qui, in talune condizioni, l’incontro delle correnti crea una differenza cromatica tra le acque che rende tangibile tale linea, suggerendo da sempre alla fantasia popolare l’esistenza di un confine “fisico” fra i due mari. Tutto questo avviene in corrispondenza di un promontorio, l’estremità di una terra, il Salento, che già di per sé è una lingua stretta e lunga che accompagna verso l’ignoto, il mare aperto, le lontane terre d’Oriente: naturale quindi che il Capo di Leuca fosse considerato De Finibus Terrae, “ai confini della terra” come lo chiamavano i Romani per indicare che qui si trovava l’estremo limite dei cives, i cittadini, frontiera al di là della quale cominciavano i provinciales, gli abitanti delle colonie.

Capo di Leuca da Punta Ristola

3 – Il Capo di Leuca, frontiera della provincia romana, visto dalla Punta della Ristola

Era il 1848 quando l’ingegnere Carlo Afan De Rivera, ufficiale dell’esercito e direttore generale del “Corpo di Ponti e Strade”[3] del Regno delle Due Sicilie, nel trattato Dei Mezzi[4] prefigurava che, con l’apertura di un canale attraverso l’istmo di Suez, la navigazione a vapore nel mediterraneo avrebbe restituito «l’importanza di posizione delle Due Sicilie, che sono situate nel mezzo della conca di quel mare».[4] Di un canale a Suez parlavano già i mercanti veneziani all’inizio del 1500 ma fu Napoleone Bonaparte nel 1799, durante la Campagna d’Egitto, a riportarne in auge l’idea e i lavori si sarebbero ultimati solo nel 1869 ad opera della “Compagnie universelle du canal maritime de Suez”.[5] In vista di future rotte commerciali verso le Indie era evidente che la Puglia si trovava in una posizione chiave perché la vocazione storica di “Porta d’Oriente” evolvesse in un ruolo concreto. Dieci anni prima dell’inaugurazione del Canale e due anni prima dell’Unità d’Italia il Regno delle due Sicilie, che già dagli inizi dell’Ottocento aveva avviato progetti di potenziamento delle infrastrutture portuali, finanziò la costruzione di 42 nuovi fari sulle proprie coste, molti dei quali appunto in Puglia: Punta Palascia a Otranto, Isola di Sant’Andrea a Gallipoli, Isola di San Paolo e Capo San Vito a Taranto, Punta Riso a Brindisi, Punta San Cataldo a Lecce e, ovviamente, un faro a Capo di Leuca, all’imbocco dell’Adriatico.

Fari pugliesi finanziati nel 1859 dal Regno delle due Sicilie.

Non furono però solo le esigenze della navigazione e del commercio a richiedere un faro per illuminare il capo di Leuca: la sua funzione fu anche fortemente simbolica e celebrativa della sacralità e della unicità di un luogo, del finis terrae[6] dove, secondo una tradizione medievale, i fedeli si recavano in pellegrinaggio alla ricerca di un lasciapassare per il paradiso:[7] dove trovarlo, se non dove la terra finisce ed incontra il cielo? Qui infatti si trova il santuario di “Santa Maria de Finibus Terrae”, il cui edificio attuale è stato ultimato nel 1755 ma le cui origini risalgono ai tempi del primo cristianesimo (secondo la tradizione a Leuca sarebbe sbarcato l’apostolo Pietro, iniziando la sua opera di evangelizzazione della penisola) e anche prima, quando in questo luogo sorgeva un tempio pagano attribuito a Minerva.

Basilica Santurio di Santa Maria De Finibus Terrae

5 – Basilica santuario di Santa Maria de Finibus Terrae (nota anche come “S. Maria di Leuca”): l’attuale edificio settecentesco e il piazzale dall’aspetto metafisico. La “colonna mariana” del 1694 è sormontata da una statua della Madonna, opera di Filiberto Aierbo d’Aragona.

La prima proposta di un faro a Leuca fu sostenuta proprio dall’esplicito riferimento alla funzione di guida per i pellegrini diretti al Santuario di Santa Maria di Leuca: il 5 maggio 1841 il ministro degli affari interni del Regno delle Due Sicilie Nicola Santangelo (1754 — 1851) scrisse all’Intendente della Terra d’Otranto[8] per sottoporgli l’offerta del cavalier Virginio Bourbon, benefattore «sempre inteso al miglioramento del Santuario di Leuca», di assumersi i costi di costruzione di un faro sul promontorio «il quale servendo di guida ai divoti che colà occorrono, lo fosse pure all’altezza in che sarebbe posto ai naviganti di quei mari…». Si pronunciò anche il Ministero della Guerra e della Marina, che —come scrisse di nuovo il 3 luglio il ministro Santangelo all’intendente— trovava «vantaggioso su tutti i lati lo stabilimento di un Faro sul Promontorio di Leuca, presso il santuario di tal nome». Del progetto, di cui fu incaricato il direttore generale del Corpo di Ponti e Strade, si persero però le tracce. Dopo vent’anni di nulla di fatto, il 17 marzo 1861 venne proclamata l’unità d’Italia, culmine del risorgimento, e il faro di Leuca divenne affare del ministero dei lavori pubblici del neonato Regno d’Italia il quale finalmente, nel 1863, ne ordinò la costruzione a cura del Corpo Reale del Genio Civile.

Il faro monumentale di Leuca assumerà […] anche una forte valenza simbolica di “presidio”, di avamposto della nuova Italia unita in uno dei lembi più estremi del suo territorio.

6 – La basilica di “S. M. di Leuca” (a destra) con la vicina “Torre di Leuca”, una torre costiera preesistente al faro fatta costruire da Carlo VI nel XVI secolo, citata come “cadente” nella relazione dell’ing. Rossi del 1863. Dettaglio da Atlante geografico del regno di Napoli, 1812.

Il progetto fu affidato all’ingegnere Achille Rossi[9] che scelse di collocare la costruzione «sulla spianata che è tra il Santuario di Leuca e la prossima cadente torre»,[10] (sopra) riferendosi ad una antica torre costiera fatta costruire da Carlo V a metà del XVI secolo: il faro monumentale di Leuca assumerà così, per il momento e per il luogo in cui fu costruito, anche una forte valenza simbolica di “presidio”, di avamposto della nuova Italia unita in uno dei lembi più estremi del suo territorio. I lavori iniziarono nel 1864 ad opera della ditta Perrone e nel 1867 il faro fu ultimato.

Faro di Leuca

7 – Il faro di Capo Santa Maria di Leuca. Attualmente è gestito dalla Marina Militare Italiana.

Il faro

La torre ottagonale in tufo conchifero (detto “carparo”) si innalza per 45 metri dalla quota della spianata (55 metri s.l.m.) portando l’elevazione del fuoco a 102 metri sul livello del mare: un’altezza che lo avrebbe reso visibile ad una distanza stimata di 28 miglia geografiche,[11] «supposto l’osservatore a10 metri sul livello del mare».[12] Ai suoi piedi, il caseggiato a due piani dei fanalisti ospitava un forno, un magazzino per i ricambi, un deposito per l’olio combustibile, un ufficio per l’amministrazione e tre abitazioni di quattro camere. Dal vestibolo di ingresso si accede alla scala a chiocciola che, all’interno della torre, sale con i suoi 254 gradini fino alla lanterna metallica.

Lanterna del faro di Leuca

8 – La lanterna del faro di Santa Maria di Leuca. Le attuali lenti Fresnel furono installate nel 1954.

Il servizio del faro richiedeva tre fanalisti che vivevano presso la struttura. Se del clima non ci si poteva lamentare e le cisterne garantivano sufficiente acqua potabile, il personale viveva le difficoltà dell’isolamento pur essendo il faro “in terraferma”, ossia non si necessitava un barca per raggiungerlo. A parte case più o meno sparse (esistenti sin dalla fine Settecento[13]), il paese più vicino era Gagliano del Capo dove, nonostante i circa duemila abitanti (agli inizi del ‘900), si poteva comperare poco o nulla. Ancora nel 1904, in occasione del censimento dei fari pugliesi, l’ingegnere capo del Genio Civile di Lecce scriveva infatti che «per provvedersi dei generi di prima necessità i fanalisti devono recarsi quasi sempre ad Alessano, paese di maggiore importanza che dista 12 chilometri dal faro». Inoltre, «in Galiano del Capo vi sono le scuole elementari obbligatorie delle quali i figli dei fanalisti non possono neanche profittare, stante la distanza e la mancanza di mezzi di trasporto».

Marina di Leuca in una incisione del 1899

9 – I villini della Marina di Leuca in una incisione del 1899, sullo sfondo il Capo di Leuca con il faro.

La “marina” di Leuca

L’isolamento non era però destinato a durare a lungo. Già nel 1878 infatti, una decina di anni dopo l’ultimazione del faro, era stato firmato dallo stesso ingegnere Achille Rossi e dal collega Giuseppe Ruggieri il piano regolatore per un borgo di villeggiatura, dimora estiva della nobiltà e borghesia agraria e salentina, che sarebbe sorto proprio sulla cala sottostante: l’attuale Marina di Leuca[14] con il suo porticciolo e le sue «acconcie casinette» (come si legge in una delibera comunale del 1867).[15] Da sempre riparo naturale per i pescatori locali, la rada di Leuca è compresa tra la Punta Mèliso, che chiude convenzionalmente il Golfo di Taranto, e la Punta Ristola (foto 12). Se la prima, ai piedi del promontorio, è idealmente considerata l’estremità del Capo, geograficamente il punto più meridionale della Puglia è invece la meno nota Punta Ristola, circa un miglio più a est.[16] In questo luogo dove ogni lembo di terra e di mare sembra voler essere il limite estremo di qualcosa, termina anche il percorso del canale principale dell’acquedotto pugliese che, dopo aver irrorato la “siticulosa Puglia” —come scrisse Orazio nelle Epodi[17]— e alimentato l’ultima fontana nei pressi della Basilica, si getta in mare con la imponente cascata monumentale terminata nel 1939. Come a voler rimarcare, ancora una volta, lo status di Finis Terrae del Capo di Santa Maria di Leuca.

Veduta di Marina di Leuca

12 – Marina di Leuca e il porto, visti dal promontorio: in fondo la Punta Ristola, che è il vero estremo meridionale della penisola salentina.

Note

  1. [1]Romano, Antonio “In Salento e Calabria le voci della minoranza linguistica greca” in Lingua Italiana. Treccani. Web.
  2. [2]Oggi per Golfo di Venezia si intende l’insenatura situata nell’Alto Adriatico che va dalla Punta di Goro nel Delta del Po fino a Capo Promontore, in Istria.
  3. [3]Il genio civile del Regno di Napoli e successivamente delle Due Sicile.
  4. [4]Dei mezzi più efficaci da procacciar lavoro agli operai facendo valere i vantaggi naturali. Napoli: dalla Reale Tip. della Guerra, 1848
  5. [5]Costituita il 15 dicembre 1858 e diretta da Ferdinand de Lesseps, console, promotore della realizzazione dei canali di Suez e di Panama. Padre di dello spadaccino Ismaël de Lesseps e dell’aviatore Bertrand de Lesseps che nel 1912 avrebbe costruito la “Auto Aero”, una dele prime →automobili ad elica.
  6. [6]“confine della terra”, espressione latina da cui derivano anche i toponimi Finisterre (Spagna) e Finistère (Francia).
  7. [7]cfr. Simonetti, E. “Una luce tra il cielo e il mare” in Martinelli—Carlone (op. cit.) pag. 20.
  8. [8]La Terra d’Otranto era una provincia del Regno delle Due Sicilie, poi mantenuta sotto il Regno d’Italia e sopravvissuta sino agli anni ’20 del Novecento.
  9. [9]Progettista anche del faro di Capo d’Otranto.
  10. [10]Achille Rossi, “Progetto del Faro al Capo S. Maria di Leuca.” (1863). Cit. in Martinelli—Carlone (op. cit.)
  11. [11]La portata geografica è la massima distanza dalla quale può essere avvistata una luce, esclusivamente in funzione della curvatura terrestre. Essa dipende quindi dall’elevazione dalla luce e dell’occhio dell’osservatore.
  12. [12]Achille Rossi, “Memoria relazione tecnica” per il progetto del faro al Capo S. Maria di Leuca, cit. in Martinelli–Carlone (op. cit.) pag. 89.
  13. [13]G. Carlone, in Il Faro di Leuca, pag. 27 (op. cit.)
  14. [14]Cfr. A. C. Morciano “Leuca: tre nomi, tre volti, una storia” in Leucaweb, 21 gennaio 2009. Web.
  15. [15]“Mozione alla terza classe del Posto Doganale del Porto di Leuca del Consiglio di Castrignano del Capo” Delibera del Comune di Castrignano del Capo, 5 dicembre 1867; cit. in Martinelli – Carlone (op. cit.) Pag. 27.
  16. [16]≈1,85 km.
  17. [17]«tantus… siderum insedit vapor / siticulosae Apuliae» (Epodi, 3, 16.) Cfr. Sirago, Prof. Vito. A. “La sete in Puglia da Orazio al 1914” (PDF) 

Bibliografia e fonti

Immagini

Faro di Leuca © 2016 Silvio Dell’Acqua.

Foto copertina: © 2016 Silvio Dell’Acqua

  1. © isaac74/Fotolia #87621257
  2. Vincenzo Maria Coronelli, 1688. Da <raremaps.com>
  3. Mboesch, 2009 [CC BY-SA 4.0] Commons
  4. Central Intelligence Agency, 1992 [PD] Commons
  5. >© Buesi/Fotolia #21140141
  6. 1812, (dettaglio) da Atlante geografico del regno di Napoli di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni [CC BY–NC–SA 3.0] fair use da David Rumsey Maps Collection 
  7. © raffaelelagalla/Fotolia #77455163
  8. © 2016 Silvio Dell’Acqua
  9. da Strafforello Gustavo, La patria, geografia dell’Italia / Parte 4 (continuazione). Province di Bari, Foggia, Lecce, Potenza. Torino: Unione Tipografico-Editrice, 1899. Commons
  10. La Cara Salma, 5-11-2011 [CC-BY-SA 3.0] Commons
  11. © filippoph/Fotolia #135402110
  12. © 2016 Silvio Dell’Acqua

Opera tutelata dal plagio su Patamu con numero deposito 64715.

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Silvio DellʼAcqua

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Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.