Yuri Gagarin

In Personaggi di Giovanni Melappioni

Astronauta!

Yuri Gagarin

Questa è una delle risposte più frequenti dei bambini quando viene loro chiesto «cosa vuoi fare da grande?» Il desiderio di andare oltre, di approdare in luoghi inesplorati – benché si sia ancora troppo giovani per avere cognizione anche di quelli esplorati…- l’incanto di portare il proprio corpo in luogo accessibile solo all’immaginazione: questo riassume la risposta di quei bambini. Poi, crescendo, quest’ambizione viene nella maggior parte dei casi soffocata da una realtà dove altri piaceri più a portata di mano e altri futuri più verosimili costituiscono un catalogo meno impegnativo tra cui scegliere quale sarà lo sfondo della propria esistenza.

Tuttavia ci sono dei bambini che rimangono stregati da quel primigenio impulso al punto da impiegare tutte le loro energie per mantenere la promessa fatta allo spazio di, un giorno, andare lassù ad incontrarlo. Uno di questi bambini nacque il 9 marzo del 1934 nel villaggio di Klushina, in Russia. Un figlio dell’umanità che il 12 aprile del 1961 realizzò per primo il sogno di quei bambini, bucando l’atmosfera e perdendosi in quello spazio dal quale poté ammirare la Terra da un’angolazione diversa e “impersonale”. Dovette essere come per un globulo rosso uscire dal corpo in cui lavora e guardare il “padrone” mentre continua la sua regolare attività. Un punto di vista nuovo, unico, speciale. Un punto di vista che probabilmente costringeva a riconsiderare tutte le nozioni assimilate sino ad allora. Vedere ridotto ad un anonimo pallino blu quello che aveva sempre percepito emotivamente (quindi  non razionalmente) come il centro dell’universo deve aver creato uno stato d’animo nuovo; e quella terra, quasi offesa dall’essere considerata  un soldato di plotone anziché il Capo di Stato Maggiore non la prese bene e se la legò al dito per vendicarsi 7 anni più tardi. Probabilmente, mentre gironzolava lassù nell’ignoto, egli si sarà domandato se per caso non stesse vivendo un sogno e, per qualche secondo, si sarà risposto pure di sì, tanto quello spettacolo doveva essere meraviglioso e inconsueto per pupille umane. Inviare uomini in orbita e oltre, però, non è solo sogni e poesie. Le missioni spaziali comportano costi elevatissimi che solo poche nazioni sono in grado di permettersi, e la pionieristica corsa verso lo spazio fu guidata, in gran parte, da esigenze politiche che rischiano di svilire la grandiosità dell’impresa da un punto di vista dell’umanità che vi è dentro. L’Unione Sovietica, contrapposta agli Stati Uniti durante la guerra fredda, fu la prima nazione a riuscire ad inviare un razzo vettore con equipaggio umano fuori dall’atmosfera terrestre.

Maquette della Vostock-1 al Museo dell’Aria e dello Spazio “Le Bourget” (Parigi). [Commons]

La missione spaziale che consacrò Gagarin alla storia si componeva di tre fasi, essenzialmente: il lancio, il percorso orbitale e il rientro. Ogniuna di esse era distinta dalle altre per le problematiche cui si doveva far fronte e il risultato finale può ben definirsi come la perfetta coniugazionedi tre differenti “sotto missioni”. L’astro-velivolo utilizzato era composto di tre stadi e si basava su un missile R-7 “Semërka”, un arma sviluppata con capacità intecontinentali riconvertita per l’occasione. La sezione principale era la navicella Vostok 1, dentro la quale il cosmonauta avrebbe compiuto il viaggio. Essa era divisa in due sezioni: la SA, Spuskaemyjj Apparat (Спускаемый Aппарат – veicolo di discesa), era di forma sferica, con un diametro di 2,30 m e un volume di 1,6m³, concepita per il passeggero e conteneva il seggiolino eiettabile e la strumentazione di bordo. La SA era collocata nella parte superiore della PO, Priborvyj Otstek (Приборного Oтсека – sezione strumentale), di forma conica, che costituiva il motore per la navigazione orbitale e il successivo rientro.

Vettore R-7 utilizzato nel programma “Vostok” [Commons]

La navicella Vostok, inglobata nello scudo a forma di proiettile che si sarebbe staccato nella fase immediatamente successiva all’uscita dall’atmosfera terrestre, era collocata in cima al razzo R7, per una lunghezza totale di 40 metri. Il sistema “Signal” era utilizzato per la trasmissione di semplice telemetria (aggiornamento continuo della posizione). Un secondo mezzo, chiamato Tral-P1, avrebbe fornito ausilio per la telemetria. Per le comunicazioni vocali a due vie si utilizzò il sistema “Zarya” (alba) operante nelle bande a onde corte VHF (30-300 Mhz). Infine c’era il sistema “Rubin” (rubino) che forniva misure sulla traiettoria durante il volo. Nelle fasi dell’atterraggio c’erano a disposizione: il sistema “Peleng” (condotta) costituito da un radiofaro sulle onde corte per determinare la posizione durante e dopo il rientro, il sistema “Raduga” (arcobaleno) per le radiocomunicazioni. Undici antenne sporgevano dal modulo strumentale. Di queste, tre erano del sistema Signal, quattro erano del sistema Zarya, due erano per la telemetria e due per ricevere i comandi via radio. Analizziamo ora, in maniera generale, le tre fasi della missione spaziale. Il lancio avveniva con il posizionamento verticale del vettore. Ogni corpo dotato di massa esercita un’attrazione gravitazionale con propagazione pressoché infinita e con intensità decrescente allontanandosi dal suo centro. Per permettere a un’astronave di vincere l’attrazione terrestre occorrerà una spinta sufficiente a raggiungere a raggiungere, con accelerazione costante, gli 11 km/s. Tale velocità è detta “di fuga”, ossia la velocità alla quale l’energia cinetica di un corpo è pari al modulo dell’energia potenziale gravitazionale. Il sistema utilizzato per decenni era quello di dotare le navicelle vere e proprie di razzi di spinta e enormi serbatoi di propellente che si sarebbero poi sganciati, una volta esaurito il loro compito nella fase ascensionale. Il percorso orbitale costituiva la parte meno pericolosa ma sicuramente più emozionante dell’intero processo. Separato il secondo stadio del vettore, circa 5 minuti dopo il lancio, il motore supplementare RD-0190 si accese a accelerò, deviando la navicella lungo l’orbita prestabilita (65° rispetto all’equatore, altitudine variabile fra i 170 e i 320  km), la carenatura esterna che conteneva i moduli SA e PO si staccò. Gagarin era ora il primo uomo a sorvolare la superficie terrestre dallo spazio. L’intero percorso durò 108 minuti. La fase di rientro prima dell’accensione dei retro-razzi, la navicella doveva essere correttamente orientata. Questo avvenne usando tre comandi che accendevano piccoli ugelli di gas compresso: il sistema a retro-razzo TDU funzionò con successo.

Yuri Gagarin [archivi NASA]

Di seguito all’accensione del motore a reazione, l’ampia sezione strumentale si doveva separare dall’apparato di discesa sferico. La capsula doveva staccarsi 10 secondi dopo l’accensione completa del retrorazzo ma questo non successe per motivi sconosciuti. La separazione fra SA e PO avvenne approssimativamente dieci minuti dopo il previsto. Il meccanismo di separazione, composto da quattro strisce di metallo collegate insieme, divise i due moduli in tempo, però i due compartimenti rimasero collegati da alcuni cavi. Il più pesante apparato di discesa (SA) rimase sotto la più leggera sezione strumentale (PO). Fu il momento più pericoloso, che con ogni probabilità sarebbe stato fatale, dell’intero viaggio. Attraversati gli strati più alti dell’atmosfera, a circa 7000 metri da terra, l’astronauta fu espulso dal SA e ridiscese con un ampio paracadute personale. Sano e salvo. In seguito, come pure gli Stati Uniti fecero, si stabilì di dotare l’intero modulo “cabina” di paracadute e di evitare il lancio dell’equipaggio.

L’impresa di Gagarin resta una delle più memorabili nella storia dell’umanità e come tale ha ispirato numerosi artisti. Uno di questi è Claudio Baglioni che nel 1976 compose una canzone su quest’uomo straordinario: Gagarin. Oltre al testo che ci proietta nel cuore del bambino Yuri, ci sono anche i suoni: dopo l’incipit strumentale, una melodia quasi mistica evoca uno stato d’animo di apprensione e curiosità in mezzo a tanto buio.

da: Creativity Papers n°7 Maggio – Giugno 2012: 27-30. web. Per gentile concessione degli autori.

Parole dallo spazio

Il primo comunicato radio ufficiale al mondo fatto dallo speaker radiofonico Yuri B. Levitan:

La prima nave-satellite con un umano a bordo è stata lanciata in un’orbita intorno alla Terra dall’Unione Svietica. Il pilota-cosmonauta dell’astronave satellite Vostok è il cittadino dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Maggiore dell’Aeronautica Youri Alekseyevich Gagarin. 

Dialogo tra il Centro di Controllo e Vostock-1:

Centro Controllo: «il tuo polso è 64, la respirazione 24. Tutto sta andando normalmente.»
Gagarin: «Ricevuto. Questo significa che il mio cuore sta battendo»
C.C: «Yuri, non ti stai mica annoiando lì?»
Gagarin: «Se ci fosse un po’ di musica, starei un po’ meglio».
C.C: «Un minuto.»
Gagarin: «Datemi delle canzoni d’amore».
C.C: «T più 100. Come ti senti?».
Gagarin: «Io mi sento bene. Come state voi?».

Gagarin: «Vedo le nuvole […] È meraviglioso. Che bello! Come mi sentite?».
C.C: «Noi ti sentiamo bene, continua il volo».

Gli autori:

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Giovanni Melappioni

Marchigiano, classe 1980, scrittore. Vincitore della "Giara d'Argento" RAI 2014 con il romanzo Missione d'onore. Terzo classificato al concorso "Parole Resistenti" dell'ANPI di Atessa (CH). Scrive su Laputa e Raccontare la Storia.