Cancellate le statue bianche dagli occhi vacui e dalle bocche inespressive, le ville spoglie e i teatri disabitati che avete visitato nelle gite scolastiche, dimenticate i rigidi romani dell’idealismo ciceroniano, e quelli dall’espressione tetra delle ricostruzioni dei musei… è il momento di riportare tutto alla sua vera vita. Riempite una città di profumi, di Veneri in bikini, di portici dalle colonne rosse, di pittori in cerca di ispirazione, di comari in cerca di chiacchiere succulente su gente famosa, di casi umani di ogni ordine e grado, e vedrete una donna farvisi incontro, più bella di una Beatrice dantesca e più umana di una Becchina di Angiolieri, il suo nome è Vibia Tirrena, e il luogo dove vi porterà è la Pompei degli anni 63 e 64 d.C., in un affresco storico che altro non è che il romanzo che storici ed archeologi (e voi lettori chic che leggete la presente) aspettano da vent’anni.
Carmen Covito, col suo piglio impertinente e la sua profonda passione per la storia e l’archeologia pompeiana, non sbaglia un solo particolare, non lascia niente al caso, ma ci trascina pagina dopo pagina nella vita di Vibia Tirrena, matrona sopravvissuta con la sua famiglia al terremoto pompeiano del 62 d.C., che cerca in ogni modo amici e fondi per costruire, dalle ceneri, a fundamentis, la sua scuola di filosofia per le ragazze di Pompei, facendo contemporaneamente fronte a due mariti e tre figli non suoi, un padre bonario e libraio doc, una vestale in pensione con problemi di cuore, un attore fascinoso e intellettuale che “alla prima difficoltà cade subito nel pecoreccio” e una zia amante delle feste chic che ovviamente Vibia è incaricata di organizzare nei minimi particolari (“perché d’accordo che di roba artistica non se ne intendeva, ma una ballerina zoccola sapeva riconoscerla e in casa sua non ne voleva vedere nemmeno dipinte”). Un affresco per respirare, per una volta, l’aria e non la polvere di Pompei, e vivere con le “ragazze” della città i giorni lunghi, vivaci, mai noiosi, attirati in un’atmosfera petroniana, ma con una femminea grazia che stempera ogni cosa nella risata più profonda e di cuore. Grazie a Carmen Covito per questo piccolo gioiello pompeiano che non mancherò di trasmettere ai miei posteri.
Sibillina Foglia