Un frutto si stacca dalla pianta e rotola sul terreno ricoperto di muschio. Una zampa pelosa lo raccoglie e lo porta immediatamente alla bocca. L’animale, dopo il breve pasto, si inoltra nuovamente nella boscaglia. Un frutto si stacca dalla pianta e rotola sul terreno ricoperto di muschio. Una zampa pelosa lo raccoglie e lo trattiene. L’animale si precipita verso un punto preciso di quella foresta sconfinata che doveva essere il centro dell’Africa. Depone il frutto nell’incavo formato dalle radici di un albero, insieme ad altri frutti simili e copre tutto con rametti e foglie. Non è un canide, che scava il terreno per deporvi il resto del suo pasto. Non è un mustelide che si prepara al letargo e immagazzina i semi. È un primate. È un animale dotato di straordinaria curiosità. Osserva il mondo, gli altri animali. Imita. Noi non saremmo ciò che siamo se quel primate non avesse smesso di dedicare l’intero tempo a sua disposizione alla ricerca del cibo e al suo consumo immediato. Se non avessimo trovato il modo di accumulare il nutrimento anche da un punto di vista calorico in modo da liberare il tempo per fare altro, per osservare, pensare, sperimentare, improvvisare e giocare, saremmo ancora un comune abitante delle foreste del mondo. Il cibo, la sua raccolta, accumulo, trasformazione e consumo sono la prima e più grande avventura del pensiero umano, il suo passaggio dalla natura alla cultura che continua ancora da più di sei millioni di anni. Un’avventura scientifica, sociale, culturale e industriale, dal primo nascondiglio di bacche ai reality show sulla cucina, in una spinta evolutiva volta alla soddisfazione di un bisogno primario e che ormai trascende il bisogno primario: la storia della cucina è la storia dell’umanità.