Platform 9 ¾ (Matthias Süßen/Commons CC BY-SA 3.0)

Accesso al binario 9 ¾ alla stazione di King’s Cross, Londra: per accedervi bisogna passare attraverso un muro.
(M. Süßen/Commons CC–BY–SA–3.0)

Quanti di noi non hanno sognato le avventure di Harry Potter da quando nel 1997 la Rowling ha pubblicato il primo della serie di libri che hanno avuto tanto successo? Si tratta delle avventure di un mago, Harry Potter appunto, che si inquadrano nella classica disfida tra bene e male. Fin da subito ci si immerge in un mondo fatato grazie al quale si può sognare ad occhi aperti. Certo nessuno si illude più di tanto. Tutti sanno che le motociclette non possono volare, che non è possibile che un essere umano possa inforcare una scopa ed usarla come mezzo di trasporto volante, oppure che gli alberi si muovano o i ragni parlino. Ma più di ogni altra cosa, tutti sanno che non è possibile attraversare i muri come quello che i protagonisti delle storie della Rowling si trovano ad attraversare quando devono prendere il treno per andare nella famosa scuola di Hogwart.

Glenfinnan_Viaduct

L’espresso per Hogwart: in realtà è il viadotto Glenfinnan sulla West Highland Line, in Scozia.
(Benutzer:Nicolas17/Commons CC–BY–SA–2.5)

Che noi non possiamo attraversare gli oggetti (ed i muri in particolare) è un fatto acclarato. Se ci provassimo non faremmo altro che procurarci un qualche tipo di trauma. Lo impariamo fin da piccoli quando cominciamo a camminare e cominciamo a dare le prime capocciate ai muri nel tentativo di andare dove non è possibile. Però sarebbe bello poter attraversare un corpo! Si eviterebbero tanti incidenti mortali. Potrebbe essere utile, per esempio, quando si attraversano le strade a Palermo. Lo si farebbe senza patemi, senza temere in ogni istante di essere investito da qualche automobilista indisciplinato (ed a Palermo la media degli automobilisti è indisciplinata!). Fin da quando andiamo a scuola ci viene spiegato che esiste un principio fondamentale della fisica che consiste nella incompenetrabilità dei corpi, ovvero i corpi (oggetti fisici che occupano uno spazio e sono costituiti da massa) non possono penetrare l’uno nell’altro: un corpo può occupare tutto lo spazio possibile eccetto quello occupato da un altro corpo. Sembra un fatto ovvio, cioè del tutto intuitivo: se io sono un oggetto dotato di massa e occupante una porzione di spazio, non posso trovarmi nella porzione di spazio occupata da un altro corpo dotato anche esso di massa. Quello che non ci viene detto a scuola è che la spiegazione del principio di incompenetrabilità dei corpi, benché antichissimo, è stato compreso appieno solo all’inizio del XX secolo.

marcel-ayme-montmartre

Lo scrittore francese Marcel Aymé passa attraverso un muro: monumento dedicato al suo romanzo Le passe-muraille (Il passa-mura) a Montmarte, Parigi.
Depositphotos)

Cosa è accaduto tra la fine dell’ottocento e la prima metà del ‘900 per permetterci di capire, dopo millenni, il meccanismo alla base della impenetrabilità dei corpi? C’è stata una vera e propria rivoluzione scientifica che oggi conosciamo come “rivoluzione quantistica”, ovvero è nata la meccanica quantistica (MQ). La meccanica quantistica è un complesso insieme di conoscenze attraverso cui si cerca di spiegare il comportamento dei sistemi microscopici. Nasce per opera di un gruppo di scienziati che tutti assieme, ma indipendentemente gli uni dagli altri, realizzarono che le leggi di Newton (che oggi tutti conosciamo come meccanica classica) non erano applicabili nel mondo microscopico. Hertz, Rutheford, Thomson, Bohr, Dirac, Curie, Heisenberg, Schroedinger, de Broglie, Einstein, Born, Planck, Pauli e tanti altri capirono che il comportamento delle particelle a livello microscopico era interpretabile in base a leggi statistiche, ovvero probabilistiche, piuttosto che in base alle leggi deterministiche come quelle elaborate quattro secoli prima da Isaac Newton. Uno dei risultati più eclatanti derivati dalla MQ è stata la comprensione della natura dell’atomo la cui esistenza fu postulata dai filosofi pre-socratici già nel VI secolo a.C: Leucippo, Democrito ed Epicuro. La visione atomistica dei pre-socratici si basava sull’intuizione che un qualsiasi oggetto poteva essere diviso in tante parti. Ognuna di esse poteva essere divisa in più parti e così via di seguito fino al momento in cui le parti ottenute risultavano così piccole da non poter essere più suddivise. Se ci pensiamo bene, questa idea atomica si basava sull’uso del coltello (oggetto con una certa dimensione) che consentiva di dividere un oggetto ad una dimensione non inferiore a quella del coltello stesso. Le parti indivisibili ottenute con coltellini sempre più piccoli, contenevano la “qualità” dell’oggetto sotto analisi. In altre parole, i pre-socratici ritenevano che esistesse una particella prima da cui poi potesse crearsi la materia. In questo modo si distinguevano tantissimi “atomi”: l’atomo della roccia, quello dell’albero, quello del metallo di una spada e così via di seguito. Dopo circa ventisei secoli, il concetto di atomo, così come il numero potenzialmente infinito di essi nella concezione pre-socratica, è stato completamente rielaborato. Oggi è ben noto che il numero di atomi è pari a 118, ovvero quanti sono gli elementi della tavola periodica. Tuttavia, bisogna aggiungere che, di questi, solo una cinquantina sono così stabili da costituire tutta la materia che conosciamo e soltanto cinque/sei sono i più abbondanti sulla Terra (ossigeno in testa).

Atomo di Elio

Atomo di elio: l’orbita dell’elettrone è una “nuvola” costituita dalle probabili posizioni dell’elettrone.

Come è fatto un atomo? L’atomo non è indivisibile. È fatto da subparticelle che si chiamano protoni, neutroni ed elettroni. Queste sono, a loro volta, fatte da altre subparticelle. Tuttavia, per lo scopo prefisso qui, ci fermiamo. Non andiamo oltre. Protoni e neutroni formano un agglomerato che chiamiamo nucleo. Attorno al nucleo ruotano gli elettroni. Il concetto di “ruotare”, in realtà, è sbagliato. Infatti, esso implica un movimento circolare ben definito. Gli elettroni non “ruotano” intorno al nucleo (come viene insegnato erroneamente a scuola) ma si “muovono” intorno ad esso. Come si muovono? Non si sa. Si sa, comunque, che in un dato istante gli elettroni si trovano in una certa porzione di spazio mentre nell’istante successivo possono stare da tutt’altra parte. Come ci sono arrivati? Non si sa. Ecco, se proprio volessimo fare un parallelismo, per quanto ci è dato sapere fino ad ora, gli elettroni sono degli oggetti magici, della stessa magia usata da Harry Potter, che si muovono sparendo e riapparendo in continuazione in uno spazio ben definito intorno al nucleo che abbiamo deciso di chiamare “orbitale”. La magia che consente agli elettroni di comportarsi come descritto si chiama “principio di indeterminazione di Heisenberg”. Cosa dice questo principio? Dice semplicemente che quando passiamo dal macroscopico al microscopico non possiamo conoscere con la stessa precisione sia la posizione che la quantità di moto associata alla particella microscopica.

Werner Heisenberg (Bundesarchiv, Bild183-R57262 / CC-BY-SA 3.0)

Werner Karl Heisenberg, premio Nobel per la fisica nel 1932. (Bundesarchiv, Bild183-R57262 / CC-BY-SA 3.0)

La bellezza del principio di Heisenberg sta nel fatto che è grazie ad esso che noi possiamo dire che due atomi differenti sono indistinguibili l’uno dall’altro come due gemelli monozigoti. Anzi, le particelle microscopiche sono ancora più uguali dei gemelli anzidetti. Infatti, benché identici, i gemelli monozigoti hanno tante caratteristiche che ne permettono l’identificazione come, per esempio, impronte digitali o gruppo sanguigno. Invece nel mondo microscopico i gemelli hanno tutto uguale, dal gruppo sanguigno alle impronte digitali. Affinché due oggetti microscopici possano essere differenziati è necessario che ci sia almeno qualcosa che cambi tra loro. Quindi, un atomo di ossigeno è distinto e riconoscibile dall’altrettanto microscopico atomo di azoto perché il primo contiene 8 protoni e 8 elettroni, mentre il secondo contiene 7 protoni e 7 elettroni. La differenza nel numero delle componenti subatomiche fa anche in modo che i due corpi abbiano massa differente. Rimane sempre valido, però, il principio della indistinguibilità microscopica tra sistemi simili: due atomi di ossigeno o due atomi di azoto, così come due elettroni, due protoni o due neutroni sono assolutamente identici, per cui scambiandone la posizione non saremo in grado di dire chi è l’uno e chi è l’altro. Abbiamo appena visto che il principio di indeterminazione ci permette di dire che non esiste differenza tra gli elettroni contenuti in un atomo. Sono tutti uguali ed indistinguibili. Tuttavia, come si dispongono attorno al nucleo? Abbiamo detto che vanno ad occupare uno spazio che si chiama orbitale. Di conseguenza, sulla base di questa unica informazione, ne ricaviamo che in un elemento come il carbonio che ha 6 elettroni, questi ultimi si “affollino” tutti nella stessa porzione di spazio. Molto semplicisticamente, adesso proviamo a pensare ad una stanza di 2 x 2 m nella quale facciamo entrare 6 persone. Le sei persone devono suddividersi uno spazio di 4 m², ovvero hanno circa 0.67 m² ciascuno in cui poter stare. In altre parole, ogni individuo deve stare in un quadrato di circa 80 cm di lato. Un po’ poco direi. Se poi a questo aggiungiamo che le persone si muovono, allungano le braccia, si stiracchiano e fanno tutti quei movimenti che ognuno di noi fa anche senza rendersene conto, ne viene che una stanza di 4 m² non è sufficiente a far star comode sei persone (in realtà non è neanche comoda per una sola persona, ma non è questo il punto adesso).

Aufbau_Principle_2D_(39_Electrons)

Rappresentazione del principio dell’Aufbau con 39 elettroni.

Adesso immaginiamo che le persone siano gli elettroni del carbonio e la stanza sia l’orbitale di cui abbiamo parlato; aggiungiamo che gli elettroni sono cariche elettriche (negative) tutte uguali e ricordiamo che cariche elettriche dello stesso segno si respingono; ne viene che 6 elettroni assieme non stanno molto bene nella stessa porzione di spazio. Essi tenderanno a starsene solitari e quanto più possibile lontani gli uni dagli altri. In effetti, i cavalieri della meccanica quantistica (già nominati sopra) hanno potuto stabilire il principio dell’Aufbau o della distribuzione elettronica. In base a tale principio, quando un elemento contiene molti elettroni, essi tendono a distribuirsi a distanze diverse dal nucleo occupando spazi (ovvero orbitali) che differiscono tra loro sia per forma che per dimensioni. La cosa interessante, però, è che ogni orbitale non può contenere più di due elettroni. Essi, inoltre, devono essere distinguibili tra loro. Insomma, elettroni uguali in tutto e per tutto non stanno bene assieme nella stessa stanza. Se in base al principio di indeterminazione gli elettroni sono indistinguibili, come mai si è arrivati a dire che un orbitale non può contenere più di due elettroni diversi? Sulla base di cosa riusciamo a distinguere due elettroni? Oltre a carica e massa, gli elettroni hanno anche un’altra proprietà che è stata chiamata spin. Non è facile descrivere lo spin. L’omologia che meglio rende l’idea è quella di un pallone lanciato verso la porta. Il pallone può ruotare in una direzione, per esempio in senso orario, ed avere un effetto che ne sposta la direzione verso destra oppure può ruotare nella direzione opposta, ovvero in senso antiorario, per cui si sposta, nel suo moto, verso sinistra. Ecco. Un elettrone può essere approssimato ad un pallone in rotazione dopo essere stato calciato verso la porta. Può trovarsi in due stati incompatibili tra loro (o ruota in un senso o nell’altro) e nello stesso tempo indistinguibili. L’indistinguibilità di cui si accenna è legata al fatto che fino a che non venga fatta una misurazione diretta, non si può sapere quale dei due elettroni in un orbitale abbia uno spin oppure l’altro. E, comunque, anche quando assegniamo in modo univoco lo spin elettronico, il principio di indeterminazione rimane soddisfatto perché all’atto della misurazione dello spin, non siamo in grado di dire se la posizione dell’elettrone in oggetto (chiamiamola D) sia stata raggiunta lungo il percorso A-D (dove A è la posizione dell’elettrone 1) o lungo il percorso B-D (dove B è la posizione dell’elettrone 2). In altre parole ancora non sappiamo di quale dei due elettroni stiamo misurando lo spin. Sappiamo solo che due elettroni aventi carica e massa uguale non possono avere lo stesso spin se vogliono condividere lo stesso orbitale.

Wolfgang Pauli

Wolfgang Pauli

La legge dell’Aufbau prevede che un insieme di elettroni occupi tutto lo spazio a disposizione (principio di Hund) in modo tale che nella stessa porzione di spazio (orbitale) non possano coesistere più di due elettroni, distinguibili tra loro per avere spin opposti (principio di Pauli): questo spiega perché quando tentiamo di fare come Harry Potter e corriamo verso un muro, piuttosto che attraversarlo, prendiamo una sonora capocciata. Molto semplicisticamente, attraversare un muro (o un oggetto, in generale) significa che gli orbitali presenti negli atomi che compongono l’oggetto X (il muro) devono sovrapporsi con quelli presenti negli atomi che compongono l’oggetto Y (la nostra testa). Tuttavia, dal momento che tutti gli orbitali sono occupati da una coppia di elettroni con spin opposto, ne viene che sovrapporre un orbitale all’altro implicherebbe generare uno spazio con quattro elettroni a due a due uguali in tutto, incluso lo spin. Questa ultima situazione viola la regola Aufbau e, più in particolare, il principio di Pauli (cuore portante dell’anzidetta regola). Qual è la conclusione? Continuiamo a vedere i film di Harry Potter ed a leggere i libri della Rowling (beneficiando della sospensione dell’incredulità.) Tuttavia, teniamo ben presente che le leggi fisiche inquadrate molto bene dalla quantomeccanica non possono essere violate semplicemente continuando a battere la testa sul muro. In questo caso l’unico risultato possibile è un trauma cranico e un muro scheggiato.

Ad altre puntate la demistificazione di fenomeni che appaiono magici.

Letture consigliate

 

Autore
Avatar

Pellegrino Conte

Facebook

Laureato in Chimica e con dottorato in Chimica Agraria, ricopre attualmente la cattedra di Chimica Agraria presso l'Università degli Studi di Palermo. La sua attività di ricerca riguarda lo sviluppo della risonanza magnetica nucleare a ciclo di campo nel settore ambientale ed agro-alimentare. In tale ambito si occupa della fertilità dei suoli, dei processi di recupero ambientale e della qualità dei prodotti alimentari. E' stato visiting scientist presso la Wageningen University and Research (Paesi Bassi) e visiting Professor presso il Forschungszentrum Juelich (Germania). E' autore di più di 110 lavori pubblicati su riviste scientifiche nazionali ed internazionali e capitoli di libri. Scrive per Laputa, Debunking.it, Chimicare e per il proprio blog, Pellegrinoconte.com.


“Slargo Vittime della Strada” a Quarrata (prov. di Pistoia).

Uno slargo, derivato di slargare che significa “rendere più largo” (es: «slargare un passaggio»),[1] è un punto in cui una strada, un canale o una valle si allargano appunto, creando uno spazio più ampio. Sarebbe quindi il contrario di →strettoia, termine che indica invece il punto in cui la strada si stringe. Come denominazione stradale è piuttosto raro, secondo il servizio “Google Maps” risulta un solo “slargo Vittime della Strada” a Quarrata ed uno “slargo Lippi”[2] a Grassina Ponte A Ema, entrambi in Toscana. La prima è una minuscola piazzetta, formata da un allargamento di via Trieste, la seconda è uno spiazzo formato dall’intersecarsi di più vie (vedi sotto). Entrambi i casi sembrano confermare che la accezione del termine slargo sia la stessa di largo, ovvero uno spazio la cui funzione di transito prevale su quella di luogo di ritrovo,[3] che è propria invece della →piazza.


“Slargo Lippi” a Grassina di Ponte A Ema (prov. di Firenze).

  1. [1]Slargo“, Dizionario Treccani.
  2. [2]Figura solo nel nome della fermata dell’autobus.
  3. [3]«piccola piazza […] che pur senza avere l’importanza e la fisionomia edilizia di una piazza, ne assolve alcune funzioni pubbliche soprattutto ai fini delle necessità di traffico»: “Largo“, Dizionario Treccani.
Autore
Silvio DellʼAcqua

Silvio DellʼAcqua

Facebook

Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.


Oggi un nuovo tipo di strada si è aggiunto al nostro elenco elenco delle denominazioni stradali generiche in italiano (es: via, viale, corso, piazza… ecc..): “fossa”. Secondo la Grammatica Italiana di Treccani (2012) il termine si riferisce ad uno «scavo nel terreno, più o meno profondo ed esteso.» Si distingue pertanto dal sostantivo maschile fosso, che indica uno scavo che si estende in lunghezza e serve in genere per lo scorrimento delle acque. Come  denominazione stradale, sembra esistere solo a Brescia, dove troviamo “fossa Bagni”, una strada stretta e rettilinea lunga circa 300 m. Il toponimo “Bagni” deriva dal fatto che lì, nel 1882, fu aperto uno “Stabilimento di Bagni Pubblici” municipale. La denominazione generica “fossa” non è legata a particolari caratteristiche della strada, che di per sé è una viuzza, quanto probabilmente dallo scavo delle due grandi vasche, una gratuita «per i poveri» ed una attrezzata per i paganti, che costituivano le piscine dello storico stabilimento che aveva funzione, oltre che ricreativa, anche igienica.
L’elenco, con anche le voci  “lungocurone” e “lungovelino” aggiunte l’8 giugno, ha raggiunto le 341 voci.

Autore
Silvio DellʼAcqua

Silvio DellʼAcqua

Facebook

Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.

poster_24-1024x743
«Noio volevam savuar…»: anche quest’anno vi proponiamo le chiavi di ricerca più curiose con cui i visitatori sono finiti (a volte inspiegabilmente) da noi. Abbiamo la solita schiera di utenti alla ricerca del feticcio fallico delle «dimensioni del carroarmato» (anche questa è una parola chiave): moltissimi infatti arrivano qui cercando disperatamente di scoprire il carro armato «più grosso del mondo», «più potente», «più pesante», «più veloce», «più grosso e potente» ecc… e finendo inevitabilmente all’articolo di Giovanni Melappioni su quello che effettivamente è il carro più grande mai costruito, il “Maus” tedesco. Ma a parte queste, che non si contano, abbiamo anche quest’anno alcune “perle”.

  • sceriffo o sceriffo

    Eh, c’è una bella differenza…

  • perche’ portieri di hockey bevono

    Non solo loro, fidati.

  • le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e di vuoti di bottiglia

    A chi lo dici caro…

  • il titanic è sto affondato da un siluro

    I complottisti da quella parte, grazie.

  • credenza donna sommergibile

    È quella che ha lanciato il siluro.

  • vendere penne austranauti

    Questo ha trovato il businness.

  • come fare la pipì sulla luna

    Per carità, ciascuno ha le proprie ambizioni nella vita…

  • comprare un carro armato js

    Temo che non sia così facile.

  • capacità serbatoio carro armato

    Dopo averlo comprato, giustamente si preoccupa del pieno…

  • cos e la baltrescz
    sapere se vicolo risulta un incrocio

    la germania geografia tradotta in tedesco
    2 scali di u n volllo decido di scendere al primo

    La storia siamo noi

  • da chi fu mandato pippo nella seconda guerra mondiale

    Da Topolino, naturalmente!

  • carriarmatirussivstedeschi

    Si ma prendi fiato!

  • vota-antonio +aquila del reic

    Più “aquila del reic” per tutti! Vota Antonio!

  • quanti carri armati ha costruito hitler

    Nemmeno uno. Non li costruiva lui.

  • loro morirono con custer

    Già. Triste vero?

  • codice morso con simboli pirati

    I pirati mordono i codici? Marrani!

  • Storie corno nel culo

    Non è il genere di storie che raccontiamo di solito, però…

    Ce l’avevo sulla punta della lingua

  • come si chiama la parte della nave dove è attaccata la bandiera dei pirati?

    Albero?

  • grandi terre che emergono dagli oceani

    Continenti?

    La matematica è un’opinione

  • matematica quantistica calcolo della squadra vincente

    Meccanica quantistica: la stai facendo male.

  • calcolo computer 666
    i numeri che significa e una cosa diabolica

    calcolare il numero della bestia
    sono una bestia 616

    Se lo dici tu… ci crediamo.

    I fissati col fallo

  • dio greco col pene enorme

    Spiacente, non sei tu.

  • avere pene priapo

    Ti piacerebbe eh?

  • fallo latino

    Si, si dice…

    Chi ci ha preso per la guida definitiva

  • dea del prostatico roma

    Temo che non fosse una antica divinità romana…

  • video erotici amatoriali

    Credo non siano difficili da trovare su internet

  • yuri la puta
    dove posso trovare le prostitute sulla via carrer arago barcello
    strada con prostitute sant andreu de la barca
    zoccole di pompei

    Vabbeh…

(da 21-8-2014 a 7-8-2015)

Sola Impulse SI2

1 – Solar Impulse SI2, pilotato da Bertrand Piccard, decolla da Payerne il 13 novembree 2014.

Il Solar Impulse 2 ha di recente occupato i notiziari con l’avvio della sua impresa di giro intorno al mondo alimentato solo dall’energia solare. Anche se le implicazioni per l’aviazione commerciale sono molto in là da venire, il velivolo trasporta due uomini ad una velocità di crociera di 100 km/h, il Solar Impulse 2 con la sua apertura alare di 72 metri (il Boeing 747 ha un apertura alare di 68.5 metri) e il suo peso totale pari a quello di un auto media è un prodigio tecnologico che resterà negli annali. Sempre negli annali dei prototipi dell’aviazione un posto tutto suo non può non averlo un aereo completamente diverso dal Solar Impulse 2: l’idrovolante Hughes H-4 “Hercules”. Il nome non vi dice niente? In effetti è pur sempre un aereo che ha volato solo una volta e per poco più di un miglio, ma ha una storia tutta particolare.

H-4 Hercules "Spruce Hoose"

2 – H-4 Hercules “Spruce Goose” in acqua il 2 novembre del 1947.

Nel 1942 l’esercito statunitense aveva necessità urgente di trasportare mezzi e uomini dall’altra parte dell’Oceano Atlantico senza correre il rischio di essere bersaglio dei micidiali U-Boat tedeschi. Henry John Kaiser, magnate dell’industria metallurgica e navale [1] e figlio di immigrati tedeschi, ebbe l’idea di un mastodontico velivolo che potesse sostituire le navi per attraversare l’atlantico e si rivolse al famoso miliardario Howard Hughes per progettare e costruire questa “nave volante”. Il primo e grande problema era il materiale: le restrizioni di guerra impedivano l’utilizzo di metalli come l’alluminio e l’acciaio. La scelta per l’aereo più grande mai pensato, era sei volte più largo dei velivoli dell’epoca ed è tuttora stato battuto in dimensione totale solo dall’Antonov An-225 “Mriya”, ricadde quindi sul… legno. Approvato il progetto dalle autorità americane Kaiser e Hughes costituirono una società ad hoc e il primo nome dell’aereo fu HK-1 “Hercules”, ma nel 1944 i ritardi e le circostanze mutate della guerra fecero maturare in Kaiser la decisione di abbandonare il progetto. Rimasto solo Hughes ri-batezzò il velivolo H-4 “Hercules” anche se per i critici del progetto esso era ormai diventato “The Spruce Goose” ovvero “l’Oca di Abete”. Il soprannome fu detestato da Hughes che lo riteneva un insulto a tutti i progettisti e poi anche perché in realtà l’aereo era fatto principalmente di betulla e non di abete rosso. Col finire della guerra e dopo aver finanziato il progetto con 22 milioni di dollari il governo americano aveva perso qualsiasi interesse verso lo Spruce Goose ma il suo ideatore non si arrese e continuò nella costruzione investendo 18 milioni di dollari di tasca propria. Alla fine il momento arrivò. Il 2 novembre 1947 a Long Beach, California, il gigante aereo con lo stesso Hughes ai comandi, e David Grant come co-pilota e diverse persone a bordo, si alzò per il suo primo e ultimo volo. Lo Spruce Goose volò per un minuto circa, percorrendo un chilometro e seicento metri alla velocità di 128 km/h e ad un’altezza di ventuno metri ma dimostrò a tutti, soprattutto ai tanti scettici e detrattori, che poteva volare. Si ignora se Hughes sperasse in un secondo volo o se semplicemente vi era enormemente affezionato ma sta di fatto che spese non poco denaro per la custodia e la manutenzione del velivolo fino alla sua morte nel 1976. Dopo la morte di Hughes il velivolo fu prima donato dalla Hughes’ Summa Corporation all’Aero Club of Southern California, poi affittato alla Wrather Corporation e alla Disney Company e infine acquistato, nel 1992, dall’Evergreen Aviation & Space Museum. Lo Spruce Goose fu così smontato, trasportato su chiatte e poi su camion fino a McMinnville nell’Oregon dove è stato poi ricostruito e completamente restaurato prima di essere esposto di nuovo al pubblico. L’hangar, chiamato “edificio 15”, dove fu costruito lo Spruce Goose è stato utilizzato come studio cinematografico per il film del 2004 The Aviator, dedicato proprio alla vita di Hughes, ma anche per le riprese di Titanic (1997), Transformers (2007), Eagle Eye (2008), Avatar(2009), grazie ai suoi 315.000 metri quadrati di spazio.

Hughes H4 Hercules, Evergreen Museum

3 – Huges H-4 “Hercules” alll’Evergreen Aviation & Space Museum di McMinneville, OR

Se si pensa che H-4 Hercules era stato progettato per trasportare 750 uomini o due carri armati per le necessità della seconda guerra mondiale il progetto è ovviamente fallimentare; tuttavia le dimensioni mastodontiche, la sua costruzione in legno grazie ad una particolare tecnica per modellarlo, l’impegno in prima persona di Hughes, e il fatto che nonostante tutte le difficoltà sia riuscito a volare almeno una volta lo rendono in ogni caso un pezzo di storia dell’aviazione.

[hana-code-insert name=’adsense_link’ /]

Comparaison avions geants

4 – Confronto tra i quattro più grandi aerei mai costruiti: in giallo lo “spruce goose”.

Note

  1. [1]Fu Kaiser a costruire le navi classe Liberty fondamentali per la Marina Americana durante la seconda guerra mondiale.

Immagini

  1. Miko Vuille, Payerne 13-11-2014 [CC-BY-SA 4.0] Commons.
  2. Federal Aviation Admistration [PD] Commons.
  3. D. Wallner, Evergreen Aviation & Space Museum 2012 [CC-BY-SA 3.0] Commons.
  4. Clem Tillier, 2006 [PD] Commons

11138658_876822895694846_2227935225664899936_n

Parliamo di sicurezza nei tribunali. Qualcuno dovrebbe dire quanta pressione fanno gli avvocati e i magistrati per non essere “stressati” dalle guardie giurate all’ingresso. Ricordo benissimo, data la mia esperienza come guardia presso il tribunale di una città capoluogo di provincia, le parole dell’ordine degli avvocati «Non ci romperete mica i coglioni tutti i giorni con questi tesserini!» e il procuratore di allora preoccupatissimo che magistrati e importanti membri dell’avvocatura potessero risentirsi di controlli troppo approfonditi. Il regolamento prevedeva di mostrare un tesserino, di plastica o su cartoncino, con timbri sbiaditi e una foto tessera che in confronto quella delle nuove patenti era un poster. Noi chiedevamo di mostrarlo ma poi il riscontro dov’era? Sapete che la metà dei censiti negli albi degli avvocati non ha una fotografia in tale albo? Quindi entra tizio X che mostra un tesserino con una fotina (può essere la sua, che cambia?) e tu non puoi riscontrare nulla. I primi giorni eravamo stressanti, telefonavamo in procura, all’ordine degli avvocati, alla questura finché non ci è stato fatto capire che «esagerate, che volete che succeda? Fatevela finita o tutti a casa!». Non è mica finita: c’erano avvocati che facevano entrare chiunque al grido «sta con me!»… e quindi? Quando li fermavi succedeva il finimondo. Come si permettono questi straccioni di ritardati -perchè se fai la guardia giurata è chiaro per tutti che tu sia un fallito- di mettere in dubbio la mia onestà? E quelli che entravano dalle porte di sicurezza aperte dagli amici e con un sorriso del cazzo ti dicevano «Che fai, mi spari?»

Ma il vero problema era che se facevi il tuo dovere diventavi una rottura di coglioni (e fascista), il servizio era stressante ma, ok, qualcuno di noi ci credeva che fosse importante e faceva spallucce, rimanendo ligio ai doveri imposti dal servizio. Quando però si scolla il collegamento con le forze dell’ordine, quelle vere, e pure loro pensano che tutto sia una farsa esagerata, che tanto che vuoi che accada, che dovete darvi una calmata che poi gli avvocati e i magistrati si incazzano… ecco, allora si può entrare con una pistola in tribunale.

Chiudo con la spiegazione della foto qui allegata. Quel coltello l’ho rilevato io con lo scanner a raggi-x. Non era un modellino da mercatino ma una lama in acciaio. Ho testimoniato al processo che ne è seguito. Sapete cosa ricordo di tutta la faccenda? Il carabiniere della polizia giudiziaria che mi dice «e fallo andare via, sai che coglioni adesso che tocca verbalizzare?» E l’avvocato dell’uomo che mi disse se avevo idea di quanto tempo avevo fatto perdere a tutti, visto che l’uomo aveva dichiarato di essersi sbagliato e che voleva riportare la lama in macchina! Certo, i miei sono tutti aneddoti. Aneddoti.

foto: reflectionless/Commons, 2008 [CC-BY-SA 2.0]

1 – Il Fordson con il kit “Snow Motor” utilizzato a Truckee (Sierra Nevada, California) per la consegna della posta, conservato al Heidrick Ag History Center di Woodland (Commons).

Questo filmato promozionale del 1929, girato per essere proiettato ad una fiera, mostra in azione un trattore Fordson “Model F” del 1926 con il kit di adattamento inventato e prodotto dalla Armstead Motorsnow Company di New York. Due grandi tamburi a vite consentivano al mezzo di avanzare su neve, ghiaccio e sul fango, trasformando il trattore (o qualunque altro veicolo a motore) in un mezzo inarrestabile. La trasformazione era reversibile: d’estate era possibile rimontare le ruote originali, ma chi può volere un trattore normale dopo aver provato questa cosa fantastica? Come mostra il video, il kit della Armstead Motorsnow Company era applicabile anche alle automobili: ciò avrebbe consentito di raccogliere gli amici che arrancavano nella neve e condurli sicuri a casa, o ancora meglio al pub.  Un trattore Fordson con il kit Snow Motor era in uso a Truckee, sulla Sierra Nevada in California, per la consegna della posta (foto 1): i locali soprannominarono la macchina snow devil (diavolo delle nevi) ed il nomignolo si estese poi a tutti i veicoli di questo tipo, sebbene mai adottato ufficialmente dal costruttore.

2 – Zil-2906

Questo tipo di veicolo, detto screw-propelled (propulsione a vite), fu sperimentato anche dall’esercito americano durante la seconda guerra mondiale (progetto poi abbandonato in favore del cingolato Studebaker M29) e durante quella del Vietnam (prototipi costruiti da Chrysler) per la costruzione di mezzi militari adatti a muoversi in terreni ostili come paludi, foreste, neve e ghiaccio. Durante la guerra fredda questa strada fu percorsa anche dai sovietici con il veicolo multiterreno Zil-2906 (sopra), sviluppato specialmente per il recupero dei cosmonauti atterrati in luoghi inaccessibili.

fucile d'assalto subacqueo APS (foto: R. Wilk CC-BY-SA 3.0)

(R.Wilk/Commons CC-BY-SA 3.0)

Questo fucile, dagli insoliti proiettili calibro 5.66 –lunghi ben 10 cm– è un TsNIITochMash “APS”, che sta per Avtomat Podvodny Spetsialnyy (Автомат Подводный Специальный, “fucile d’assalto speciale subacqueo”). Arma sviluppata appunto per il combattimento subacqueo, fu ufficialmente adottata dalla Marina sovietica nel 1975. La punta appiattita dell’ogiva creava una cavità idrodinamica che diminuiva l’attrito con l’acqua mentre la lunghezza conferiva stabilità al proiettile: la velocità di uscita risultava quindi superiore a qualsiasi altro dardo lanciato con i metodi tradizionali, aumentandone la gittata e la letalità. Poteva anche sparare fuori dall’acqua con una gittata utile fra i 50 e i 100 metri. In acqua, invece, le sue prestazioni variano a seconda della profondità: a 5 metri riusciva a mantenere forza sufficiente per causare ferite serie fino a circa 30 metri.
Nel 1989 la strana arma e il suo ancor più particolare munizionamento vennero mostrati “involontariamente” al mondo per la prima volta durante l’incontro fra George Bush e Michail Gorbačëv al Summit di Malta, uno degli ultimi atti della guerra fredda, poche settimane dopo la caduta del muro di Berlino Parte della scorta del presidente sovietico era composta da uomini delle operazioni speciali subacquee (gli “uomini rana”), armati appunto con il fucile APS.U

Valletta 2 dicembre 1989: il presidente degli Stati Uniti d’America George Bush e il segretario del partito comunista dell’Unione Sovietica Michail Gorbačëv al Summit di Malta. Foto: JONATHAN UTZ / staff (Getty)