17 giugno 2017: arrivo – San Pietro, Baia del Generale, Valona
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Seguendo la tabella di marcia, lasciamo la visita alla città di Tirana per l’ultimo giorno e ci dirigiamo verso la prima tappa, sul mare, nella speranza di sfuggire almeno un po’ lo scirocco appiccicoso che, complice il condizionatore spompato della vettura, ci sta soffocando. Subito evidente la curiosa presenza costante di lavazhi, che si incontrano lungo le strade albanesi con un’incomprensibile frequenza di uno ogni 500 m. I lavazhi sono degli artigianalissimi autolavaggi, ricavati nei cortili di edifici di ogni genere e costituiti da una sorta di gazebo chiuso su due lati da pannelli di plastica scolorita. Nulla di automatico o meccanizzato, solo una canna dell’acqua e qualche secchio sparso in giro. Il tutto quasi sempre accompagnato, soprattutto avvicinandosi al mare, da bancarelle coloratissime di oggetti da spiaggia, probabilmente fabbricati in Cina, anche se di cinesi in Albania parrebbero non essercene.
Avevamo letto cose terribili circa la condizione delle strade albanesi e in effetti sperimentiamo subito una realtà che ci fa rimpiangere le buche della Vigentina: l’asfalto spesso manca e per interi tratti si viaggia sullo sterrato; quando non è così è anche peggio, perché abbondano voragini e dossi non segnalati che rischiano di causare danni seri agli ammortizzatori, ed è una ben magra consolazione sapere che fino a qualche anno fa la situazione era molto peggiore. La guida “fantasiosa” dei cittadini di Tirana e le vecchie rotonde con precedenza a destra completano il quadro, rendendoci veramente faticoso il primo impatto. Il cartello che indica l’autostrada ci sembra quasi un miraggio e infatti lo è, almeno in parte. Diciamo che il concetto di autostrada in Albania è un po’ diverso da quello che abbiamo in Italia: si tratta semplicemente di una strada a scorrimento veloce a due corsie per senso di marcia, con incroci a raso e accessi diretti e che per di più, dopo qualche chilometro, si interrompe bruscamente in un cantiere.
Ecco, il cantiere: questo è il primo che incontriamo, ma i cantieri sarebbero stati un’altra delle presenze fisse della nostra permanenza: decine, centinaia, piccoli e grandi, privati e pubblici, molti fermi, altri in piena e frenetica attività, dando l’impressione di un Paese che si sta trasformando velocemente, forse non sempre in meglio, e in ogni caso lasciando a chi guarda una marcata impressione di raffazzonato ed incompiuto. Dopo il cantiere l’“autostrada” torna ad essere una normalissima strada mezza asfaltata e mezza sterrata. Molti dei mezzi che vediamo circolare ci sorprendono non poco: le auto sono per la maggior parte vecchie Mercedes molto vintage, per le quali si dice che gli albanesi abbiano una vera passione, pare motivata dal mito di robustezza attribuito ai prodotti della casa tedesca, che davano maggiori garanzie di durata e di resistenza alle violente sollecitazione del manto stradale. Anche i pochi camion sono pezzi di antiquariato, per non parlare di autobus e pullman, che in estate viaggiano con le porte spalancate, come da noi qualche decennio fa, prima dell’avvento della climatizzazione. Molti pedoni a bordo strada, molte biciclette e qualche vecchissimo motorino, questi ultimi rigorosamente al centro della carreggiata. L’elenco degli utenti delle strade albanesi però non finisce qui, perché bisogna aggiungere, soprattutto nelle aree rurali – cioè ovunque fuori Tirana – i bovini (a dire il vero in genere molto rispettosi del codice della strada) gli ovini (più spericolati) e, soprattutto, i cani randagi. Tanti cani randagi, spesso in branchi, in genere inoffensivi, ma alquanto pericolosi per la circolazione. Capita anche di dover dare la precedenza a qualche tartaruga che attraversa.
Non essendo stato possibile quantificare sul sito di Alitalia (non esistono voli low cost per Tirana) il costo del bagaglio da stiva, per evitare brutte sorprese ci siamo arrangiati col bagaglio a mano, quindi non abbiamo nulla per lavarci. Ci fermiamo nel primo supermercato che incontriamo; con una certa sorpresa scopriamo che si tratta di un Conad che vende prodotti italiani. Ci rendiamo conto dai cartelli pubblicitari che, in Albania, Italia è soprattutto sinonimo di qualità e che vendere prodotti nostrani è una garanzia per il cliente. Compriamo quanto ci serve — comprese le sigarette, che costano la metà che da noi — e ripartiamo.
Dopo un viaggio tutt’altro che confortevole, arriviamo finalmente al mare. Avevamo visto foto bellissime sulle poche guide turistiche dell’Albania esistenti e soprattutto su internet, pubblicate da turisti che ci avevano preceduto e che raccontavano di bellissime calette incontaminate. Noi per il momento però non ne vediamo traccia: ci troviamo a Nord di Durazzo, a San Pietro, su una spiaggia “sanza ‘nfamia e sanza lodo” che ricorda quelle delle Marche.
La spiaggia a San Pietro.
Anche il mare non è certo quello spettacolo di sfumature di blu che ci aspettavamo. C’è anche qualche stabilimento balneare, per fortuna con poca gente. Decidiamo, essendo ormai pomeriggio inoltrato, di mangiare qualcosa al bar della spiaggia; se non altro, visto che lo scirocco non dà tregua, potremo stare un po’ all’ombra. La speranza di poter gustare qualche sapore locale viene immediatamente frustrata dal menù, che ci sgomenta: possiamo scegliere tra un piatto di pasta e una pizza. Caterina cerca di tranquillizzarmi dicendo che ha letto buone recensioni sulle pizze d’Albania, ma io rimango alquanto dubbioso. Tuttavia mi spaventa molto di più l’idea di assaggiare gli spaghetti alla bolognese (che a Bologna non esistono, n.d.r.) quindi pizza (anzi pica) sia: una alle verdure grigliate e una ai kërpudha (funghi, ma per capirlo c’è voluto un disegnino sul tovagliolo…), innaffiate da una birra dal nome inconfondibilmente locale: Tirana. Rimaniamo piacevolmente stupiti, sia dalla buona qualità delle pizze, sia dalla birra autoctona, sia dal conto di poco più di 800 leke, l’equivalente di circa 7 euro.
La pizza.
Risaliamo in auto con destinazione Valona, non prima di avere fotografato quello che resta di uno delle migliaia di bunker che sono disseminati in tutta l’Albania. Voluti da un Hoxha non più giovanissimo e nel contesto di un paese ormai isolato dal resto del mondo, dovevano servire quale estrema difesa in caso di invasione. Costruiti di ogni misura, da quelli XS destinati alle coppie patriottiche a quelli giganteschi costruiti a Tirana per proteggere i papaveri del partito, hanno tuttora fama di essere praticamente indistruttibili e di poter resistere persino ad un improbabile attacco nucleare. Si racconta che il progettista sia stato costretto a collaudarne la tenuta di persona: pare sia stato obbligato ad entrare in uno di essi poi sottoposto al fuoco dell’artiglieria pesante e che ne sia effettivamente uscito vivo. Oggi rappresentano una curiosità per i turisti e un notevole impaccio per i capimastri dei cantieri, che se li vedono spuntare nel bel mezzo dei lavori di ampliamento di una strada o durante gli scavi eseguiti per gettare le fondamenta dell’ennesimo ecomostro fronte mare. Quello in cui incappiamo noi, stranamente, è sventrato e permette di osservare la struttura interna e di valutare l’importante spessore del guscio esterno in cemento armato.
Il bunker.
Lungo il percorso ci fermiamo, per curiosità e per comprare dell’acqua, in un supermercato, stavolta decisamente albanese: una sorta di discount con la merce ammucchiata un po’ a casaccio. Curiosiamo tra i prodotti leggendo le etichette: i pomodori sono fabbricati nello stabilimento dove lavora Caterina, nel Piacentino, i formaggi in Grecia, i tovaglioli di carta in Ungheria. Mi chiedo cosa venga prodotto sul posto e realizzo ora che a Tirana, che pure è una città con quasi un milione di abitanti, non ho visto un solo insediamento produttivo degno di questo nome.
Discount albanese.
Baia del Generale.
Scendiamo dall’auto un po’ incazzati, facciamo due passi, prendiamo una boccata d’aria e ripartiamo per Valona, stanchi e onestamente delusi. Oltretutto la vertiginosa discesa dell’andata ora è una salita ammazzamotori, la cui difficoltà è aumentata dai sassi del fondo stradale e, nel nostro caso particolare, da un furgone in panne piazzato in posizione strategica. I pochi cavalli del motore rischiano di stramazzare mentre li maltratto e li spingo al limite delle loro possibilità, mentre Caterina letteralmente sbianca per la paura. Con un disperato lavoro di frizione riesco finalmente a superare la china e, rifatta la mulattiera in direzione inversa, quasi al tramonto, finalmente torniamo su una strada quasi decente.
Ormai buio, arriviamo finalmente all’albergo di Valona. Abbiamo prenotato solo in strutture a 3 o 4 stelle, spendendo tra i 30 e i 40 euro totali per notte, basandoci sui giudizi di Tripadvisor. Ciononostante, ci resta qualche timore che le categorie albanesi possano non essere esattamente come quelle italiane. Per fortuna non è così e ci troviamo benissimo per tutta la nostra permanenza, pur cambiando albergo ogni notte. Strutture pulitissime e personale gentilissimo, direi decisamente meglio di quanto le nostre tasche possano permetterci quando viaggiamo in Italia. Certo la vista della nostra camera, affacciata su una stazione di servizio, non è il massimo, ma la stanza è spaziosa e fresca, e noi abbiamo solo voglia di buttarci sul letto e riposare un po’.
Ci facciamo una doccia e usciamo per cena. Vogliamo mangiare cucina locale, su questo non si discute. Cerchiamo inutilmente il ristorante che ci consiglia Tripadvisor, del resto è molto difficile trovare un indirizzo quando non esistono numeri civici. Non solo Valona, ma tutta l’Albania ne è sprovvista e ci si orienta solo per punti di riferimento più o meno condivisi, i quali però tendono a cambiare, essendo città e paesi in piena smania cantieristica. Troviamo comunque un posto che sembra andare bene ed entriamo. Si tratta di una gastronomia che vende prodotti locali. Diamo un’occhiata al banco e ordiniamo: io prendo formaggio di capra, zucchine grigliate e una fetta di torta salata di verdure, Caterina un gulash di manzo con riso. Per accompagnare il tutto, un’altra birra tipica, la Korça, che però troviamo decisamente meno accattivante della Tirana. Il cibo invece è ottimo e lo gustiamo con soddisfazione. Le zucchine sono saporitissime: lo faccio notare a Caterina che mi dice che ha letto da qualche parte che i prodotti ortofrutticoli del posto sono pressoché tutti “biologici”, essendo il costo dei fitofarmaci altissimo per le capacità di spesa dell’albanese medio. Anche la carne è succulenta e tenera e perfino la torta è molto particolare, profumata con semi che il proprietario del posto ci dice essere di aneto. Del resto, con l’appetito che abbiamo probabilmente ci sembrerebbe buono anche il piatto di ceramica.
Gulash di manzo con riso, formaggio di capra con zucchine grigliate, torta salata di verdure, birra Korça.
Raki con chicchi di caffè.
Non pago della serata, azzardo l’assaggio di un gelato, articolo che, all’estero, mi ha finora riservato solo enormi dispiaceri, al pari della pizza. Questo invece, acquistato da Arjoli (una sorta di Grom locale) è inaspettatamente buono e dopo averlo gustato sul lungomare facciamo ritorno in camera
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