viaggio in Albania

Viaggio in Albania e Montenegro

In Viaggi di Andrea Panigada

19 giugno 2017: Ksamil, Laguna di Butrinti, Dhermi

Spiaggia a Ksamil

Spiaggia a Ksamil.

Sereno, bava di maestrale, clima fresco. Facciamo un’abbondante colazione internazionale a buffet sulla terrazza panoramica, in un ambiente molto piacevole. Paghiamo l’albergo, salutiamo — non senza un po’ di dispiacere — i gattini e andiamo a Ksamil, decisi a farci finalmente un bagno. Dopo un breve viaggio sulle consuete strade albanesi, arriviamo a destinazione e parcheggiamo l’auto. Le spiagge che vediamo sono di finissima sabbia bianca e il mare è senz’altro il migliore tra quelli visti durante l’intero viaggio. Ci rechiamo in una caletta ben protetta dal vento: il mare è una tavola e l’insieme ha un che di caraibico. Decisamente convinti dalla ricognizione effettuata, torniamo alla macchina a prendere costumi, crema e salviettoni, quando veniamo avvicinati da un tipo che ci propone una gita in barca tra le isole vicine, con la possibilità di fare il bagno su una piccola spiaggia in una di queste per la modica cifra di 20 euro. Ci sembra che la cosa si possa fare e, avendo intenzione di fermarci per tutta la giornata, ci accordiamo anche per il rientro e chiediamo se sull’isola sia possibile mangiare. Ci viene detto che no, non è possibile ma possono portarci una pizza. Siccome io e Caterina ci guardiamo un po’ dubbiosi, quello che scopriamo essere il fratello del barcaiolo che ci traghetterà attribuisce il nostro sbigottimento ad una nostra difficoltà di interpretazione di quello che sta dicendo e cerca disperatamente di tradurre in italiano il termine “pizza”. Lo fermiamo prima che la situazione degeneri nel farsesco: mangeremo al nostro ritorno. Saliamo su una barchetta a motore che dopo una traversata di cinque minuti ci porta su un’isola di fronte alla costa. Passeranno a riprenderci alle 17, ma sono contattabili in qualunque momento. Scendiamo sulla spiaggia, che in realtà è un’insenatura artificiale scavata nell’isola. Ci sono, peraltro, anche degli sterratori che, badili alla mano, stanno continuando il lavoro, ma la cosa non interferisce minimamente con noi, né con i pochi altri turisti presenti. Non posso però fare a meno di chiedermi se sia saggio — e legale! — sventrare un’isola per poter mettere più sdraio e ombrelloni. La policia kufitare, (polizia di confine) che incrocia lì davanti con una motovedetta, in ogni caso non sembra avere niente da obiettare.

Ksamil, isolotto

Isolotto a Ksamil.

Scegliamo ombrellone e sdraio (che non sono compresi nel prezzo della gita in barca), paghiamo l’equivalente di circa 8 euro e ci rilassiamo. La vista era decisamente migliore da terra: guardando la costa si vedono numerosi “incompiuti albanesi”, uno dei quali di tali sfacciate bruttezza e dimensioni da costringere letteralmente a volgere lo sguardo altrove. In compenso il mare è favoloso e ci chiama a gran voce. Anche la temperatura dell’acqua non è troppo fredda e ci facciamo finalmente una bella nuotata, osservando un fondale perfettamente visibile anche a parecchi metri di profondità. Torniamo a riva e ci asciughiamo facendo una passeggiata sull’isolotto, quindi ci spiaggiamo al sole ad arrostirci. Mentre stiamo meditando sull’opportunità di un altro bagno, succede un fatto imprevisto e assolutamente incomprensibile per la sua natura intimamente autolesionista: gli sterratori iniziano a buttare la terra rossastra scavata dall’isola direttamente in mare, proprio davanti alla spiaggia, a secchiate. Ovviamente, nel giro di pochi minuti l’acqua si intorbida al punto che sembra di essere in riva al Po.

Ksamil, isolotto

Acqua torbida.

Io e Caterina ci guardiamo increduli cercando di capire quale possa essere il motivo di un comportamento tanto controproducente, che sta visibilmente e comprensibilmente irritando tutti i presenti. Alcuni chiedono al bagnino di richiamare la barca per tornare a terra, e decidiamo di fare lo stesso, mostrando un visibile disappunto. La barca viene a recuperarci e ci fa fare un tour via mare delle isole più vicine: ne approfittiamo per fare qualche fotografia.

In barca vicino a Ksamil

Un giro in barca.

Una volta a riva, facciamo uno spuntino, essendo ormai pomeriggio inoltrato: ci fermiamo in un locale sulla spiaggia e ci dividiamo una pizza margherita e un’insalata greca accompagnate dalla solita birra, che va giù che è un piacere.

Dobbiamo andare a Dhermi, dove passeremo la notte, ma essendo rientrati prima del previsto abbiamo qualche ora da riempire: decidiamo di visitare la laguna di Butrinti e il cosiddetto Occhio Blu (Syri i Kaltër), una sorgente carsica nelle vicinanze. Si torna all’auto e si riparte lungo la laguna di Butrinti. La strada si interrompe giunta al punto più stretto della laguna, per poi riprendere dall’altra parte. Per attraversare bisogna servirsi di un pittoresco traghetto a fune d’altri tempi, una sorta di pontile in legno galleggiante che si sposta avanti e indietro tramite robuste gomene arrotolate da vetusti motori elettrici alloggiati in due cabine che si fronteggiano sulle opposte rive. Saliamo insieme ad altre tre automobili, paghiamo a un novello Caronte i suoi due euro e in un paio di minuti sbarchiamo.

Traghetto a fune

Il traghetto a fune.

Riprendiamo la strada, che costeggia le rovine di un vecchio castello. Ci fermiamo a fare qualche foto e a goderci un panorama che mostra colline che diradano in campi coltivati che sfumano a loro volta nelle acque della laguna. La luce del tardo pomeriggio contribuisce a rendere l’esperienza degna di nota.

Laguna di Butrinti

Laguna di Butrinti.

Stiamo attraversando un paesaggio rurale ricco di campi coltivati, anche grazie all’abbondante presenza di acqua dolce che scorre, pulitissima, in rogge e canali di irrigazione. Ci troviamo su una strada vera, larga e asfaltata, che passa a fondo valle. La percorriamo a velocità piuttosto elevata e ad ogni curva sentiamo il carter della ruota anteriore sinistra grattare l’asfalto ed emettere una sorta di ruggito che si somma al frinire della ventola del condizionatore che dall’inizio del viaggio ci tiene stabilmente compagnia.

Dopo una trentina di chilometri abbandoniamo la strada principale inerpicandoci su uno sterrato piuttosto ripido ma comunque agevole e in una decina di minuti giungiamo all’Occhio Blu. Il sito è piuttosto turistico: ci sono sentieri ben tracciati e addirittura vediamo le prime bancarelle di souvenir. Non c’è però molta gente, e dopo una breve e piacevole camminata nel bosco, arriviamo alla sorgente. Il nome è più che azzeccato: si tratta di un grande buco da cui sgorga costantemente una grande quantità di acqua (circa 6 metri cubi al secondo, il che ne fa la sorgente più ricca dell’Albania) pulitissima e freddissima, costantemente a circa 12° centigradi. Nessuno sa quale profondità raggiunga e fare il bagno è vietato, anche per comprensibili motivi di tutela del sito. Si racconta però di incauti destinati a giacere per sempre nei meandri della roccia carsica. L’acqua che ne esce è effettivamente di un blu intensissimo e dà vita ad un fiume che si può agevolmente costeggiare e dalle cui rive si possono ammirare scorci di notevole bellezza. La trasparenza assoluta dell’acqua e il fondo sassoso lo trasformano in uno specchio che riflette perfettamente la natura circostante, davvero rigogliosa. Oltre alle piante acquatiche che popolano le rive si possono osservare sciami danzanti di piccole libellule azzurre che moltiplicano ulteriormente le note di blu.

L'occhio blu

L’occhio blu.

Si sta facendo tardi e noi dobbiamo percorrere ancora più di 80 chilometri per arrivare all’albergo, quindi ci rimettiamo in viaggio. Torniamo a costeggiare il mare, dirigendoci verso Nord. Ci fermiamo a fare benzina in una piccola stazione di servizio, dove beviamo una bibita e troviamo anche qualcuno che per una piccola mancia è disposto a sistemare quel maledetto, molestissimo carter. La riparazione è piuttosto artigianale, ma sembra reggere e soprattutto ci costa l’equivalente di quattro euro, quindi non stiamo a guardare troppo per il sottile. Illuminati dalla luce soffusa del tramonto, vediamo panorami marittimi meravigliosi e ce la prendiamo con calma, anche perché le strade sono le stesse di sempre e le loro condizioni sconsigliano caldamente velocità troppo elevate.

Arriviamo all’albergo di Dhermi che è ormai buio, ma dobbiamo ancora affrontare la difficoltà di un’impiegata che non parla né inglese né italiano. Ci sembra di capire che voglia darci una stanza ai piani alti e molto lontana dalla “reception”— un tavolo di legno sotto il portico dell’Hotel — ma evidentemente fraintendiamo qualcosa, perché la nostra camera è al pianterreno e appena girato l’angolo. È molto modesta, quasi francescana, ma ci sono il letto e la doccia, quindi per noi va benissimo. Ci diamo una rinfrescata e andiamo a cena a Palasë, in un ristorantino a conduzione familiare che vanta ottime recensioni. Al nostro arrivo la famiglia in questione sta giocando a carte sotto la veranda esterna e ci fa accomodare al tavolo di fianco al suo. Siamo gli unici clienti e veniamo accolti in maniera davvero molto cordiale. Una signora che è stata in Italia e parla bene l’italiano ci dice che possono servire antipasti e pesce grigliato, il tutto accompagnato da vino rosso di loro produzione. Per noi va benissimo e ci vengono portati un’insalata greca, olive nere casalinghe, ricotta vaccina e dell’ottimo pesce.

Mentre ci godiamo cibo e bevande, facciamo quattro chiacchiere con i gestori, anche grazie alla signora, che funge da interprete. Ci viene chiesto da che parte dell’Italia veniamo e come mai abbiamo scelto di visitare proprio l’Albania, visto che sanno bene qual è l’opinione prevalente che gli italiani hanno del loro Paese, a detta loro spiegabile col fatto che, dopo la fine del comunismo, se ne sono andati i peggiori. A noi però non va tanto di scivolare in facili luoghi comuni e preferiremmo sapere qualcosa di più su come fosse la vita durante il lunghissimo “regno” di Hohxa. La solita signora dice che non avevano nulla tranne la paura, di quella molta, perché bastava una parola sbagliata per essere processati come nemici del popolo e della pace, e che nessuno poteva uscire o entrare in Albania. Hohxa era riuscito nell’impresa di isolare completamente il Paese, rompendo prima con Tito, poi con Kruscev e infine anche con la Cina post–maoista. Le dico che non ho visto alcuna fabbrica e lei ribatte che le poche esistenti sono state chiuse subito dopo la fine del regime perché non competitive, dato che verso la fine mancavano addirittura i pezzi di ricambio per le vecchissime linee produttive, tutte provenienti dall’Unione Sovietica o dalla Cina. Oggi la grande risorsa è il turismo, pur non sfruttata a dovere, anche a causa di una corruzione onnipresente, e il grande sogno è quello di entrare nella UE. Considerato che la domenica successiva ci sarebbero state le elezioni politiche, chiedo come stiano vivendo questo aspetto della democrazia, per loro ancora relativamente recente: dice che non ne può più della campagna elettorale martellante che stanno facendo in TV e che vorrebbe che fosse già lunedì. Non ripone molte speranze nell’attuale classe dirigente, che le sembra interessata, più che altro, a spartirsi il potere, indipendentemente dal partito di appartenenza. Insomma, la signora tratteggia un quadro piuttosto desolante dell’Albania di ieri, ma anche di quella di oggi, mentre noi ci limitiamo ad ascoltare senza sputare sentenze.

Nel frattempo ci servono il dolce. Sembra baklava e ne prendo un bel morso: con mia grande delusione mi ritrovo invece a masticare un’impasto amarognolo e della consistenza delle caramelle mou. Non volendo assolutamente contrariare i nostri ospiti, ne decanto sfacciatamente le meraviglie, mentre di soppiatto passo quanto resta della mia porzione a Caterina, che al contrario di me sembra apprezzare. Chiedo di cosa si tratti esattamente e mi viene spiegato che sono pezzi di favo – i proprietari sono anche apicoltori – arrotolati e immersi nel miele. Ho un attimo di ribrezzo al pensiero di aver mangiato qualcosa in cui sono cresciute delle larve, ma poi mi sovviene che il miele non è altro che nettare rigurgitato e penso che forse non morirò. Per fortuna arriva in tavola una buona bottiglia di raki autoprodotto e ne butto giù un bel sorso per far passare la paura. Brucia, ma è buono e lava la lappa che mi era rimasta in bocca. Si è fatto parecchio tardi e dopo aver pagato (circa 22 euro in totale) e ringraziato per l’ospitalità, facciamo ritorno in albergo.



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