1979, veduta aerea della centrale nucleare Fukushima 1

1 – Centrale nucleare di Fukushima Dai-Ichi in una foto aerea del 1979.

 Ci siamo sempre fatti beffa delle regole tanto sapevamo che nessuno ci poteva toccare.Masatoshi Toyoda, ex vicepres. TEPCO

Le leggi fisiche che governano la crosta terrestre non si curano di alcun essere vivente perché obbediscono solo a se stesse. Fino alle ore 14:45 dell’undici marzo 2011 tutto ciò che viveva o era stato costruito nella regione giapponese del Tōhoku [1] ignorava che la crosta terrestre si accingeva a dare un’ennesima, devastante, dimostrazione della propria potenza. Alle ore 14:46 con epicentro in mare aperto a 130 chilometri da Sendai, nella prefettura di Miyagi, veniva liberata una potenza pari a 31,6 miliardi di tonnellate di tritolo raggiungendo il nono grado di magnitudo; il sisma è così forte che a Tokyo, distante 373 chilometri dall’epicentro, la magnitudo è ancora pari a 7.4. Il terremoto più forte mai registrato in Italia, quello di Messina del 1908, era di magnitudo 7.1, all’incirca mille volte meno potente di questo;[2] solo le scosse di assestamento del terremoto del Tōhoku sono state di 7.8 e 7.1, più altre 132 scosse di magnitudo 5 nell’arco della giornata, un migliaio nel corso del mese. Purtroppo per il Giappone non ci sarà modo di valutare i danni provocati dal terremoto; viene diradato l’allarme maremoto o, come tutto il mondo ormai conosce con il suo nome giapponese, tsunami.

2 – Effetti del terremoto e dello tsunami nella prefettura di Fukushima.

Gli abitanti del Tōhoku avevano un’ora di tempo per evacuare ma molti non capiranno l’allarme, altri sottovaluteranno, altri ancora non hanno fatto in tempo, altri forse semplicemente non volevano o potevano spostarsi. Spinto dal terremoto l’Oceano Pacifico si riversa sulle coste giapponesi penetrando per sei, sette, anche otto chilometri nell’entroterra con onde alte dai 10 ai 30 metri, fino a raggiungere la sua altezza massima di 38 metri nella piccola cittadina di Miyako. Gli effetti dello tsunami si riverberano in tutto il mondo, tanto da varcare lo stretto di Suez e far registrare increspature anomale, anche se solo di 10-15 centimetri, nel Mar Mediterraneo. Non c’è nulla che può resistere a qualcosa del genere: persone, barche, case, fabbricati, tutto viene travolto, sradicato, trascinato per chilometri dalla furia del mare e poi abbandonato. Due mesi dopo il triste bilancio contava 15.057 morti, 9.121 dispersi, 90.000 edifici crollati, 258.490 edifici danneggiati,[3] per danni materiali complessivi stimati nell’ordine dei 309 miliardi di dollari.

Veduta aerea della località di Kirikiri a Ōtsuchi, nella prefettura di Iwate, devastata dal terremoto e dallo tsunami.

3 – Veduta aerea della località di Kirikiri a Ōtsuchi, nella prefettura di Iwate, devastata dal terremoto e dallo tsunami.

Edifici rasi al suolo e mezzi di soccorso a Iwate il 18 marzo 2011.

4 – Edifici rasi al suolo dallo tsunami e mezzi di soccorso a Iwate, nell’omonima prefettura, il 18 marzo 2011.

È una devastazione totale, in una zona già povera dell’isola rispetto al più ricco sud, dove ci sono città come Tokyo e Osaka. Distruzione, macerie, persone care che hanno perso la vita e che non possono avere il rito funebre dello shukkotsu per via della carenza di carburante che impedisce la cremazione.[4] Il rito funebre è fondamentale nella cultura giapponese come lo era nell’antica cultura greca[5] la “degna sepoltura”: senza il rito l’anima del defunto non avrà pace. Oltre alla perdita di parenti e amici, si aggiunge il dramma di chi ha anche perso tutto il resto ossia sfollati e disoccupati. Come se non fosse già abbastanza sui giapponesi incombe un ulteriore incubo, quello nucleare.


Epicentro del terremoto del 2011 e centrali nucleari della regione del Tōhoku.

5 – Epicentro del terremoto del 2011 e centrali nucleari della regione del Tōhoku. I numeri tra parentesi indicano il numero di reattori.

Il Giappone nel 2011 è il terzo paese al mondo per numero di centrali con cinquantaquattro reattori, superato solo dagli Stati Uniti con centoquattro e dalla Francia con cinquantotto. Sulla costa colpita dallo tsunami vi sono gli impianti di Onagawa, di Tokai e i due impianti di Fukushima[6] ed è proprio nell’impianto di Fukushima Dai–ichi che la situazione si farà drammatica con un plurimo meltdown nucleare classificato al settimo e ultimo grado della scala INES, raggiunto fino ad allora solo dal disastro di Černobyl’. Gli occhi del mondo si poseranno su Fukushima mentre la sofferenza della popolazione passerà in secondo piano; la stampa in cerca di audience più che di informazione finirà per inventarsi di sana pianta notizie riguardo a Fukushima o, alla meglio, male interpretando ciò che avviene. Anche la stampa italiana darà il suo contributo finendo in quel “Wall of Shame”[7] che su internet racchiude tutte le invenzioni e gli errori di chi di mestiere dovrebbe informare correttamente. Così mentre per i media tradizionali giapponesi l’industria del nucleare è un tabù, come l’industria dell’auto, per cui non si indaga a fondo data anche la reticenza a comunicare ciò che avviene da parte della TEPCO, per la stampa estera (salvo qualche eccezione come Pio d’Emilia, corrispondente di SKY TG24) si tende più che altro al sensazionalismo. Passata la fase acuta dell’emergenza rimarrà l’idea diffusa che alla fine l’incidente di Fukushima Dai–ichi sia avvenuto per colpa dello tsunami, ma non la pensa così la commissione investigativa indipendente incaricata dal parlamento giapponese di fare chiarezza. Presieduta da Kiyoshi Kurokawa la commissione nel suo rapporto finale ha affermato che «l’incidente è stato il risultato delle collusioni tra il Governo, gli enti regolatori e la società TEPCO[8] e della loro incapacità di gestione. Con il loro comportamento hanno di fatto tradito il diritto della nazione giapponese di sentirsi libera dai rischi nucleari. Noi concludiamo pertanto che il disastro sia chiaramente dovuto all’uomo». Prima di capire il perché era evitabile, ripercorriamo l’escalation dell’emergenza nucleare che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso.

6 – Sala di controllo di Fukushima Dai–ichi (Fukushima 1).

L’emergenza iniziale

La centrale di Fukushima Dai–ichi della TEPCO (Tokyo Electric Power Company) è uno dei maggiori impianti del Giappone con sei reattori BWR[9] fabbricati dalla General Electric ed è in funzione dal 26 marzo 1971.[10] L’undici marzo 2011 i reattori delle unità 1, 2 e 3 sono operativi, i reattori delle unità 4, 5 e 6 sono fermi per le operazioni di sostituzione delle barre combustibili e d’ispezione. Dopo il terremoto il servizio meteorologico giapponese emette un primo avviso di pericolo tsunami relativo a un’onda dell’altezza minima di tre metri; alla centrale protetta da una barriera anti-tsunami per onde alte fino a sei metri probabilmente ritengono di non dover adottare particolari misure aggiuntive: alle 15:27 prima e alle 15:37 poi due tsunami, il secondo con onde alte fino a 15 metri, sono registrate a 1,5 chilometri dalla costa e una manciata di minuti dopo colpiscono la centrale.

Sezione della centrale di Fukushima 1 con livello medio del mare e livello delle onde del maremoto.

7 – Né la diga foranea né i terrapieni hanno potuto contenere le onde alte tra i 14 e 15 metri sopra il livello medio del mare che hanno investito la centrale (1: edificio del reattore; 2: edificio delle turbine).

Giorno 1 (11 marzo)

Alle 14:46 il terremoto mette fuori uso le linee di collegamento con la rete elettrica nazionale e manda la centrale in black–out. Per i reattori in funzione viene eseguito lo “SCRAM” (inserimento di tutte le barre di controllo) per arrestare la fissione nucleare ma si necessita comunque, per tutti i reattori, dei sistemi di raffreddamento per contenere il calore. Si avviano i generatori diesel di emergenza ma circa un’ora più tardi lo tsunami colpisce la centrale inondandola; si spengono anche i generatori diesel[11] e non vi è più alcun sistema di controllo funzionante: da questo momento nessuno sa più cosa sta accadendo all’interno dei reattori. Gli addetti nei locali della centrale sono al buio, non hanno alcuna informazione sui propri parenti, le comunicazioni con i colleghi e con la sala Emergenza non sono chiare, i manuali TEPCO carenti sul da farsi, i luoghi di lavoro sono esposti a dosi crescenti di radiazioni e spostarsi all’interno della centrale è a dir poco arduo per via dei detriti. Gli operai vengono incaricati dal direttore della centrale, Masao Yoshida, di andare a recuperare le batterie dalle auto e di comprare delle pile nel supermercato più vicino ancora agibile, in modo da avere un po’ di energia e provare a ripristinare parte degli indicatori; quando riescono a riaccenderli la situazione è a dir poco preoccupante. Nel reattore 1 si è danneggiato l’IC (Isolation Condenser) e questo causa una diminuzione dell’acqua nel reattore con conseguente innalzamento della temperatura; la temperatura sempre più alta innesca una reazione che produce idrogeno che è infiammabile e se il livello sale troppo può causare un’esplosione. Nella sala di controllo però non giungono informazioni aggiornate sullo stato del reattore 1 e la priorità viene quindi data al reattore 2, dove non si sa se è in funzione il sistema d’emergenza RCIC (Reactor Core Isolation Cooling System); se il sistema dovesse essere fermo per via del black–out la situazione diventerebbe grave a partire dalle ore 21:40. Di fronte a questa situazione alle 16:36 la TEPCO informa il governo e viene proclamata l’emergenza nucleare; la prefettura di Fukushima è la prima a emanare un ordine di evacuazione nel raggio di 2 chilometri dalla centrale. Alle ore 23:25 dopo aver ripristinato parte della strumentazione i valori sembrano essere normali per il reattore 2. Il reattore 3, per via della presenza di un dispositivo elettrico a corrente continua ancora in funzione, risulta in uno stato migliore rispetto agli altri e, con l’arrivo alle ore 22:00 di un piccolo generatore portatile, la luce viene ripristinata nella sala di controllo sia del reattore 3 sia del reattore 4. Nel mentre al reattore 1 i livelli di radiazione continuano a salire e alle 21:50 l’edificio è dichiarato off–limits. Si stima che a quell’ora il nucleo fosse già seriamente danneggiato con fuoriuscite di gas radioattivo e deposito di corium[12] sul basamento.

Pianta disposizione dei reattori a Fukushima 1

8 – Pianta di Fukushima 1 con la disposizione dei reattori.

Giorno 2 (12 marzo)

Date le condizioni sempre più gravi del reattore 1, dopo la mezzanotte viene presa in considerazione l’ipotesi di emettere gas radioattivo per far diminuire la pressione all’interno del reattore. La TEPCO chiede l’autorizzazione al Kantei, l’ufficio del primo ministro giapponese, che accorda il permesso; tuttavia il tentativo di aprire le valvole in maniera automatica fallisce alle ore 02:30. Occorre aprirle manualmente ma nel manuale TEPCO non c’è scritto come si fa. La radioattività intorno al reattore 1 continua a salire, agli uomini presenti alla centrale viene indicato come indossare le tute protettive, compreso gli uomini in sala controllo che continuavano a lavorare grazie solo alla luce di una torcia. Alle 05:14 la zona di evacuazione viene estesa al raggio di 10 chilometri; per via delle perdite di gas la pressione inizia a scendere e si prova a iniettare nuova acqua nel reattore tramite l’unico mezzo anti–incendio disponibile intorno al reattore 1. Nel reattore 2 il livello dell’acqua si mantiene stabile, per cui si deduce che il sistema RCIC sia ancora in funzione ma non si sa per quanto. Autocarri equipaggiati con un generatore sono portati al reattore 2 e collegati; il sistema RCIC si ferma alle ore 11:36 ma fortunatamente un’ora dopo entra in funzione il sistema HPCI (High Pressure Coolant Injecton system) che riesce a ripristinare il livello dell’acqua. Nel frattempo l’apertura delle valvole di sfogo procede a rilento; gli addetti TEPCO ce la stanno mettendo tutta ma sono in difficoltà. Il primo ministro Kan, preoccupato dal silenzio della TEPCO, decide di recarsi di persona alla centrale. Alle 14:30 finalmente le valvole di sfogo si aprono e agli addetti vengono somministrate pastiglie di ioduro di potassio, che saturano il corpo con lo iodio prevenendo così la ritenzione dell’isotopo radioattivo I-131, uno degli elementi prodotti dalla fissione nucleare, che tende a concentrarsi nella tiroide. Mentre si sta lavorando al reattore 2 per collegarlo a una pompa,  alle 15:36 si verifica un’esplosione nell’edificio del reattore 1 che polverizza la parte superiore della struttura e ferisce cinque operai. Anche se le valvole erano state aperte l’idrogeno si è infiltrato nell’edificio e il contatto con l’aria ha innescato l’esplosione. Il livello di radiazione sale oltre 1 millisievert per ora e alle 18:25 il primo ministro annuncia l’estensione del raggio di evacuazione a 20 chilometri. Gli effetti delle radiazioni sulla salute umana è argomento difficile e complicato in quanto incidono diversi fattori, ma in estrema sintesi si può considerare che la soglia per un serio rischio è una dose di 500 millisievert accumulata gradualmente in un anno, tenendo inoltre conto che siamo tutti esposti ogni giorno alla radiazione naturale di circa 2,4 millisievert all’anno.[13] Alle 19:04 i mezzi anti-incendio iniziano a pompare acqua di mare nel reattore 1. Nel frattempo alle 17:30 nel reattore 2 il sistema RCIC è ancora in funzione ma la temperatura di decadimento ha riscaldato troppo la piscina di raffreddamento e questo impedisce al vapore di condensarsi, con il risultato che la pressione nel reattore sale e si inizia a pensare all’apertura delle valvole di sfogo come fatto per il reattore 1. Nel reattore 3 alle 20:27 si esaurisce l’energia di un generatore d’emergenza e poco dopo si spengono gli indicatori di pressione e del livello dell’acqua, ma il sistema HPCI continua a lavorare.

  • Sezione schematicha di un reattore BWR

    9 – Schema tipico di un reattore BRW.

    1. Contenitore a pressione del reattore (Reactor Pressure Vessel).
    2. Contenitore del vapore o “pozzo secco” (Dry Well).
    3. Camera toroidale di abbattimento del vapore o “pozzo umido” (Wet Well).
    4. Contenimento secondario in calcestruzzo.
    5. Vasca del combustibile esausto.

Giorno 3 (13 marzo)

La situazione nel reattore 3 degenera. Alle ore 2:42 il sistema HPCI si ferma e non c’è più alcun sistema di iniezione dell’acqua funzionante. La pressione inizia a salire e alle 4:15 si è accumulato un’enorme quantità di idrogeno tale da rendere necessario aprire le valvole di sfogo: le valvole vengono aperte alle 08:41. Gli operai recuperano dieci batterie d’auto[14] e le collegano per far funzionare le valvole SRV (Safety Relief Valve) che consentono di depressurizzare il reattore. Alle 09:25 la pressione del reattore è calata abbastanza da permettere l’iniezione d’acqua ma alle 12:20 la procedura si interrompe perché la cisterna d’acqua si è svuotata. All’interno il livello dell’acqua torna a scendere e nonostante l’iniezione di acqua marina non si riesce a ripristinare un adeguato livello. Proprio l’iniezione di acqua marina rappresenta uno degli attimi più assurdi della vicenda: la TEPCO, i cui massimi vertici erano in Cina in un tour promozionale, aveva fatto divieto al direttore Yoshida di utilizzare l’acqua marina per evitare di danneggiare in modo irreparabile i reattori, per via dell’azione corrosiva del sale, anche se i livelli della temperatura erano sempre più allarmanti. Il direttore Yoshida disubbidisce agli ordini ma non si riesce comunque a raggiungere un livello d’acqua di sicurezza nel reattore. Il livello di radiazioni era salito a 300 millisievert per ora sulla porta del reattore, 12 millisievert per ora nella stanza di controllo. Nel reattore 2 invece verso le ore 11 il sistema RCIC aveva raggiunto una condizione difficile, e gli operatori si preparavano a depressurizzare il reattore e iniettare acqua con i camion anti–incendio.

Autocolonna militare in viaggio verso Fukushima il 15 marzo 2011 (USAF).

10 – Una colonna di mezzi dell’U.S. Air Force diretti a Fukushima il 15 marzo 2011: gli Stati Uniti hanno partecipato alle operazioni di soccorso con un contingente militare di 18 mila persone (“operazione Tomodachi”, cfr. A. Muzushima).

Giorno 4 (14 marzo)

Preoccupato dagli eventi il Kantei aveva inviato una squadra di pompieri specializzati a Fukushima. Mentre la squadra si preparava a entrare in azione, alle 11:01 si vede l’abbaglio di una luce arancione e immediatamente dopo l’edificio del reattore 3 esplode, danneggiando anche l’edificio del reattore 4 e ferendo sette operai. Per via dei danni l’iniezione di acqua marina è interrotta anche per i reattori 1, 2 e 4. Una società in sub–appalto, nonostante l’alto livello di radiazioni dei detriti che rendeva estremamente difficile i lavori, si mette all’opera alacremente e riesce a sgomberare l’area molto prima di quanto ci si aspetti: alle 16:30 nel reattore 3 è riattivata l’iniezione di acqua marina. Nel reattore 2 tuttavia la situazione peggiora perché alle 13:25 il sistema RCIC smette di funzionare del tutto; il livello dell’acqua non è sufficiente e, oltre ai detriti del reattore 3, a complicare la situazione ci si mettono le scosse di assestamento che ostacolano i lavori. Alle 18:22 il nucleo è pienamente scoperto e si tenta di aprire le valvole SRV e a iniettare l’acqua, ma la pressione che si crea nel reattore rallenta l’operazione e alle ore 22 il livello dell’acqua è molto sotto la sufficienza. Ai cancelli dello stabilimento di Fukushima la radioattività è salita a 0,6 millisievert per ora. Nel frattempo in questi quattro giorni gli operai riescono almeno a mettere in sicurezza il reattore 5, che se pur fermo conteneva enorme calore per via del combustibile esausto. Grazie a una linea collegata con un backup aggiuntivo del reattore 6, che permetteva di avere qualche sistema di controllo automatico in funzione, e agli operai che escogitano un sistema di comunicazione usando la campanella degli allarmi anti-incendio come un codice, alle ore 5 del 14 marzo si riesce a manipolare le varie valvole e a far entrare in funzione la pompa MUWC (MakeUp Water Condensate system) stabilizzando il reattore 5.

Fukushima, 2011: autopompa getta acqua sul reattore 3 poco dopo il disastro.

11 – Una autopompa getta acqua sul reattore 3 nel tentativo di raffreddarlo.

Giorno 5 (15 marzo)

Nel reattore 2 l’acqua ha continuato a bollire fino a che alle 6:00 si sente provenire un forte rumore dall’interno del reattore; quasi in contemporanea nello stesso momento si ha un’inspiegabile esplosione nell’edificio del reattore 4, forse causato dall’idrogeno rilasciato dallo scoppio del reattore 3.[15] La pressione nel reattore 2 cala repentinamente e se ne deduce una rottura della struttura di contenimento, ossia la penultima barriera tra il materiale radioattivo e l’ambiente. L’ultima barriera è rappresentata dall’edificio che contiene il reattore e che nel caso del reattore 4 è anch’esso danneggiato dall’esplosione. Dato che la situazione ambientale è peggiorata con l’aumento di radioattività e vi è il rischio di ulteriori pericoli, la TEPCO decide di evacuare parte degli addetti della centrale mandandoli all’impianto di Fukushima Dai–ni. Il primo ministro Kan interpreta questa decisione come un’evacuazione totale e un abbandono della centrale al suo destino; ordina pertanto alla TEPCO di rimanere ma si tratta di un’incomprensione dovuta al clima di sfiducia che si è creato. Alla fine il personale viene evacuato e a fronteggiare la situazione d’emergenza restano una cinquantina di addetti. Le autorità emettono un nuovo avviso chiedendo ai residenti nel raggio di 30 chilometri dall’impianto di non uscire di casa.

Fukushima Dai Ichi, i danni dell'incidente in una foto satellitare del 16 marzo 2011 (DigitalGlobe) www.digitalglobe.com

12 – Immagine satellitare della centrale il 16 marzo 2011: la colonna di fumo si solleva dal reattore 3 (Digital Globe).

Il reattore 4

Dopo l’esplosione dell’edificio del reattore 4, la Nuclear Regulatory Commision (NRC) americana dirama un avviso ai cittadini statunitensi di evacuare tenendosi a un raggio di 80 chilometri [16] dalla centrale; sempre la NRC in un documento interno ipotizza che sia da evacuare l’area metropolitana di Tokyo. Ma cosa sta destando così tanta preoccupazione nell’ente statunitense? La preoccupazione e l’allarmismo derivano dal fatto che l’acqua nella piscina di raffreddamento del combustibile esausto sta evaporando, e il vapore viene rilasciato direttamente nell’atmosfera per via delle crepe aperte dall’esplosione. Contribuiscono all’allarmismo: la mancanza di un indicatore del livello dell’acqua della piscina o di una videocamera di sorveglianza, il timore che terremoto e l’esplosione possano aver danneggiato gravemente la piscina con conseguente perdita d’acqua, le informazioni sulla radioattività rilasciata inattendibile per via della contaminazione dovuta al reattore 3; la mancanza di strumenti per analizzare la situazione nel complesso. L’uranio contenuto nella piscina di raffreddamento può essere stimato nell’ordine delle 172 tonnellate e basti pensare che nel reattore di Černobyl’ ve ne erano 160. Anche se non si può fare il paragone con l’incidente sovietico e non si può sapere come potrebbe propagarsi il meltdown nucleare, è comunque certo che esiste un pericolo serio per il Giappone. Il 16 marzo il premier ordina all’esercito di tentare di riempire la vasca tramite gli elicotteri, prelevando l’acqua dal mare, ma il forte vento e la massiccia dose di radiazioni impediscono di portare a termine il compito. Il 17 marzo si fa un nuovo tentativo tramite camion anti-incendio che, grazie a cannoni ad ampia gittata, sparano acqua direttamente sulla piscina nel tentativo disperato di ripristinare il livello dell’acqua, ma una settimana più tardi il livello è ancora pericolosamente basso. Poi improvvisamente e apparentemente senza spiegazione il livello torna di colpo —e per fortuna— nella norma, anche se occorrerà continuare a iniettare tonnellate d’acqua ogni giorno. Si scoprirà che lo scampato pericolo è dovuto a un guasto: la paratia che funge da valvola tra due comparti, studiata per separare la piscina posta sopra il reattore dalla piscina di raffreddamento, si è rotta e l’acqua si è riversata nella piscina di raffreddamento riempiendola (su questa ricostruzione vi sono però dubbi)[17].

Ingresso principale della centrale di Fukushima 1, il 13 aprile 2011: il personale indossa indumenti e presidi protettivi.

13 – Ingresso principale della centrale di Fukushima Dai–ichi il 13 aprile 2011: il personale indossa indumenti e presidi protettivi.

L’emergenza attuale

La centrale di Fukushima Dai-ichi ha continuato e continua a lottare contro il disastro nucleare. Altri incidenti sono accaduti, senza per fortuna raggiungere la gravità dei primi giorni dell’emergenza. Le emissioni radioattive rilasciate nell’ambiente risulterebbero essere circa il 18%[18] di quelle di Černobyl’, ma i danni sull’ambiente terrestre e marino intorno alla centrale nucleare [19] e sulla salute umana sono difficilmente calcolabili. Si pensa che per completare le operazioni di smantellamento degli impianti danneggiati bisognerà attendere 40 anni, mentre i primi robot, appositamente progettati per Fukushima, inviati a sondare la situazione nei reattori non hanno resistito alle radiazioni e  —proprio come a Černobyl’— sono finiti in corto circuito. In assenza di informazioni precise sullo stato dei reattori 1, 2 e 3, non possiamo far altro che sperare che il materiale radioattivo ancora all’interno non entri mai in contatto con il terreno o con l’oceano.

14 – L’edificio del reattore nº 3 cinque anni dopo.

L’innesco del disastro

È indubbio che a innescare il disastro di Fukushima siano stati prima il terremoto e poi lo tsunami. Per la TEPCO anzi è stato solo lo tsunami ma la commissione Kurokawa è di tutt’altro parere. In realtà dagli elementi in possesso la commissione ipotizza che gravi danni li abbia fatti in primis il terremoto, che ha provocato la totale disconnessione dalla rete elettrica e nel caso del reattore 1 probabilmente ha causato una perdita di refrigerante.[20] Questa perdita di refrigerante ha messo fuori uso l’IC del reattore 1 e da quel momento non c’era più modo di evitare l’esplosione. Non è chiaro il perché il reattore 2 non sia esploso come l’1 e il 3 e per spiegarlo si sono fatte solo ipotesi. Di certo larga parte delle radiazioni rilasciate nell’ambiente provengono dal reattore 2. La dinamica fa pensare che l’insufficienza del raffreddamento ha portato alla formazione di bolle di vapore nella camera di soppressione causando delle vibrazioni: così sollecitata la camera di soppressione, già messa a dura prova dall’innalzamento della pressione e dalle vibrazioni causate dalle scosse di assestamento, poteva rompersi o scoppiare in qualsiasi punto e in qualsiasi momento. Il reattore 3 si trovava in una situazione migliore grazie al dispositivo a corrente continua ancora in funzione, tuttavia la fortuna non fu pienamente sfruttata in quanto gli sforzi furono concentrati sulle precarie condizioni dei reattori 1 e 2. Una volta venuta meno l’energia anche il reattore 3 si è trovato nella stessa situazione degli altri due. L’esplosione del reattore 3 poteva anche essere peggiore; infatti è stato calcolato che se tutta la lega di zirconio all’interno del reattore avesse reagito con l’acqua, l’idrogeno prodotto poteva dar luogo a una esplosione pari a 58 tonnellate di tritolo. La luce arancione intravista prima dell’esplosione è riconducibile all’imperfetta combustione del monossido di carbonio contenuto nel gas esplosivo.

La città di Namie evacuata dopo l'incidente di Fukushima (2011)

15 – Aprile 2011: la città di Namie evacuata dopo l’incidente di Fukushima.

È un disastro umano

Se terremoto e tsunami hanno innescato l’incidente, la causa fondamentale di quanto accaduto risiede nelle condizioni vulnerabili dell’impianto nucleare. Il rapporto Kurokawa approfondisce il tema se l’incidente fosse evitabile e in quelle pagine è chiaro l’atto di accusa sia verso la TEPCO sia verso tutti gli enti regolatori: la Commissione per la Sicurezza Nucleare (NSC), l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare e Industriale (NISA), il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (METI). Nel 2006 la NSC aveva rivisto le vecchie linee guida per le misure anti–sismiche ma la TEPCO aveva ottenuto un rinvio dell’adozione delle norme prima al 2009 e poi al 2016, senza che alcuno battesse ciglio. Oltre a sottostimare i pericoli del terremoto in una delle aeree più sismiche del mondo, la TEPCO sottostimava anche i pericoli dello tsunami basandosi su un arbitrario uso della teoria della probabilità (tramite il cosiddetto metodo JSCE). Per la commissione Kurokawa se gli enti regolatori avessero importato e imposto agli impianti nucleari giapponesi le misure di sicurezza adottate dagli Stati Uniti dopo gli attentati del 2001, il disastro di Fukushima poteva essere evitato. La TEPCO si era aggressivamente opposta a nuovi regolamenti di sicurezza e insieme alla Federazione delle compagnie elettriche (FEPC) ha fatto pressione sul Ministero (METI), di cui la NISA fa parte, che era un promotore dell’energia nucleare. Questa connessione tra controllati, sorveglianti e promotori ha di fatto reso gli enti regolatori ostaggio delle compagnie elettriche, con il risultato che le funzioni di monitoraggio e supervisione della sicurezza nucleare sono implose. Il rapporto elenca una moltitudine di errori e di negligenze volontarie che hanno reso la centrale impreparata per gli eventi dell’undici marzo, oltre a gravi carenze nel rispondere all’emergenza da parte della TEPCO, dell’autorità di regolamentazione e del governo: è tutto questo a rendere quello di Fukushima un incidente causato dall’uomo e non un disastro naturale.

16 – la centrale di Fukushima Dai–ichi nel 2016.

Il lato oscuro del Sol levante

Fukushima ha incrinato il mito del perfezionismo giapponese. Non solo l’incidente alla centrale ha fatto emergere un grosso problema di sicurezza e di mancanza di sorveglianza, ma ha anche mostrato i limiti dell’impero nipponico incapace di affrontare adeguatamente l’emergenza nucleare e di limitarne i danni. La confusione creatasi nella catena di comando e la confusione nell’organizzare l’evacuazione, con notizie e direttive non meglio precisate, di certo non ha contribuito a ridurre i rischi e ha aumentato i disagi e i pericoli per la popolazione residente nei dintorni dell’impianto. Per non parlare delle mille batterie urgenti ordinate alla Toshiba dalla TEPCO la sera del 12 marzo, che tardavano ad arrivare perché non si riusciva a ottenere l’autorizzazione dalla polizia per usare l’autostrada, chiusa dopo il terremoto non per i danni subiti ma proprio per riservarne l’uso alle operazioni di emergenza: per la burocrazia una centrale nucleare che chiede d’urgenza delle batterie non rientrava tra le emergenze. Dulcis in fundo decine di imprenditori, enti e altri personaggi vari ed eventuali intasavano i centralini per chiedere l’esenzione dai black–out programmati a seguito del calo della produzione di energia elettrica. È forse per questo contesto che Kiyoshi Kurokawa nell’introdurre il rapporto della commissione lancia un duro attacco contro una mentalità largamente diffusa in Giappone, una mentalità che ha come caratteri distintivi: l’obbedienza, la riluttanza a mettere in discussione l’autorità, la difesa della propria organizzazione come primo dovere, l’isolazionismo. Kurokawa non cerca colpevoli,[21] ma auspica che la “lezione di Fukushima” non vada persa portando un cambio di mentalità e lo sviluppo della società civile giapponese.

Noi dal canto nostro non possiamo entrare nel merito di un dibattito o di una riflessione che spetta ai giapponesi; ci limitiamo pertanto a rendere omaggio a tutti coloro che hanno lottato per impedire un disastro peggiore, e ad augurare al popolo giapponese di non vedere più la propria fiducia tradita da chi dovrebbe garantirla.

17 – Immagini dalla “zona di evacuazione” di Fukushima (Getty Images).

Note

  1. [1]Il Tōhoku è una regione situata nel nord-est dell’isola di Honshū, la più grande del Giappone.
  2. [2]La Scala Richter è logaritmica.
  3. [3]Insieme a 3.970 strade, 71 ponti, 4 dighe e 26 linee ferroviarie.
  4. [4]Il rituale in estrema sintesi prevede che, dopo un accurato lavaggio e vestizione con accanto gli oggetti più cari, il defunto venga cremato e le sue ossa e le ceneri raccolte in un’urna e consegnate ai congiunti.
  5. [5]Curiosamente anche i giapponesi “pagano” il passaggio del fiume dell’aldilà come gli antichi greci con Caronte, ma le monete per il pedaggio in questo caso sono sei.
  6. [6]Gli impianti sono quelli di Fukushima Dai–ichi e Fukushima Dai–ni lett. Fukushima 1 e 2.
  7. [7]Lett. “muro della vergogna”: il sito è jpquake.info.
  8. [8]La TEPCO è la società proprietaria dell’impianto.
  9. [9]Boiling Water Reactor ossia reattori ad acqua bollente.
  10. [10]Entrati in funzione tra il 1971 e il 1979 i reattori sono di tre tipi: l’unità 1 è un reattore BWR3 con contenimento MARK I, le unità 2, 3, 4 e 5 sono reattori BWR4 con contenimento MARK I, l’unità 6 è un reattore BWR5 con contenimento MARK II. La costruzione della centrale nucleare di Černobyl’, in Ucraina, ebbe inizio nel 1970 ed il primo reattore entrò in funzione nel 1978.
  11. [11]Due operai che lavoravano nel locale muoiono annegati.
  12. [12]Il corium è una lava radioattiva prodotta dalla fusione del combustibile nucleare.
  13. [13]Dipende molto dalla zona, ad esempio Roma ha una radioattività naturale superiore a quella della città di Fukushima.
  14. [14]Che il direttore abbia incaricato gli operai di andare a recuperare le batterie e a comprare pile è accertato, tuttavia dalle fonti consultate non si riesce a capire in modo univoco se ciò è avvenuto l’11 marzo o il 13 o in entrambi i giorni. Il rapporto Kurokawa pur non specificando la data ne riferisce due volte in due momenti diversi e pertanto al momento si è scelto di indicarli in due giornate diverse.
  15. [15]La commissione tiene a precisare che questa è solo un’ipotesi e non ci sono prove a supporto.
  16. [16]Nel comunicato si parla di 50 miglia.
  17. [17]Si rimanda al libro Romano, Luca L’avvocato dell’atomo. In difesa dell’energia nucleare. Fazi editore.2022
  18. [18]Si stimano 900.000 TBq di materiale radioattivo disperso contro 5.200.000 TBq stimati in Ucraina, ma sono stime da prendere con le “pinze”.
  19. [19]Oltre undicimila tonnellate di acqua altamente radioattiva sono state rilasciate nell’oceano pacifico.
  20. [20] In gergo è definita LOCA ossia Loss of coolant accident.
  21. [21]Dal punto di vista legale invece è tutt’altro discorso ma rientra nella sfera della magistratura.

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. United States Department of Energy, 1971 c.a [PD] Commons.
  2. Steve Herman, marzo–aprile 2011 [PD] Voice Of America/Commons (1, 2, 3).
  3. Dylan McCord, U.S. Navy, Iwate 18 Mar. 2011 [PD] Commons.
  4. Dylan McCord, U.S. Navy, Iwate 18 Mar. 2011 [PD] Commons.
  5. Silvio Dell’Acqua, 9/7/2016 [CC BY—SA 4.0] Laputa.
  6. Kawamoto Takuo, 1999 [CC–BY 2.0] Commons (1, 2, 3).
  7. S. Dell’Acqua/www.laputa.it [CC–BY–SA 3.0] derivato da Shigeru23, Commons.
  8. S. Dell’Acqua/www.laputa.it [CC–BY–SA 3.0].
  9. derivata da: Roulex_45 [CC–BY–SA 4.0] Commons.
  10. U.S. Air Force/Airman 1st Class Andrea Salazar, Joban Expressway 15 Mar. 2011 [PD] Commons.
  11. Rikujojieitai Boueisho [CC–BY–SA 3.0] Commons.
  12. Immagine satellitare dell’impianto di Fukushima Dai–ichi del 16 marzo 2011, Digital Globe [CC-BY-SA 3.0Commons.
  13. Steve Herman, 13 Apr. 2011 [PD] Voice Of America/Commons.
  14. © Cristopher Furlong, 11 Mar. 2016 — Getty Images.
  15. Steve Herman, 12 Apr. 2011 [PD] Voice of America/Commons.
  16. © JIJI Press/Stringer, 26 Mar. 2016 — Getty Images.
  17. © Getty Images.


La notte tra il 25 ed il 26 aprile 1986 il reattore numero 4 della centrale elettronucleare di Černobyl’ esplose, proiettando nell’atmosfera vapori e polveri altamente radioattive: fu il più disastroso incidente mai verificatosi in una centrale nucleare e uno degli unici due classificati al massimo livello della scala INES dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica: l’altro è quello di Fukushima del 2011.

Quello che, a stare alle dichiarazioni dei fisici, sarebbe potuto accadere al massimo una volta in 10.000 anni, adesso è accaduto. Diecimila anni si sono fusi in questa giornata. La legge delle probabilità ci ha fatto capire che intende essere presa sul serio.[1]Christa Wolf, scrittrice della Repubblica Democratica Tedesca
Ucraina sovietica, regione di Kiev. La città di Pripjat’, nata sulle rive del fiume omonimo per ospitare il personale addetto alla costruzione e all’esercizio dell’impianto nucleare, conta ormai cinquantamila abitanti. Alla centrale “V.I. Lenin” il reattore nº4 — entrato in servizio appena due anni prima, nell’84 — deve essere spento per operazioni di ordinaria manutenzione e si decide di approfittarne per effettuare un test di sicurezza, già eseguito l’anno precedente sul reattore n°3 e anche sui quattro reattori della centrale di Kursk, in Russia.


Il principio di funzionamento di una centrale atomica non è molto diverso da quello di una centrale idroelettrica o a vapore: ci sono delle grosse turbine che, girando, azionano enormi generatori di corrente. Anziché la forza dell’acqua imprigionata in una diga, o il vapore prodotto dalla combustione del carbone, del gas o anche della spazzatura, si impiega il vapore prodotto dall’acqua di raffreddamento di un reattore nucleare a fissione. Esistono diversi tipi di reattori, quello impiegato a Černobyl’ è del tipo RBMK (acronimo per Reaktor Bolšoj Moščnosti Kanalnyj, ovvero “reattore di grande potenza a canali”), raffreddato ad acqua e moderato a grafite. Non inganni il termine moderato, che nell’uso comune ha un significato differente: in fisica un “moderatore” è un materiale che ha la funzione di rallentare i neutroni veloci prodotti dalla fissione, in modo da aumentare la loro efficacia nel colpire e spezzare un atomo fissile.

Reazione a catena: fissione dell'uranio–235.

2 – Reazione a catena: fissione dell’uranio-235.

Il moderatore, in pratica, è necessario per aumentare il numero di fissioni all’interno del nocciolo, facendo sì che la reazione a catena sia in grado di autosostenersi: quando ciò avviene, si dice che il sistema è “critico” (curiosa l’inversione semantica secondo la quale moderare significa aumentare e una condizione detta critica è invece desiderabile, anzi perseguita mediante accorgimenti tecnici). Per evitare che la reazione aumenti in modo incontrollato, con conseguenze disastrose, si usano “barre di controllo”[2] mobili fatte di un materiale metallico che a differenza del moderatore ha una elevata capacità di assorbire i neutroni lenti, riducendone quindi la capacità di colpire un atomo fissile: l’equilibrio tra la quantità di moderatore e la quantità di assorbitore (o “veleno”) mantiene la reazione allo stato critico. Il nocciolo del reattore RBMK è quindi un grande cilindro di grafite che funge da moderatore, attraversato da canali paralleli (da qui la definizione di “reattore a canali”) dentro i quali sono disposte alternativamente le barre di combustibile fissile, in questo caso ossido di uranio arricchito al 2% con uranio-235, e le barre di controllo mobili di boro (un semimetallo[3]), oltre a qualche barra di uranio-238 che veniva così arricchita per la produzione di plutonio destinato alle armi nucleari. Questi canali sono attraversati dall’acqua “leggera” ovvero comune acqua, così detta in contrapposizione all’acqua arricchita con deuterio, detta “pesante”, utilizzata come moderatore in altri tipi di reattori nucleari.

Schema del reattore RBMK

3 – Schema di un reattore RBMK

L’acqua assorbe l’enorme calore prodotto dalla reazione trasformandosi in vapore, che viene convogliato sotto pressione alle turbine a due stadi per la produzione di energia elettrica. Il vapore esausto viene raffreddato in uno scambiatore, che dissipa il calore residuo nell’acqua fredda proveniente dal fiume. I due circuiti restano separati: il vapore così raffreddato diventa acqua bollente che ritorna nel reattore per un nuovo ciclo, mentre l’acqua del fiume — se tutto è andato bene — è calda ma priva di radioattività e può essere reimmessa nell’ambiente. A Černobyl’ l’acqua è ovviamente prelevata dal Pryp’jat’ e prima di tornare nel fiume, viene raffreddata in un apposito stagno dove dal 1979 si alleva pesce destinato all’industria alimentare, immesso poi sul mercato (come evidenzia una rapporto del KGB del 1981) senza alcun controllo.

Centrale "V.I. Lenin" di Černobyl' nel 1984.

4 – Centrale “V.I. Lenin” di Černobyl’ nel 1984: in primo piano lo stagno di raffreddamento (chnpp.gov.ua).

Ore 1:06 del 25 aprile 1986. È notte fonda a Pripjat’, mentre alla centrale si dà inizio alla procedura. Il reattore è alla potenza massima di 3200 megawatt termici; in preparazione al test viene avviato un programma di regolazione controllato dal computer che ridurrà lentamente la potenza fino al 50%, ovvero 1600 MW. Per regolare la potenza di un reattore nucleare si agisce sulle barre di controllo mobili: alzandole, sfilandole cioè dal nocciolo, diminuisce la quantità di moderatore che assorbe i neutroni lenti o “termici”; la reazione a catena aumenta quindi di intensità. In questo caso si dice che il sistema è “supercritico”. Interrompendo l’estrazione delle barre, la cui velocità deve essere determinata in fase di progetto per evitare reazioni impreviste, il sistema si stabilizza sulla potenza desiderata. Quando si vuole ridurre la potenza si reintroducono le barre di controllo, che assorbendo i neutroni lenti riducono l’intensità della reazione fino a spegnerla. Queste barre sono quindi anche il primo sistema di sicurezza attivo di un reattore a fissione: qualora gli strumenti rilevassero un valore anomalo (temperatura, potenza, pressione, radioattività) una serie di dispositivi ne provocherebbe l’inserimento automatico, spegnendo rapidamente il reattore anche senza l’intervento umano.

barre-di-controllo

5 – Rappresentazione schematica del funzionamento delle barre di controllo: a sinistra le barre sono abbassate nel nocciolo e assorbono una maggiore quantità di neutroni, rendendo il reattore “sottocritico” (la potenza diminuisce); a destra sono sollevate e lasciano che una maggiore quantità di neutroni alimenti la reazioni a catena, in questo caso il reattore è “supercritico” (la potenza aumenta). Il reattore è “critico” quando la quantità di neutroni non catturati dalle barre è esattamente quella necessaria a mantenere la potenza stabile.

Pulsante di SCRAM

6 – Pulsante di SCRAM all’Idaho National Laboratory.

L’arresto di emergenza mediante l’introduzione contemporanea di tutte le barre è universalmente detto “SCRAM“, termine che una leggenda fa risalire al primo reattore nucleare della storia costruito dallo staff di Enrico Fermi in un locale sotto le tribune dell’ex stadio di football dei Chicago Maroons (un esperimento potenzialmente catastrofico in una delle aree più popolose degli Stati Uniti). Si narra che l’arresto di emergenza fosse affidato ad un addetto armato di ascia (il fisico Norman Hilberry[4] secondo alcuni, un boscaiolo reclutato dall’Esercito secondo altri[5]) che, nel caso fosse accaduto “qualcosa di inaspettato”, avrebbe tagliato una corda facendo cadere nel nocciolo una barra di controllo di cadmio, che avrebbe spento la reazione. La leggenda vuole che negli appunti del fisico tale “congegno” fosse indicato semplicemente come Safety Control Rod Axe Man, ovvero “uomo con l’ascia addetto alla barra di controllo di sicurezza”, da cui l’acronimo SCRAM.


In realtà si tratta appunto di una leggenda: le barre di sicurezza erano azionate da un circuito elettromeccanico[6] ma l’immagine pionieristica dell’uomo con l’ascia rende efficacemente l’idea di come funzioni l’arresto di emergenza di un reattore nucleare. Ma c’è un problema. Un reattore di potenza come l’RBMK non può mai essere totalmente “spento” come può esserlo un motore o un televisore: il combustibile fissile continua a produrre una grande quantità di calore che deve essere evacuato mantenendo in circolazione il liquido refrigerante, che nel RBMK è acqua. Per garantire un raffreddamento sufficiente, le 8 pompe elettriche di circolazione richiedono ben 5,5 megawatt, una potenza enorme ma che a pieno regime è appena lo 0,5% dell’energia prodotta dai turbogeneratori. A reattore spento, o in caso di rottura dei tubi del vapore in pressione, l’alimentazione alle pompe viene a mancare e devono quindi subentrare i generatori diesel di emergenza: questi però impiegano circa 60–75 secondi per arrivare a regime e qualora lo spegnimento fosse improvviso (scram) questo gap temporale potrebbe causare il surriscaldamento del nocciolo, con pericolose implicazioni di sicurezza. L’idea è quindi di verificare se il girante della turbina, prima di fermarsi, sia in grado di produrre per inerzia l’energia sufficiente ad alimentare le pompe di raffreddamento e i sistemi fondamentali per almeno 40–50 secondi, abbastanza per un passaggio sul filo del rasoio all’alimentazione di emergenza. Il precedente test sul reattore nº 3 si era svolto senza incidenti, ma aveva dimostrato che l’inerzia non era sufficiente e si era intervenuti migliorando i regolatori di tensione, che ora devono essere sottoposti a nuova verifica.

Centrale di Černobyl', sala dei turbogeneratori.

7 – Centrale di Černobyl’, sala dei turbogeneratori (chnpp.gov.ua).

Ore 3:47. Secondo la ricostruzione della World Nuclear Association, a quest’ora il livello del 50% viene raggiunto e la riduzione di potenza si arresta.[7] Avrebbe dovuto essere ulteriormente ridotta al di sotto dei 1000 MW, ma a causa di un guasto ad un’altra centrale elettrica regionale l’ente gestore della rete[8] chiede alla centrale “V.I. Lenin” di non ridurre ulteriormente la potenza per non lasciare scoperta l’area di Kiev: è venerdì e le fabbriche avranno bisogno di energia elettrica. Viene quindi fissato un nuovo orario, la una della notte successiva. Almeno, questa sarebbe stata la spiegazione ufficiale fornita dalla commissione d’inchiesta federale condotta da Valeriu Alexandrovici Legasov per giustificare un grave errore amministrativo, cioè che il test fosse lasciato al turno di notte quando l’organico era inferiore e il personale stanco o non addestrato. Legasov, considerato un valente accademico e persona dalla moralità irreprensibile,[9] si suiciderà però nel giorno del secondo anniversario dell’incidente, il 26 aprile del 1988.

chernobil-pylons

8 – Piloni della rete elettrica a Černobyl’ (Commons)

Ore 14:00. Il sistema di raffreddamento di emergenza viene escluso per evitarne l’intervento automatico, che vanificherebbe il test. Questo passaggio è previsto dalla procedura e non sarà tra le cause dirette dell’incidente.[7] Quello del raffreddamento, a ben vedere, non era nemmeno il problema principale: il vero responsabile del disastro sarebbe stato il cosiddetto “coefficiente di vuoto positivo”, una caratteristica tipica del reattore RBMK. Come abbiamo visto l’elemento moderante è necessario a rallentare i neutroni affinché siano in grado di alimentare la fissione. Se il moderatore è la stessa acqua di raffreddamento, quando questa arriva all’ebollizione viene sostituita dal vapore, che ha minore capacità moderante, e la reazione diventa immediatamente sottocritica fino a spegnersi o a stabilizzarsi su una potenza inferiore. Così, se il nocciolo si surriscalda o si verifica una perdita di liquido, il reattore si spegne: il “coefficiente di vuoto” in questo caso è negativo ed è un fattore di sicurezza intrinseco. Ma non è il caso del reattore RBMK che, invece, è moderato a grafite che è un materiale solido. Se viene a mancare l’acqua di raffreddamento, per ebollizione o perdita, il moderatore resta dove si trova continuando ad alimentare la reazione in un reattore che si sta surriscaldando. Né è possibile “svuotare” la grafite semplicemente aprendo un rubinetto. Inoltre l’acqua leggera ha un blando potere di assorbire i neutroni, tolto il quale la frittata è presto fatta: in questo caso si dice che il coefficiente di vuoto è positivo. Perché si scelse di usare un sistema così instabile per costruire in un reattore tanto potente? In gran parte per ridurre i costi, seppure a discapito della sicurezza. Un nocciolo in grafite, materiale più efficace come moderatore rispetto all’acqua pesante, consentiva di usare come combustibile l’uranio “lievemente arricchito” (SEU[10]), con una concentrazione di uranio-235 non superiore al 2%, meno costoso di quello con gradi di arricchimento più elevati. Inoltre non c’era bisogno di utilizzare acqua “pesante” come moderatore, ma solo la più economica acqua leggera per il raffreddamento.

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9 – Tramonto su Pripjat’, 1986.

Ore 23:10. Su Pripjat’ è scesa la notte. La domanda di energia elettrica è inferiore e la procedura di riduzione della potenza può riprendere. V. P. Bryukhanov, il direttore della centrale, sta dormendo tranquillo nel suo appartamento nel centro della città, nel palazzo della nomenklatura che si affacciava su piazza Lenin. Gli incarichi importanti venivano spesso attribuiti in base alle logiche del partito più che a quelle del buonsenso o della necessità: il direttore, ad esempio, proveniva da impianti tradizionali e non aveva esperienza di impianti nucleari, come il capo ingegnere Nikolaj Fomin. Il vicecapo ingegnere responsabile dei reattori 3 e 4, Anatolij Djatlov, aveva esperienza con i piccoli reattori ad acqua pressurizzata installati sui sottomarini. Qui si trattava di tenere a bada un mostro migliaia di volte più potente: un demone, come quel Černobog della mitologia slava, oscura divinità il cui nome (“dio oscuro”) contiene la stessa radice čĭrnŭ (nero) da cui anche Černobyl’, che significa “erba nera”.[11]

Sala del reattore (1).

10 – Centrale di Černobyl’, sala del reattore nº1 (chnpp.gov.ua).

Ore 24:00. Cambio del turno: il personale della notte prende servizio. Il supervisore Yuri Tregub viene sostituito dal collega Aleksandr Akimov alla “guida” del reattore, ma rimane sul posto. Al contrario di quella diurna però, la squadra della notte non era stata adeguatamente istruita alla procedura del test: da programma, avrebbero dovuto solo prendere in carico un reattore spento dal pomeriggio. Come gli “accudienti”, ovvero coloro che prendono in custodia la locomotiva a vapore durante le soste e non devono necessariamente avere l’esperienza del fuochista che conduce la caldaia in corsa.

Centrale di Černobyl', sala di controllo del reattore 3.

11 – Sala di controllo (reattore 3).

Ore 00:28 del 26 aprile 1986. La potenza del reattore è scesa a 500 MW, quando le norme di sicurezza vietano il funzionamento prolungato al di sotto dei 700 MW perché l’instabilità del RBMK a bassa potenza è nota. L’operatore, l’ingegnere Leonid Toptunov, trasferisce il controllo dal sistema automatico “locale” (LAC) che controlla 12 barre, inefficace a potenza ridotta, a quello “globale” che agisce sulle altre 167 ma senza impostare sul computer il valore minimo da raggiungere.[12]



Grave errore, o forse un malfunzionamento del computer: la potenza precipita pericolosamente a 30 MW. Toptunov tenta di riguadagnare potenza estraendo le barre di controllo, ma il reattore è “avvelenato” dallo xeno-135, un prodotto di fissione che si accumula nel reattore quando si diminuisce repentinamente la potenza. In realtà questo viene prodotto anche durante il normale funzionamento dal decadimento dello iodio-135, ma viene eliminato dallo stesso processo di fissione poiché, assorbendo neutroni, diventa xeno-136 che è stabile. A bassa potenza o a reattore spento il flusso di neutroni viene a mancare e lo xeno-135 si accumula nel reattore. Assorbendo i pochi neutroni in circolazione agisce più o meno come le barre di controllo, limitando la reazione a catena fino a spegnerla. Il che, però, costituisce un serio problema perché falsa le letture degli strumenti, mascherando la normale reattività del nucleo, ma poi decade naturalmente liberandone di nuovo la potenza: è come avere delle barre di controllo supplementari invisibili, che si dissolvono lentamente. Per questo quando viene spento un reattore è necessario attendere due o tre giorni perché lo xeno-135 (che ha un tempo di dimezzamento di poco più di 9 ore) porti a compimento il suo processo di decadimento naturale eliminandosi. L’ingegnere capo Djatlov, descritto dai colleghi come irascibile e duro di comprendonio,[13] non vuole doversi giustificare con Mosca per un ritardo nel test e fa quindi pressione perché si stabilizzi il reattore in qualche modo e si prosegua con il programma, nonostante tutto suggerisca di interrompere.

  • rbmk-pattern

  • 12 – Schema del nocciolo del reattore 4.
     barre di controllo (167);
     barre di controllo automatiche, LAC (12);
    barre di controllo supplementari, sono più corte ed entrano dal basso (32);
    sorgenti di neutroni per l’accensione (12);
    tubi acqua/vapore in pressione, possono contenere anche le barre di combustibile (1661).

Ore 00:43:27. Secondo la ricostruzione della World Nuclear Association[14] vengono disabilitati i controlli di sicurezza dei turbogeneratori, per prevenire l’interruzione automatica del test. La turbina numero sette era già stata esclusa per convogliare tutta la pressione disponibile sulla numero otto. Altro errore, perché significava eseguire il test senza una turbina di backup.

Ore 1:00. Nonostante solo 18 barre di controllo siano inserite, il reattore avvelenato dall’accumulo di xeno-135 raggiunge a malapena una potenza di 200 MW, abbondantemente al di sotto della soglia di sicurezza. Gli operatori attivano alla 1:03 ed alla 1:07 due pompe di raffreddamento supplementari oltre alle sei già in funzione per assicurare un adeguato raffreddamento del nocciolo dopo il test. A piena potenza termica, la pressione del vapore nel nocciolo genera una forte resistenza idraulica che le pompe devono vincere per poter garantire la circolazione dell’acqua di raffreddamento. Ma a una potenza così bassa, la pressione del vapore non riesce a contrastare le pompe che finiscono per spingere 60 000 m³/ora di acqua in un impianto progettato per 45 000 m³/ora. Il circuito va in cavitazione, i tubi vibrano minacciosamente, la pressione del vapore scende ulteriormente a causa del raffreddamento lasciando posto all’acqua, la cui capacità di catturare i neutroni lenti fa diminuire ulteriormente la potenza.

Ore 1:19. Secondo Grigori Medvedev, vice-capo ingegnere del reattore nº 1 e autore del libro The Truth about Chernobyl, a questo punto il disastro poteva ancora essere evitato rinunciando al test e riducendo gradualmente la potenza fino allo spegnimento. Anche quest’ultima occasione viene sprecata: per contrastare questa ulteriore perdita di potenza dovuta all’eccesso di acqua vengono estratte ulteriori barre di controllo. I sistemi di sicurezza che avrebbero dovuto intervenire automaticamente erano già stati disattivati.

Ore 1:22:30. Restano solo 8 barre di controllo inserite nel nocciolo, quando il minimo previsto dalle norme di sicurezza è 15.[14] Gli operatori hanno ridotto manualmente il flusso di acqua per ripristinare la pressione del vapore, il reattore sembra stabilizzarsi ma la reazione è avvelenata dallo xeno-135. Toptunov osserva perplesso una stampa del computer: i parametri che vede suggeriscono un immediato spegnimento di emergenza del reattore. Esita, in fondo il computer può sbagliare, poi riferisce ad Akimov e Djatlov. Entrambi trovano i dati inquietanti, ma Djatlov ripone piena fiducia nella solidità della tecnologia sovietica: «Ancora due o tre minuti e sarà tutto finito, muoviamoci ragazzi!». L’ingegnere elettrico addetto alle misurazioni, Gennady Petrovich Metlenko, annuncia che l’oscillografo è acceso e pronto a misurare. È il segnale.

Il demone Černobog si sveglia, e non trova nessuna gabbia a contenerlo perché tutte le barre di controllo erano state estratte.

Ore 1:23:04. Igor Kershembaum, ingegnere capo addetto alle turbine, chiude la valvola che manda il vapore al turbogeneratore numero otto dando inizio alla fase cruciale del test. La turbina inizia a rallentare, la previsione è che riesca a produrre per inerzia l’energia sufficiente ad alimentare le pompe di raffreddamento. Gli elettricisti registrano sugli strumenti il calo di potenza elettrica. Alla chiusura della valvola di uscita, però, il vapore resta intrappolato nel nocciolo: le pompe avrebbero bisogno di maggiore energia per vincerne la pressione, ma sono sottoalimentate perché l’unica turbina si sta fermando e non ce la fanno. Il flusso d’acqua refrigerante si riduce drasticamente, il nucleo si surriscalda e l’acqua che si trova all’interno diventa vapore. Qui entra in gioco il “coefficiente di vuoto positivo”: senza più acqua ad assorbire i neutroni, l’effetto moderante della grafite prevale e la potenza inizia improvvisamente ad aumentare. Il demone Černobog si sveglia e non trova nessuna gabbia a contenerlo, perché quasi tutte le barre di controllo sono state estratte.

Ore 1:23:40. Alexandr Berezin, ingegnere capo addetto al monitoraggio del pannello, preme il pulsante AZ-5 che corrisponde al comando di “scram“, l’abbassamento contemporaneo di tutte le barre di controllo. Non è chiaro se lo scram viene eseguito a seguito dell’improvvisa ondata di potenza o se, come avrebbe scritto in seguito Djatlov, semplicemente perché si ritiene concluso l’esperimento. Le barre di controllo in carbonato di boro, come abbiamo visto, dovrebbero assorbire i neutroni placando la reazione a catena; ma per uno sconcertante errore di progettazione hanno terminali di alluminio lunghi un metro pieni di grafite: abbassandole tutte insieme si ottiene che per i primi istanti si introduce dell’altro moderante (la grafite) che prende il posto dell’acqua causando inizialmente un ulteriore aumento di potenza. L’abbassamento completo delle barre avrebbe richiesto 18–20 secondi, ma in soli quattro secondi la potenza raggiunge un livello pari a mille volte quello nominale.[15] In condizioni normali, un aumento di temperatura avrebbe causato una diminuzione della reattività dell’uranio, stabilizzando così il reattore: è il cosiddetto “coefficiente di temperatura negativo”. L’incremento di potenza è però troppo improvviso e violento, il coefficiente di vuoto ha il sopravvento su quello di temperatura. Il nocciolo raggiunge i 2000 °C, i canali si deformano per il calore bloccando la discesa delle barre di controllo a circa 2/3 della corsa e rendendo così impossibile il completamento dello scram: il reattore è definitivamente fuori controllo, è il meltdown nucleare. Gli operatori sganciano il meccanismo di manovra della barre, sperando che queste scendano per gravità, ma senza successo. Intanto, a causa dell’altissima temperatura, l’acqua presente nel nocciolo si scinde in ossigeno e idrogeno, quest’ultimo si combina con il carbonio della grafite formando metano: il reattore si riempe così di gas altamente infiammabili.

L’esplosione

 "Chernobyl. Ultimo giorno di Pripjat" Dipinto di Alexey Akindinov

13 – Chernobyl. L’ultimo giorno di Pripjat, dipinto di Alexey Akindinov, 2014 (Commons).

Ore 1:24 del 26 aprile 1986. La pressione del vapore causa una violenta detonazione che solleva la piastra di copertura del reattore pesante mille tonnellate e distrugge il tetto dell’edificio, lasciando scoperto il nocciolo del reattore all’aria esterna: pochi istanti dopo l’ossigeno presente nell’atmosfera si mischia con i gas infiammabili creando una miscela che, a contatto con la grafite incandescente, provoca una seconda, violentissima esplosione. Frammenti di grafite, uranio, tubature, barre di controllo ed altri materiali fortemente radioattivi vengono proiettati fino ad un chilometro di distanza, il catrame del rivestimento del tetto si incendia. L’edificio è poco più di un capannone industriale: il reattore RBMK era troppo grande per realizzare una struttura di contenimento che, oltretutto, non era ritenuta fondamentale in virtù della perfezione della tecnologia sovietica. Nei minuti seguenti alle due esplosioni i tecnici non hanno un’idea della portata del disastro. Akimov è convinto che il reattore sia integro e resta nella struttura. Gli strumenti utilizzati per le prime misurazioni sono del tutto inadeguati ad una emergenza: hanno fondo scala ad appena 3,6 Röntgen/ora. Il direttore Bryukhanov, svegliato nel cuore della notte da una telefonata nel suo appartamento di Pripjat’, comunica a Mosca il valore indicato dagli strumenti, ma in un secondo tempo ci si accorge che nei pressi del reattore nº4 la radioattività è cinquemila volte superiore: quando all’esterno vengono registrati valori incredibili, che raggiungono i ventimila Röntgen/ora, si pensa inizialmente che la strumentazione sia guasta e il problema continua ad essere sottostimato. Intanto i pompieri, ai comandi del tenente Vladimir Pravik, arrivano in pochi minuti dalla vicina caserma di Pripjat’ e sono già sul tetto dell’edificio nel tentativo di spegnere l’incendio; ignari del pericolo e privi di qualunque protezione efficace, a pochi passi dalla cosa più radioattiva che l’umanità avesse mai conosciuto fino ad allora. Sarebbero tutti morti nel giro di qualche giorno.

Ore 5:00. I pompieri hanno spento i focolai di incendio, ma la grafite del nocciolo è ancora in fiamme. L’acqua delle lance non riesce a placare il fuoco e si trasforma immediatamente in vapore radioattivo. Si decide quindi di ricorrere agli elicotteri militari per gettare sul nocciolo pesanti sacchi di sabbia addizionata di boro (il materiale usato per le barre di controllo), piombo e dolomia: anche gli equipaggi di questi velivoli si esporranno così ad elevatissime dosi di radiazioni. Intanto, sebbene le voci comincino a diffondersi, gli abitanti di Pripjat’ restano ufficialmente all’oscuro di quanto sta accadendo fino alla mattina del 27 aprile, quando viene finalmente dato l’ordine di evacuazione della città.

Centrale di Černobyl’ (CNPP): il reattore 4 distrutto, 28 aprile 1986.

14 – Il reattore 4 distrutto dall’esplosione, in una foto aerea scattata poco dopo l’incidente, il 28 aprile 1986.

Lunedì 28 aprile. Le autorità sovietiche ed ucraine tentano di mantenere il silenzio, ma la nube radioattiva si sta già diffondendo verso l’Europa. Alla centrale nucleare di Forsmark, in Svezia, viene rilevata una quantità anomala di radiazioni dalle scarpe di un tecnico di ritorno da una pausa. Scatta l’allarme, ma dai primi accertamenti sembra che la contaminazione non arrivi dal reattore: viene da fuori. Basta poco, agli svedesi, per capire che la fonte è un’immensa nube che sembra provenire da oltre la cortina di ferro. Da Mosca arrivano solo risposte vaghe, ma i satelliti spia americani fotografano l’incendio dimostrando in modo incontrovertibile che qualcosa è successo e la notizia si diffonde in tutto il mondo con un impatto emotivo enorme. Anche, finalmente, “oltre cortina” dove si stima che il 36% dei sovietici abbia appreso la notizia prima da una radio occidentale che dagli organi di informazione del proprio paese.

A partire da quelle esplosioni nucleari i fondamenti della vita si sono rivelati come un terno al lotto. E la stessa aureola di infallibilità e sicurezza basata sui fondamenti delle scienze si è disintegrata.[16] Ulrich Beck, sociologo tedesco.
Martedì 29 aprile. A seguito delle pressioni internazionali, l’agenzia di stampa del Cremlino annuncia in modo telegrafico che a Černobyl’ c’è stato un non meglio precisato “incidente”. Ci vogliono nove giorni per domare l’incendio e quasi cinquemila tonnellate di materiale. La sabbia, fondendosi per il calore, forma una prima coltre protettiva che inizia a contenere le radiazioni, ma il peso di tutto quel materiale rischia di far collassare la struttura. Sotto il reattore si trovano grandi vasche piene d’acqua, che avrebbero dovuto abbattere il vapore in caso di rottura del circuito di raffreddamento.
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15 – Minatori privi di protezioni scavano il tunnel di raffreddamento.



Si teme che il nocciolo possa sprofondare cadendoci dentro e provocando così una enorme, catastrofica esplosione di vapore. Si prende così la decisione di inviare una squadra di sommozzatori che, consapevoli dei rischi della missione, si immergono eroicamente nell’acqua altamente contaminata per azionare manualmente le valvole che avrebbero svuotato le vasche. Ma non basta: la centrale “V.I. Lenin” era stata costruita nel bel mezzo delle paludi del fiume Pryp’jat’, l’acqua è ovunque. Se fosse entrata in contatto con il materiale fuso avrebbe potuto causare una violenta esplosione di vapore, senza contare la contaminazione delle falde. Per scongiurare il disastro viene scavato a braccia un tunnel di raffreddamento sotto il reattore, in condizioni di temperatura e radioattività proibitive. Sul tetto dell’edificio la quantità di radiazioni è talmente elevata da causare problemi ai circuiti dei robot telecomandati che devono rimuovere i frammenti di grafite.

Černobyl’, 1986: militari si preparano a salire sul tetto

16 – I militari dell’armata rossa (i cosiddetti “bio-robot”) si preparano a salire sul tetto per rimuovere i frammenti di grafite.

Si deve ricorrere di nuovo agli esseri umani, i riservisti dell’Armata Rossa: 3500 soldati, cinicamente soprannominati “bio-robot”, lavorano per dieci giorni con un livello di radioattività di 10–12 mila Röntgen/ora. Male equipaggiati con protezioni in piombo cucite su una normale uniforme militare, nonostante il tempo di permanenza non superiore a 45 secondi per turno la maggior parte di loro sarebbe morta nel giro di pochi mesi o avrebbe riportato infermità permanenti. Intanto, intorno alla centrale si svolge una colossale operazione di bonifica: 300 mila metri cubi di terra vengono rimossi ed interrati dai bulldozer telecomandati insieme al materiale contaminato.


Entro sette mesi dall’esplosione, a novembre 1986, viene completato il cosiddetto “sarcofago” progettato dall’ingegnere Lev Bocharov, una struttura di contenimento fatta di 400 mila m³ di calcestruzzo e 7300 tonnellate di ferro.[17] Queste persone — pompieri, militari, riservisti, personale sanitario e volontari civili — che con ammirabile abnegazione lavorano alla messa in sicurezza del sito saranno in seguito chiamati “liquidatori” (ликвидаторы); status che avrebbe garantito loro, in cambio del sacrificio della propria vita, una medaglia, una paga per le ore di servizio ed una pensione anticipata che molti di loro non riusciranno comunque a raggiungere.

Centrale di Černobyl’ (CNPP), 1986: inizio della costruzione del cosiddetto "sarcofago".

17 – Inizio della costruzione del cosiddetto “sarcofago”, 1986.

Le conseguenze dell’incidente furono pesantissime: 65 le vittime dirette, più un numero di vittime presunte che va dalle quattromila persone stimate dal Chernobyl Forum[18] dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dell’ONU alle 30–60 mila stimate da un rapporto del Partito Verde Europeo,[19] fino alle centomila stimate da Greenpeace,[20] oltre ad un numero non precisato di malattie ed invalidità.[21] Lo stress dell’evacuazione forzata e lo sradicamento dalle proprie relazioni sociali, le paure per effetti sulla salute a lungo termine e l’emarginazione causarono depressione, disturbi psicosomatici e da stress post-traumatico, con conseguenti suicidi, alcolismo e uso di droghe.

A radioactive sign hangs on barbed wire outside a café in Pripyat.

18 – Filo spinato davanti al Cafè Pripyat’

Leningrad, Kursk, Smolensk, Ignalina: nonostante gli incidenti si susseguissero, nessuno di questi fu reso noto e nessuno si preoccupò di prendere misure adeguate per migliorare la sicurezza del reattore.

Di chi fu la responsabilità di tutto ciò? Le autorità sovietiche incolparono interamente il personale della centrale per salvare la faccia al Partito: nell’agosto del 1986 si tenne un processo-farsa a porte chiuse, per il quale la procura generale aveva già stabilito a tavolino le colpe e le pene dando precise istruzioni ai giudici.[22] Berezin viene incolpato di avere premuto troppo tardi il pulsante di scram, quando successive ricostruzioni dimostreranno l’inconsistenza di tale accusa. Il direttore Bryukhanov, l’ingegnere capo Fomin, il vicecapo ingegnere Dyatlov ed altri ritenuti responsabili furono condannati alla reclusione fino a dieci anni con lavori forzati; 67 persone furono licenziate e 27 espulse dal Partito Comunista. Considerato che nel sistema sovietico avrebbero potuto essere fucilati (se solo le autorità supreme avessero così disposto) andò loro abbastanza bene.

Iodio 131. Cesio. Spiegazioni da parte di altri scienziati che contestano ciò che hanno detto i primi; e sono furibondi e perplessi. Tutto questo, insieme a ciò che veicola le sostanze radioattive, per esempio la pioggia, ora ci scorre addosso.[1]Christa Wolf

Nonostante l’enorme mole di studi prodotti sull’incidente, ancora oggi non esiste una ricostruzione universalmente condivisa di ciò che accadde quella notte tra il 25 ed il 26 aprile del 1986. Sicuro è che le premesse per una catastrofe c’erano tutte: già nel febbraio del 1979, un rapporto segreto del KGB al Comitato Centrale riferiva che «alcuni cantieri di lavoro che stanno costruendo il blocco nº 2 della centrale di Černobyl’ lavorano senza alcun rispetto delle norme, delle tecnologie di montaggio e di costruzione definite.»[23] Il rapporto evidenzia elevati scarti (fino a 150 mm) nel montaggio degli elementi prefabbricati e una non corretta esecuzione dell’isolamento delle fondazioni: «Il danneggiamento dell’isolamento idraulico rende possibile un’inondazione della superficie della centrale in seguito alla risalita delle acque sotterranee e può anche portare a perdite radioattive nell’ambiente.» Inoltre, «le fabbriche di calcestruzzo operano senza alcuna regolarità, la loro produzione è di qualità scadente. La colata di calcestruzzo è stata più volte interrotta e ciò ha causato la comparsa di difetti…»[23]

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19 – Sezione del reattore RBMK-1000 negli elaborati progettuali della centrale di Černobyl’ (chornobyl.in.ua).

Oltre all’approssimazione con cui vennero condotti i lavori e alle importanti discrepanze dal progetto,[24] di per sé il reattore RBMK era stato sviluppato con criteri di economia e presentava problemi noti ai progettisti: il coefficiente di vuoto positivo ed il comportamento anti-intuitivo dato dai terminali in grafite delle barre di controllo erano i più eclatanti. Già nel 1975 si era verificato un incidente minore alla centrale di Leningrad (San Pietroburgo) dovuto a queste vulnerabilità. Solo un anno dopo, un incidente simile si verificò al reattore nº 1 di Černobyl’. Poi a Kursk, a Smolensk, nel 1983 ad Ignalina in Lituania. Nonostante gli incidenti si susseguissero, nessuno di questi fu reso noto e nessuno si preoccupò di prendere misure adeguate per migliorare la sicurezza del reattore. Prassi diffusa nell’Unione Sovietica era che i funzionari di ogni ente e livello, preoccupati dell’avanzamento di carriera nella nomenklatura più di ogni altra cosa, tacessero o mentissero sulle complicazioni per non indisporre i superiori. Le autorità centrali, da parte loro, erano più interessate alla propaganda che a inezie come la sicurezza di un reattore nucleare da 3,2 GW e non esitavano a loro volta a mentire per preservare l’immagine di invincibilità del comunismo: «probabilmente — scrive Pavel Nică, giornalista moldavo inviato a Černobyl’ nell’87 – raccontare bugie è una malattia da cui non è facile curarsi, oppure si guarisce solo raccontando altre bugie».[9] Come se ciò non bastasse, il paese soffriva di una cronica arretratezza tecnologica[25] che, anche quando ce ne fosse stata la volontà, rendeva difficoltosa la risoluzione dei problemi. Insomma, le cause del disastro sono forse da ricercare non tanto (o non solo) negli errori di procedura commessi dagli operatori, quanto invece nei problemi endemici di un regime che iniziava a mostrare i suoi limiti e che di lì a pochi anni, tra il 1990 ed il 1991, sarebbe collassato. A “scoppiare” quella notte non fu solo il reattore, ma anche l’intero sistema sovietico.

Note

  1. [1]Wolf, Christa Guasto — notizie di un giorno. Roma: Edizioni E/O , 1997. Pag. 34 e 47. ISBN 88-7641-308-1
  2. [2]Dette anche “barre di moderazione”: nell’articolo evitiamo questo termine per evitare confusione con il “moderatore” che ha funzione opposta.
  3. [3]Elemento con proprietà intermedie tra quelle dei metalli e dei non metalli.
  4. [4]AAVV The First Reactor Washington DC: U.S. Department of Energy, 1982. Pag. 14.
  5. [5]Wellock, Tom “Putting the Axe to the ‘Scram’ MythU.S.NRC Blog US Nuclear Regulatory Commission. 3 Mar. 2016. Web.
  6. [6]Fermi, Enrico “Experimental production of a divergent chain reaction“. 1951.
  7. [7]cfr. World Nuclear Association (op. cit.)
  8. [8]Il cosiddetto “controllore” o “dispacciatore”.
  9. [9]cfr. Nică (op. cit.)
  10. [10]SEU, Slightly Enriched Uranium.
  11. [11]Riferimento all’artemisia (Artemisia vulgaris), pianta erbacea molto comune nella zona
  12. [12]Altieri, pag. 45 (op. cit.)
  13. [13]Medvedev, pag. 52 (op. cit.)
  14. [14]WNA (op. cit.)
  15. [15]Lewins, pag. 20. (op. cit.)
  16. [16]in L’espresso nº 28 anno LIII, 19 luglio 2007, p. 107.
  17. [17]Ebel, Robert E.; Chernobyl and its aftermath: a chronology of events (1994 ed.). Washington D.C; CSIS. ISBN 978-0-89206-302-4.
  18. [18]Rapporto del Chernobyl Forum, incontro istituzionale promosso dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica tenutosi a Vienna tra il 2003 ed il 2005, cui parteciparono altre organizzazioni dell’ONU, Banca Mondiale, autorità della Russia, Bielorussia e Ucraina: “Chernobyl’s Legacy: Health, Environmental and Socio-Economic Impacts and Recommendations to the Governments of Belarus, the Russian Federation and Ukraine” (PDF), International Atomic Energy Agency, pp. 16-17.
  19. [19]Rapporto “TORCH” (PDF) ovvero The Other Report on Chernobyl.
  20. [20]Chernobyl, il costo umano di una catastrofe” (PDF) 2006.
  21. [21]L’incidenza di tumori alla tiroide ha avuto un’incremento drammatico nelle aree di Russia, Bielorussia ed Ucraina (curabili nel 90% dei casi), tuttavia ci sono discordanze sul numero di casi attribuibili all’incidente. Gli studi epidemiologici non hanno evidenziato fluttuazioni significative di altre patologie in conseguenza dell’incidente.
  22. [22]Nică, pag. 23 (op. cit.)
  23. [23]Dundovich, pag. 75–76 (op. cit.)
  24. [24]Nică, pag. 32 (op. cit.)
  25. [25]Dundovich, pag. 73 (op. cit.)

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. Archivio Vlaskin Ivan Ivanovich, © Pripyat.com.
  2. United States Department of Energy [PD] Commons.
  3. Annuale/Quark48, 2008 [CC-BY-SA 2.0] Commons.
  4. Yu. Yevsyukov, 1986, dal libro “Припятъ” (Pripyat) Kiev: ed. Mistectvo, 1986  (da chnpp.gov.ua)
  5. [PD] Commons.
  6. Bkleinf2, 2011, Idaho National Laboratory Arco [CC-BY-SA 3.0] Commons.
  7. © ChNPP Chernobyl Nuclear Power Plant (chnpp.gov.ua).
  8. calflier001, Set. 2013 [CC-BY-SA 2.0] Commons.
  9. 1986, Pripjat; dall’archivio dell’organizzazione dei liquidatori “Zemlyaki”.
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  11. Chernobyl Wiki [CC-BY-SA 3.0] Wikia.
  12. [PD] Commons.
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  14. U.S. Department of Energy.
  15. da un filmato dell’epoca, 1986.
  16. Chernobyl Wiki [CC-BY-SA 3.0] Wikia.
  17. Chernobyl Wiki [CC-BY-SA 3.0] Wikia.
  18. D. Markosian. One Day in the Life of Chernobyl, VOA News, 28-12-2011. [PD] Commons.
  19. ISTC “Ukritie”/chornobyl.in.ua.