
Eli Cohen nella sua residenza di Damasco nel 1963.
Ventiquattro gennaio 1964. Il sole è da poco tramontato oltre l’orizzonte e la città di Damasco si sta lentamente addormentando cullata dal silenzio e dall’oscurità, quando l’irruzione in uno degli appartamenti principali della capitale, di colpo fa crollare un velo di menzogne che getta nel panico il governo. Le truppe del Servizio di Sicurezza siriano entrano con brutale veemenza nella casa di Kamel Amin Tsa’abet, viceministro della difesa. L’uomo seduto alla sua scrivania non comprende subito la gravità della situazione. Conclude il messaggio che sta mandando dalla piccola trasmittente, prima di essere portato via con forza per essere arrestato. È la fine di una delle operazioni sotto copertura di maggior successo nella storia dello spionaggio israeliano: Kamel Amin Tsa’abet, l’uomo che con garbo e astuzia ha conquistato la fiducia del Presidente e dei generali a lui vicini, altri non è che Eliyahu Ben-Shaul Cohen (1924 – 1965), noto come Eli Cohen, spia del Mossad.

Eli Cohen con i leader siriani.
1 – Pinhas Lavon (1904 – 1976). La cattura di undici dei tredici terroristi mandò a monte i piani. Pur negando fino ai giorni nostri di aver avuto un qualsiasi coinvolgimento nell’operazione, fu da subito chiaro a tutti che c’era la mano di Israele dietro. Il ministro della difesa Lavon si assunse la responsabilità, in un disperato tentativo di salvaguardare le apparenze, e si dimise nello stesso anno senza lasciare ulteriori dichiarazioni. Eli Cohen, anch’esso catturato, venne rilasciato dopo poco tempo per mancanza di prove, rimanendo schedato dall’intelligence egiziana. Dopo essere stato espulso dall’Egitto, Eli, si recò in Israele cercando di essere precettato dal Mossad. L’agenzia, ancora sporca dell’onta del fallimento, non volle rischiare e pertanto evitò di prendere tra le proprie file coloro che presero parte all’Operazione Shosanna. Eli Cohen si trasferì a Tel Aviv, si sposò con l’immigrata irachena Nadia Majald, ebbe dei figli, trovò un lavoro statale e mise da parte le ambizioni da “007”. 2 – Eli Cohen con la sua famiglia a Tel Aviv. Poco tempo dopo, il Mossad bussò alla sua porta. Eli, nato ad Alessandria d’Egitto, era figlio di siriani originari di Aleppo e la Siria era da sempre un obiettivo importante. Hanno bisogno di lui per infiltrarlo. Cohen era perplesso, ormai aveva una famiglia e non voleva rischiare di mettere a repentaglio quel piccolo angolo di tranquillità che si era ritagliato. Rifiutò gentilmente l’offerta e chiuse la porta in faccia all’agenzia israeliana. Ma se sei così (s)fortunato da attirare le attenzioni di una delle potenze mondiali dello spionaggio, non puoi tirarti indietro: se il Mossad ti vuole, il Mossad ti avrà. Eli perse il lavoro e nessuno volle più assumerlo per motivi a lui ignoti. Senza soldi e con una famiglia a carico non poté far altro che accettare l’offerta che nuovamente gli venne posta, su un piatto d’argento. Venne istruito sul Corano, sulle leggi siriane, sulla cartografia, le trasmissioni radio e la crittografia; quindi gli fu esposto il piano d’azione: l’obiettivo ultimo era Damasco, ma per farlo dovrà dapprima passare per l’Argentina e unirsi alla ricca comunità di emigrati siriani. Nasce così Kamil Amin Tsa’abat, ricco nazionalista arabo in esilio, affabile e spendaccione imprenditore dell’import/export che sognava di tornare in patria.[1] Eli/Kamil entrò fin da subito nei “giri” giusti, fece amicizia con esuli nazisti che nel giro di poco tempo lo presentarono all’addetto militare dell’ambasciata siriana, membro del Ba’th, partito estremista panarabo per il quale ufficialmente parteggiava il signor Tsa’abat, attirandosi fin da subito le simpatie dei nuovi compagni. Nel 1960, dopo un breve soggiorno in Italia, arrivò a Damasco. 3 – Damasco negli anni ’60: piazza dei Martiri (Marjeh tér). La situazione prese una piega inaspettata quando, nel marzo del 1963, con il colpo di stato siriano il governo passò ufficialmente nelle mani del Ba’th, portando così al rientro di in patria di diversi esuli siriani che Kamil aveva avuto modo di conoscere in Argentina e che salirono immediatamente al potere. Tra loro spiccavano Salah ed-Din el-Bittar e il Generale El-Hafiz. La scalata ai più alti vertici, per Tsa’abit, avvenne immantinente e nel giro di pochissimo tempo divenne il numero tre del governo, diventando intimo amico del Presidente Hafiz; entrò nella cerchia ristretta e venne a conoscenza di informazioni top secret che passava regolarmente con dei dispacci criptati a Tel Aviv. Strategie, azioni, operazioni in procinto di essere attuate. Nel corso di quegli anni Israele conobbe in anticipo ogni mossa dell’avversario siriano senza che questi comprendesse di avere il nemico in casa. 4 – Eli Cohen (al centro) con due amici dell’esercito siriano sull’altopiano del Golan, al confine con Israele. «Per mimetizzare le postazioni si potrebbero piantare degli eucalipti» dirà mentre si trovava in visita sulle alture del Golan, una zona fortemente militarizzata ed interdetta al pubblico, assieme ad alti funzionari militari: eucalipti, che permetteranno all’aviazione israeliana di riconoscere le postazioni nascoste. Era riuscito ad avere inoltre informazioni su alcuni canali atti a deviare la corrente del Giordano da un industriale che si era in parte occupato del progetto. Un saudita, di nome Bin Laden, padre del ben più tristemente noto Osama. Alla fine del 1964, quando il potere di Kamil era ormai consolidato, iniziarono ad emergere alcune criticità. Il Direttorato generale dell’Intelligence di Damasco, si accorse di alcune trasmissioni non autorizzate che partivano proprio dalla capitale. Messaggi criptati, di chiara origine nemica, ma talmente rapidi e brevi nella lunghezza da rendere impossibile trovare la locazione esatta della trasmittente e scoprire così la spia che le manda. Il governo iniziava a mettersi in allerta, ma era ancora lontano il dubbio che potesse proprio essere uno di loro il traditore. Inoltre, la visita sulle alture del Golan era stata documentata da un giornale siriano per fini propagandistici, ma inaspettatamente attirò le attenzioni dell’Intelligence Egiziana che riconobbe nel viceministro della Difesa uno degli agenti ebrei, rilasciato per mancanza di prove nel 1954. A quel punto il domino accuratamente posizionato da Eli Cohen iniziò pezzo dopo pezzo a cadere: i Siriani, temendo di aver subito un’infiltrazione, chiesero aiuto agli eterni alleati, i Russi. Il KGB mandò immediatamente una squadra per bonificare la Capitale. I mezzi di Mosca riuscirono a captare l’origine della trasmissione sospetta: l’appartamento del viceministro della difesa Kamil Amin Tsa’abet. Arrestato, venne condotto in prigione, torturato, picchiato. Non cedette. La sua copertura non venne meno. Il presidente Hafez interrogò personalmente l’uomo, un tempo suo fidato amico. Non ci volle molto perché comprendesse che non poteva essere arabo e che lavorava per il nemico: gli ebrei. L’arresto generò scompiglio. Il Mossad violò la regola del silenzio prodigandosi subito a rivelare che si trattava di un loro agente, al fine di iniziare le trattative per uno scambio di prigionieri. Ma lo smacco era troppo grande per la Siria: non soltanto avevano un agente israeliano nel proprio territorio, ma era riuscito a convincere tutti della sua buona fede fino a raggiungere i vertici politici. Il paese era in subbuglio. La gente non si fidava più del governo: se lo era il viceministro della difesa, chiunque allora poteva essere un nemico. Le fondamenta del regime tremarono come scosse da un violento terremoto. Eli Cohen venne accusato dopo un processo sommario, un farsa atta a dare legittimità al verdetto: alto tradimento e condanna a morte per impiccagione. I governi occidentali si mobilitano. Si organizzarono manifestazioni e appelli al fine di cambiare la sorte e salvare l’agente; ma a nulla valsero le suppliche di Papa Paolo VI, del filosofo Bertrand Russel, di politici e diplomatici di tutto il mondo. Per il regime siriano non si poteva perdonare un atto così miserevole e il 18 maggio 1965 la sentenza ebbe luogo. Venne svegliato in piena notte, vestito di bianco, al collo un cartello con scritta la sentenza. Un processo “mediatico”: attorno al patibolo nella Piazza dei Martiri di Damasco, dove venne condotto, oltre alla folla, giornalisti e telecamere puntate. Il boia aiutò l’uomo a salire sullo sgabello, cinse il collo con il cappio e lo strinse con fermezza. 6 – Damasco: piazza Dei Martiri (Marjeh tér) come appare oggi. La vita dell’uomo che aveva messo nel sacco la Siria intera, finì in un boato sordo. Il corpo ciondolante ondeggiò nel silenzio della notte. La più grande operazione sotto copertura e la più grande sconfitta nello stesso momento. Eli Cohen diventò un eroe per Israele, piazze e vie vennero chiamate in suo onore. Il corpo non venne mai restituito. Inutili gli appelli del governo israeliano, l’ultimo dei quali da parte della vedova Nadia Majad che implorava il presidente Assad, facendo leva sugli aiuti che Israele ha dato nel corso della guerra civile che sta insanguinando la Siria. La risposta, «a tempo debito», ha lasciato nel cuore degli israeliani la porta aperta della speranza. 7 – Lapide commemorativa di Eli Cohen nel “Giardino dei Soldati Perduti” sul monte Herzl a Gerusalemme. Il suo sacrificio non fu però vano: nel corso dei due anni che seguirono la sua morte, gli israeliani riuscirono, grazie anche alle informazioni da lui rivelate nel corso degli anni come viceministro, a sconfiggere l’esercito siriano ottenendo la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, tanto che in arabo quel conflitto fu ricordato come al-Naksa (النكسة), “la sconfitta”.∎ 8 – Carri armati israeliani avanzano sull’altopiano del Golan nel giugno del 1967, durante la “Guerra dei Sei Giorni”.
L’epilogo
5 – Eli Cohen al suo processo.
Note
↩
Bibliografia
- Behn-Hanan, Eli Our man in Damascus: Eli Cohn. A.D.M Publishing House, 1969.
- Dan, Ben The spy from Israel. Vallentine Mitchell, 1969.
- Aldoouby, Zwy e Jerrold Ballinger The shattered silence: the Eli Cohen affair. 1971.
- Javits, Jacob “Superspy in a unholy war” in Life vol. 71 nº2, 9 luglio 1971. Pag. 17.
- Terry, Erica “Eli Cohen, Legendary Mossad Spy” in Jspace News. 19 luglio 2017. Web.
Immagini
- Marjeh tér (piazza Marjeh), Damasco, 1965. Foto: FORTEPAN / MZSL/Ofner Károly — ID 28417 (CC BY-SA 3.0/Commons)
- Jspacenews.
- Foto Theodore Brauner, 1951. National Photo Collection of Israel.
- Altopiano del Golan, tra il 1960 ed il 1965 (Commons).
- 1965, credit: AFP.
- 2008, © Vyacheslav Argenberg / http://www.vascoplanet.com/ (CC BY-SA 4.0)
- © Tamar Giordano, 2008 (Commons).
- 10 giugno 1967 – Government Press Office (Israel) – (CC BY-SA 4.0/Commons)

1 – Ronald Reagan in Piazza Rossa (Mosca) il 31 maggio 1988 stringe la mano ad un ragazzino: dietro di lui Mikhail Gorbachev. Secondo la leggenda l’uomo con la fotocamera all’estrema sinistra, apparentemente un turista, sarebbe il giovane Vladimir Putin, che all’epoca era già nel KGB. Il Cremlino ha però smentito che si tratti di Putin (cfr), anche se è comunque possibile che si trattasse di un agente del KGB.
Nel maggio 1987 l’auto che trasportava il segretario generale del partito comunista sovietico verso la Casa Bianca si fermò sulla Pennsylvania Avenue. Michail Sergeevič Gorbačëv scese dall’auto e iniziò a stringere le mani alla folla. Nell’incontro successivo tra Gorbačëv e Reagan, tenutosi a Mosca, fu invece il presidente americano ad aggirarsi liberamente tra la folla della Piazza Rossa. Quelle immagini così semplici, unite ai colloqui per gli accordi sulle riduzioni dell’arsenale atomico delle due potenze, ebbero il potere di far venire meno, in entrambe le popolazioni, la paura del grande nemico della guerra fredda. Tra i due leader si instaurò un rapporto di sincera stima e amicizia, tanto che Reagan da Gorbačëv aveva appreso un proverbio russo che amava ripetere ogni volta che s’incontravano: «doveryai, no proveryai»[1] ovvero «fidati, ma controlla». Al di là della battuta infatti gli Stati Uniti continuavano a temere e a controllare l’Unione Sovietica , e lo avrebbero fatto fino alla fine. In assenza del conflitto aperto tra le due potenze, gli scontri diretti nella guerra fredda si ebbero nella propaganda, nella corsa agli armamenti ed in quella allo spazio; in tutto questo, naturalmente, le due parti si spiavano a vicenda in continuazione e una parte consistente di questa attività si svolse nelle profondità dell’oceano. Fare in questa sede una storia generale di un conflitto durato oltre mezzo secolo, ed in particolare dello spionaggio, sarebbe impossibile: vi proponiamo invece alcuni aneddoti che ci hanno particolarmente colpito per l’involontaria comicità. Non va però dimenticato che la guerra fredda ha purtroppo comportato anche operazioni molto discutibili, come ad esempio quelle di tipo “stay-behind”[2] che nell’ambito della “strategia della tensione” colpirono anche ignari civili in diverse parti d’Europa; oppure la guerra in Vietnam e il colpo di stato di Pinochet. Lungi quindi dal voler fare un’apologia della guerra fredda, vogliamo invece raccontare semplicemente alcuni episodi di “storia insolita”.
Inseguimento sotto i mari

2 – Il USS Gudgeon (SS-567) negli anni ’70.
Nel 1957 il sottomarino diesel USS Gudgeon (SS-567) salpò dal porto giapponese di Yokosuka e si diresse nelle acque della base navale sovietica di Vladivostok, la più importante del Pacifico, per una missione di spionaggio. All’epoca i sovietici rivendicavano come limite delle acque territoriali le 12 miglia dalla costa ma il Gudgeon silenziosamente si inoltrò nelle acque russe, infrangendo anche il limite delle 3 miglia riconosciuto dagli U.S.A, posizionandosi ad intercettare ed ascoltare le comunicazioni militari. Ogni notte poi si allontanava di circa 20 miglia per azionare i motori diesel e lo snorkel[3] in modo da ricaricare le batterie ed effettuare il ricambio d’aria. Per giorni il sottomarino si mosse silenziosamente avanti e indietro nelle acque sovietiche, captando più informazioni possibili. Lunedì 19 agosto però, intorno alle 17, qualcosa andò storto e nel sottomarino risuonò l’allarme del “tutti ai posti di combattimento”: il Gudgeon era stato scoperto. Le navi sovietiche iniziarono a bombardare con il sonar il sottomarino americano, un modo per dire «sappiamo dove siete», mentre il capitano del sottomarino le provava tutte per scampare silenziosamente alla caccia. Il Gudgeon aveva però un grosso problema: le batterie erano ad un livello basso e l’aria iniziava ad essere viziata ma attivare i motori o lo snorkel avrebbe significato una facile individuazione. Tutta l’attrezzatura non strettamente necessaria fu spenta, mentre l’alto livello di anidride carbonica iniziava a provocare i primi malesseri all’equipaggio. I sommergibilisti americani stavano quindi imprecando contro Charlie Brown[4] quando i sovietici alzarono l’asticella della caccia: lanciarono delle piccole bombe di profondità volte a mettere maggiore pressione agli americani senza danneggiarli. Le misure di evasione messe in atto dagli americani sembravano essere vane, mentre l’equipaggio tentava disperatamente di ridurre il livello troppo alto di anidride carbonica. Quarantotto ore dopo la situazione era immutata e il Gudgeon tentò la manovra estrema: riemergere in superficie, attivare i motori e lo snorkel e lanciare l’S.O.S; nonappena il sottomarino emerse però le navi sovietiche gli furono addosso, costringendolo ad un rapida immersione. Il tentativo era fallito, l’aria introdotta non era sufficiente e l’SOS non era stato trasmesso. Fu allora che il capitano Bessac capì che non sarebbe mai riuscito a fuggire all’inseguimento, ma non per questo era intenzionato a farsi catturare: diede l’ordine di aprire tutti i portelli dei siluri, sapendo che i sovietici lo avrebbero udito,[5] e distribuì delle pistole agli ufficiali, mentre le spie a bordo si preparavano a distruggere tutti i documenti in caso di abbordaggio. Alla fine il Gudgeon emerse attivando immediatamente tutti e tre i rumorosi motori diesel e lo snorkel, un “S.O.S.” fu trasmesso in chiaro. Il capitano Bessac si diresse sul ponte insieme ad un ufficiale segnalatore e vide che gli inseguitori nel frattempo erano rimasti indietro e avevano anche ridotto la flotta a tre piccole navi. I sovietici trasmisero in codice Morse la richiesta d’identificazione: gli americani risposero chiedendo a loro volta ai sovietici di identificarsi. I russi risposero con «URSS» mentre gli americano ritrasmisero «USN. Stiamo andando in Giappone». I sovietici intimarono quindi al Gudgeon di rimettersi in rotta verso il Giappone e abbandonare le acque sovietiche. Aggiunsero però una cosa che divertì molto il segnalatore americano: «Grazie per l’esercitazione ASW[6]». La “sconfitta” del Gudgeon non piacque ai vertici della marina statunitense. L’ammiraglio Jerauld Wright incorniciò sulla porta del suo ufficio un particolare manifesto, in cui dichiarava che avrebbe donato una cassa di “Jack Daniels Old No. 7” al primo comandante che fosse riuscito a bloccare per sfinimento un sommergibile «non statunitense o non riconosciuto come amico». Nel maggio del 1959 la cassa di whiskey del Tennessee andò al capitano Theodore F. Davis, comandante del USS Grenadier (SS-525), che costrinse all’emersione un sottomarino sovietico nelle acque dell’Islanda.
Il “trucco” del K-3

3 – Il sottomarino nucleare K-3 Leninsky Komsomol
Nel 1962 la Marina sovietica subiva le continue pressioni del leader Chruščëv. Era infatti forte desiderio di Chruščëv che i sottomarini nucleari sovietici fossero in grado di lanciare missili balistici in immersione. Alla fine la Marina lo accontentò facendogli assistere al tanto sospirato lancio del missile da parte del K-3 Leninsky Komsomol, un sottomarino appena tornato da una prima e gloriosa attraversata del Polo Nord. Il leader sovietico ne fu talmente contento da assegnare una ricompensa per l’equipaggio, ignorando di essere stato in qualche modo ingannato con un trucco da illusionisti: la Marina sovietica non era ancora in grado di compiere un lancio simile con i sottomarini nucleari, ma pur di non deludere il leader i comandanti militari posizionarono un sottomarino diesel, classe “Golf”, accanto al K-3. Occultato alla vista di Chruščëv e nel pieno anonimato il sottomarino diesel effettuò un lancio impeccabile.
Il nemico ti ascolta
Nell’estate del 1971 il sottomarino USN Halibut (SSGN-587), riadattato per le missioni speciali grazie al particolare scafo con cui era stato progettato, ricevette una missione che sembrava folle: avrebbe navigato fino alle acque del Mare di Ohotsk, alla ricerca di un cavo telefonico sottomarino utilizzato dall’esercito sovietico. La missione fu un successo clamoroso e l’equipaggio dell’Halibut posò degli apparecchi atti ad intercettare le comunicazioni: era l’operazione “Ivy Bell”. I dispositivi, detti taps[7] però avevano bisogno di essere periodicamente sostituiti, per cui ci furono diverse missioni statunitensi con altri sottomarini per recuperare gli apparecchi. L’idea era così geniale che gli americani ripeterono con successo la missione nel Mare di Barents, al fine di spiare le comunicazioni della potente Flotta del Nord sovietica[8]. Nel Mediterraneo invece gli americani, sempre negli anni Settanta, trovarono un cavo telefonico ma non era quello che si aspettavano. Temendo infatti che i sovietici stessero posizionando una rete simile al SOSUS[9] inviarono diversi sottomarini, in diverse missioni, al fine di distruggerla, senza però riuscirci. Quando alla fine riuscirono ad avvicinarsi al cavo, scoprirono che non era altro che un cavo telefonico italiano abbandonato dai tempi della seconda guerra mondiale. Nel 1981 i sovietici, informati dal loro spionaggio, si recarono nelle acque del Mare di Ohotsk e recuperarono gli apparecchi di registrazione. Una volta aperti non ebbero dubbi su a chi appartenessero: all’interno vi era infatti la scritta «proprietà del governo degli Stati Uniti». A fornire l’informazione ai sovietici era stato un ex-sommergibilista americano, John A. Walker Jr che nel 1985 fu arrestato dall’FBI. L’inchiesta sconvolse gli americani: Walker aveva infatti fornito ai sovietici, in cambio di denaro, una marea di informazioni preziose tanto da aver azzerato il vantaggio statunitense. Gli americani per anni avevano impiegato non poche risorse umane e finanziarie in ricerca e sviluppo, rischiando anche la vita degli uomini a bordo dei sottomarini per ottenere tutte quelle informazioni sul nemico; ai sovietici invece era bastato un milione di dollari per avere un’efficientissima e insospettabile rete spionistica al proprio servizio.

4 – Uno dei dispositivi di intercettazione (“wire taps”) dell’operazione “Ivy Bell”.
E adesso qualcosa di estremamente difficile e completamente inutile

5 – Il sottomarino sovietico K-129.
Il K-129, un sottomarino sovietico classe “Golf II” (629A per i sovietici), alimentato da motori diesel ed armato di missili balistici con testata nucleare, salpò dalla Kamčatka nel febbraio del 1968 per una missione di pattugliamento nel Pacifico. Ad aprile però le comunicazioni dal sottomarino cessarono di colpo, senza che al Comando avessero idea di cosa fosse successo e di dove cercarlo. I sovietici avviarono senza successo una missione di ricerca in lungo e in largo. Gli americani, venuti a conoscenza della notizia, inviarono in missione il sottomarino Halibut che riuscì nell’impresa di individuare i resti del sottomarino sovietico, adagiati a cinquemila metri di profondità circa 2770 chilometri a nord-ovest delle Hawaii. L’intelligence americana una volta venuta in possesso delle foto del relitto decise per una missione impossibile: tentare di recuperare per intero il sottomarino. A quanto pare la U.S. Navy avanzò non pochi dubbi sulla fattibilità e utilità del progetto, i sottomarini Golf II erano di fatto obsoleti, ma la CIA insistette per il recupero, dando così vita al progetto AZORIAN (Azzorre).

6 – La Glomar Explorer di Hughes in un’illustrazione tratta dal fascicolo segreto della NSA sul “Project Azorian”.
All’eccentrico miliardario Howard Hughes, la cui figura ha ispirato a Martin Scorsese il film The Aviator (2004), fu commissionata una nave per il recupero: la USNS Glomar Explorer. Per camuffare il vero scopo della nave fu inventata la storia che Hughes intendeva entrare nel mercato dei noduli di manganese e che il tutto era ricoperto dalla massima segretezza per via delle note tendenze paranoidi di Hughes. Quando nel 1974 la nave fu pronta per la missione il primo tentativo si rilevò un completo fallimento. Il K-129, pesante cinquemila tonnellate, era ancora a 3600 metri di profondità quando tre delle grandi pinze della Glomar Explorer cedettero: il relitto si schiantò nuovamente sul fondale sgretolandosi. Fu quindi recuperato solo un pezzo dello scafo, privo di interesse per l’intelligence, in cui furono ritrovati i corpi di sei marinai sovietici. Nel mentre erano in corso i preparativi per un secondo tentativo di recupero, la stampa americana aveva pubblicato in prima pagina alcune rivelazioni sul progetto anche se col nome di “Progetto Jennifer”. I vertici statunitensi tentarono di calmare le acque e nascondere il secondo tentativo in atto. Curiosamente, le autorità sovietiche stavano freneticamente inviando messaggi agli americani pregandoli di tenere nascosta la notizia: per loro infatti era fonte di non poco imbarazzo aver perso il sottomarino, con le famiglie delle vittime che erano ancora in attesa di sapere il destino occorso ai lori parenti. Se poi aggiungiamo che gli americani erano riusciti non solo a trovarlo prima dei russi, ma lo stavano anche recuperando e che, a maggior onta, l’intelligence sovietica avrebbe appreso il tutto dai giornali americani,[10] si può comprendere quanto la questione fosse scottante per Mosca. L’amministrazione americana si trincerò dietro un “no comment” e annullò qualsiasi nuovo tentativo di recupero. La Glomar Explorer rimase inutilizzata per anni fino a quando, nel 1990, fu acquistata da una compagnia petrolifera e riadattata all’esplorazione di idrocarburi e alla trivellazione. Si stima che il progetto AZORIAN sia costato tra i 350 e i 500 milioni di dollari dell’epoca[11] Ai sei marinai sovietici fu data sepoltura in mare con cerimonia ufficiale a bordo della Glomar Explorer; il video della cerimonia fu poi consegnato al presidente russo Boris Eltsin nel 1992. La televisione russa trasmise quelle immagini,[12] e non fu poca la commozione tra i parenti delle vittime nel vedere come il “grande nemico” avesse trattato con tanto rispetto i loro caduti.

7 – La gigantesca Glomar Explorer al porto di Long Beach nel 1976, due anni dopo il tentativo di recupero del K-129.
Storie di fantasmi

8 – La spia russa Anna Chapman, vero nome Anna Vasil’yevna Kushchyenko, al momento dell’arresto (giugno 2010).
Per cinquant’anni Stati Uniti e Unione Sovietica si erano fronteggiati nel timore che “l’altro” avesse in mente di sferrare il primo attacco. Questo sforzo “bellico” però ad un certo punto divenne insostenibile per l’Unione Sovietica e a nulla valse il programma di riforme avanzato da Gorbačëv: il 26 Dicembre del 1991 l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche cessava di esistere. Certi vizi però sono duri a morire. Nel 2010 l’FBI portò a termine l’operazione “Ghost Stories” arrestando 10 spie russe sotto copertura sul territorio americano. Obiettivo degli agenti russi era tentare di identificare amici e conoscenti vulnerabili e cooptare persone che avrebbero potuto ricoprire ruoli di potere o influenza. Questa tattica, nota come “Cambridge Five”, era stata usata con successo negli anni Trenta in Gran Bretagna, per la precisione all’Università di Cambridge, e permise di reclutare la famosa spia Kim Philby. L’operazione “Ghost Stories” ha anche ispirato la concezione della serie televisiva The Americans, che è stata però ambientata durante la guerra fredda[13]. L’Unione Sovietica non esiste più, la guerra fredda sarà anche acqua passata ma la sfida tra i servizi segreti statunitensi e quelli russi va avanti: il punteggio della partita ci resta però ignoto. ∎
New York, 6 maggio 2010: la (ora ex) spia russa Anna Chapman viene incontrata in uno Starbucks di Manhattan da un agente dell’FBI sotto copertura che si finge un “collega”. Lei accetta un passaporto falso da inoltrare ad un’altra spia, ed in questo modo viene “incastrata” dall’FBI. Arrestata insieme ad altri nove agenti russi, viene espulsa dagli Stati Uniti. Ora è una celebre modella in Russia. (FBI/Youtube)
2011: la ex-spia in un servizio fotografico a Mosca (© Andrey Rudakov/Bloomberg).
The Fletcher Memorial Home, Pink Floyd (dall’album The Final Cut
, 1983).
Note
- [1]In cirillico: Доверяй, но проверяй.↩
- [2]In Italia faceva parte di questa tipologia l’Organizzazione Gladio.↩
- [3]Lo snorkel è fondamentalmente un tubo retrattile necessario al ricambio d’aria.↩
- [4]Nomignolo affibbiato dai marinai americani ai sovietici.↩
- [5]L’idrofono, strumento indispensabile nella guerra sottomarina, consentiva di riconoscere l’apertura del vano siluri intercettandone il rumore prodotto e propagato attraverso l’acqua. Identificare questo suono significava sapere che un sottomarino si preparava a sparare e quindi guadagnare secondi preziosi per adottare eventuali contromisure. Per contro i sottomarini, sapendo di essere uditi, spesso aprivano i vani di lancio solo per lanciare un “avvertimento” ed esercitare una pressione psicologica sugli avversari, pur correndo il rischio di scatenare una reazione aggressiva.↩
- [6]ASW: Anti-Submarine warfare.↩
- [7]Da wire tapping, termine che indica l’intercettazione di comunicazioni via cavo.↩
- [8]La rinomata “Flotta del Nord Bandiera Rossa” (Red Banner Northern Fleet), così ribattezzata in seguito al conferimento della prestigiosa onoreficenza militare dell’Ordine della Bandiera Rossa.↩
- [9]Sound Surveillance System, ovvero un sistema di sorveglianza per l’intercettazione di sottomarini.↩
- [10]In realtà alcuni agenti sovietici avevano avvertito i propri superiori del progetto in atto senza però essere creduti.↩
- [11]Più o meno tra i 700 milioni e il miliardo di dollari attuali (2014).↩
- [12]Il filmato è visionabile su Youtbe.↩
- [13]La serie è ambientata negli anni Ottanta subito dopo l’elezione di Reagan alla presidenza.↩
Bibliografia e fonti
- Sontag, Sherry, Christopher Drew. Immersione rapida. La storia segreta dello spionaggio sottomarino
. Milano: Il Saggiatore, 2010.
- CIA/NSA. “Project Azorian Released Files 01-04-2010.” The National Security Archive. George Washington University, 10 Apr. 2010. Web. 8-6-2014.
- “Project AZORIAN.” Central Intelligence Agency. 21 Nov. 2012. Web. 8-7-2014.
- “Ghost Stories. Inside the Russian Spy Case.” Federal Bureau of Investigation, 31 Ott. 2011. Web. 8-7-2014.
- “When Putin met Reagan.” Iconic Photos. Web. 8-7-2014.
Immagini
- Pete Souza, 31-5-1988 [PD] Commons/Iconic Photos;
- US Navy Ric Hedman TN(SS) [PD] Commons;
- data e autore sconosciuti [PD] Commons;
- (probabilmente) foto della Marina militare sovietica, data e autore sconosciuti;
- CIA, c.a 1968 [PD] CIA Museum Collection;
- da Project Azorian Released Files 01-04-2010, pag. 21. (cit.);
- Tequask, 13-6-1976, Long Beach [CC-BY-SA 3.0] Commons;
- U.S. Marshal Service, giugno 2010 [PD] Commons.
Si può dimenticare la Sicilia. Sappiamo che è in Grecia. Alfred Jodl, capo di stato maggiore della Wehrmacht
Correva l’anno 1943 e mentre nel resto d’Europa infuriava la seconda guerra mondiale la penisola iberica si godeva la sua neutralità. La mattina del 30 aprile alcuni pescatori, nelle acque del golfo di Cadice, recuperarono il cadavere di un militare straniero e lo misero a disposizione dell’autorità portuale della località spagnola di Huelva. L’uomo indossava l’uniforme da ufficiale della Royal Navy, un giubbotto di salvataggio della Royal Air Force e portava una grossa borsa contenente diversi documenti, tra cui alcuni top secret diretti agli alti comandi inglesi del Mediterraneo. Le autorità spagnole videro tra i documenti, che risultavano appartenere a William Martin, prove di uno scalo effettuato a Gibilterra e dedussero che l’ufficiale era a bordo di un qualche aereo precipitato. La borsa e tutti i documenti furono consegnati ad un agente dei servizi segreti nazisti mentre il corpo fu restituito al vice-console inglese a Huelva. Il vice-console protestò con le autorità spagnole per ottenere la borsa che fu infine restituita il 13 maggio ma le buste, apparentemente intatte, erano state aperte e il contenuto visionato. Il regime nazista era così entrato in possesso di documenti di notevole importanza, da cui si evinceva che gli alleati stavano fingendo di organizzare uno sbarco in Sicilia per coprire la vera intenzione di sbarcare in Grecia e, a tal fine, le truppe erano già in viaggio verso l’Egitto per aggregarsi alle forze inglesi in Medio Oriente. Queste informazioni confermavano le previsioni di Hitler su un’offensiva alleata nei Balcani. Dall’altra parte i servizi segreti inglesi una volta riottenuti i documenti esaminarono le buste e, appurandone la violazione, inviarono a Churchill, che in quel momento era a Washington, il messaggio in codice «mincemeat swallowed, rod, line and sinker» ovvero, «carne trita inghiottita con canna, lenza e piombino»: evidente (e rischioso[1]) riferimento alla metafora del pesce che abbocca all’amo. I nazisti erano così caduti in pieno nella “operazione Mincemeat” (carne trita) orchestrata dal servizio segreto di Sua Maestà per confondere i tedeschi: non esisteva infatti né il maggiore Martin né il suo aereo, dato che il corpo era stato lanciato in mare dal sottomarino HMS Seraph a poche miglia da Huelva e i documenti erano dei falsi prodott ad hoc. Il corpo apparteneva in realtà al povero Glyndwr Michael, un senzatetto di 34 anni morto dopo aver ingerito del veleno per topi: questo tipo di avvelenamento aveva come conseguenza il rigonfiamento dei polmoni come nei casi di annegamento, il che fruttò al giovane clochard l’opportunità di diventare un eroe. Il corpo di Glyndwr fu conservato per tre mesi in una cella frigorifera prima di essere ribattezzato William Martin ed arruolato nei Royal Marines.

Foto di “Pam”, presunta fidanzata del maggiore Martin, ritrovata tra i suoi effetti personali: è in realtà un agente del MI5.

Bollettino dei caduti della Royal Navy sul Times: alla voce “Royal Marines” compare il maggiore W. Martin.
Oltre all’uniforme con i gradi da maggiore, gli inglesi si preoccuparono di mettergli addosso tutta una serie di dettagli per costruire la sua identità, tra cui: la foto della futura sposa Pam, la fattura dell’anello di fidanzamento, un sollecito bancario per uno scoperto di 80 sterline sul conto e alcune lettere personali tra cui quella del padre che lo rimproverava di aver deciso di sposarsi a guerra in corso. In aggiunta a quest’operazione gli inglesi misero in atto un intenso traffico radio falso, una pubblica operazione diplomatica in Turchia per convincerla ad entrare in guerra al fianco degli alleati, e per completare il quadro un bel necrologio di tale «T/Capt. (A/Major)[2] W. Martin» sul The Times del 4 giugno 1943 (a destra). Gli inglesi ottennero l’effetto desiderato: sette divisioni tedesche furono spostate dalla Sicilia alla Grecia, mentre altre due furono spostate in Sardegna e Corsica considerate anch’esse probabili punti di sbarco. La ridistribuzione delle forze tedesche e le scarse e male armate forze italiane rendevano la Sicilia praticamente indifesa.

Generale Alfredo Guzzoni.
A differenza degli alti comandi tedeschi, quelli italiani erano invece certi che l’obiettivo dello sbarco alleato fosse la Sicilia e ne era convinto anche il generale Alfredo Guzzoni nominato il 20 Maggio 1943 comandante della VI Armata dislocata sull’isola. Guzzoni si era in realtà congedato nel 1941, dopo la fallimentare offensiva contro la Grecia, ma la penuria di comandanti affidabili fece si che fosse richiamato in servizio. Guzzoni si rese presto conto che la situazione delle difese sull’isola era disastrosa: nessun sistema antisbarco nei punti vulnerabili, truppe male armate, male addestrate e con il morale basso. In teoria Guzzoni aveva anche il comando sulle truppe tedesche rimaste schierate nell’isola ma di fatto il comando effettivo era nelle mani di Kesselring con il quale le divergenze d’opinioni erano molteplici. La divergenza principale era sui possibili punti di sbarco: Guzzoni aveva intuito, per diverse ragioni, che lo sbarco sarebbe avvenuto nella zona sud-est dell’isola e avrebbe voluto concentrare lì le truppe mentre Kesselring era dell’opinione di dislocarle per tutta la Sicilia in modo da coprire il territorio e così fece. Che gli alleati fossero interessati alla Sicilia iniziava a essere evidente dai tentativi di impadronirsi dell’isola di Pantelleria, importante non solo per essere a metà strada tra la Tunisia e la Sicilia ma anche per ospitare diverse batterie costiere e contraeree, più una base dell’aviazione. Dopo tre settimane di bombardamenti, l’11 giugno gli alleati conquistarono Pantelleria. Il comandante delle forze armate sull’isola, l’ammiraglio Pavesi, adducendo come motivazione l’assoluta mancanza d’acqua si arrese senza sparare un colpo; gli alleati registrarono così solo un ferito, colpito duramente però da un mulo, e fecero prigionieri 11 399 militari. L’attacco e la resa di Pantelleria allarmarono Hitler, che solo allora iniziò a temere che il prossimo sbarco sarebbe avvenuto in Sicilia. Mussolini, presagendo lo sbarco, il 24 giugno fece un discorso in cui esclamò: «Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare, sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del bagnasciuga, la linea della sabbia dove l’acqua finisce e comincia la terra». In realtà quella linea della spiaggia si chiama battigia mentre il bagnasciuga indica la linea di galleggiamento delle navi, o “linea di fior d’acqua”: a quel discorso è dovuto il comune ed errato utilizzo del termine bagnasciuga che perdura tutt’oggi.

Winston Churchill a Londra,
il 4 giugno del 1943.

5 – Operazione Husky: la 51a Divisione dell’esercito britannico sbarca a Licata il 10 luglio del 1943 (foto: Lt. C.H. Parnall, 1943, Imperial War Museum).
Hitler non imparò nulla
da questa storia. L’anno successivo, un altro piano di intelligence fece credere alle forze dell’Asse che gli Alleati avrebbero invaso l’Europa sbarcando in Norvegia ed a Calais, quando in realtà, il 6 giugno del 1944, sarebbero sbarcati invece in Normandia: era l’operazione “Fortitude”. I Nazisti ci cascarono di nuovo.
Note
- [1]in caso di intercettazione del messaggio, una frase così esplicita avrebbe potuto suggerire l’inganno ai nazisti↩
- [2]T/Capt. (A/Major): Temporary Captain (Acting Major), ovvero un 1st Lieutenant (tenente) ricoprente — per sopravvenute esigenze — il grado temporaneo di Capitano e cui sono assegnate funzioni di Maggiore, di fatto un grado intermedio tra i due. Verbalmente ci si riferisce ad un Acting- con il solo grado superiore, quindi in questo caso semplicemente Major. (cfr.)↩
Bibliografia e fonti
- Rocca, Gianni. L’Italia invasa, 1943-1945. 1. ed. Milano: Mondadori, 1998.
- “Historian claims to have finally identified wartime ‘Man Who Never Was’.” The Telegraph. Telegraph Media Group, 3 Gen. 2010. Web.
- Del Vecchio, Paola. “Storia e segreti – Il barbone che beffò Hitler.” Il Secolo XIX. 2 Feb. 2010. Web.
- “Operation Mincemeat part 1/2.”LiveLeak.com. 14 Ott. 2011. Web.
- “Operation Mincemeat.” BBC. 2 Dic. 2010.

1 – Richard Sorge
A differenza dell’immaginario spionistico creato dai romanzi di Ian Fleming, in questa storia di spie non ci sono raffinate degustazioni alcooliche, marchingegni fenomenali e combattimenti corpo a corpo contro i “cattivi” per sventare i loro piani: le armi fondamentali e decisive sono le informazioni. La seconda guerra mondiale ha infatti mostrato come il lavoro dell’intelligence nel sottrarre informazioni dal nemico e nel fornirgli informazioni false abbia un’importanza ormai pari a quella delle forze armate schierate sul campo di battaglia. Recuperare informazioni per conto dell’Unione Sovietica era il compito di Richard Sorge (1895-1944), cittadino tedesco nato a Bakù, nell’allora Repubblica sovietica dell’Azerbaigian, da padre tedesco e madre russa. Sorge era sia un giornalista corrispondente da Tokyo per il Frankfurter Zeitung, sia una spia al servizio del NKVD (la polizia segreta di Stalin). I tedeschi non nutrivano su Sorge alcun sospetto; grazie infatti ad un suo rapporto su un tentativo di colpo di stato da parte delle forze armate nipponiche nel 1936 il Ministero della Guerra (“Reichskriegsministerium”) lo considerava uomo fidato, inoltre riuscì prima a stabilire un rapporto di amicizia con il rappresentate della Gestapo all’ambasciata tedesca e successivamente vide un suo grande amico, Eugen Ott, esser nominato proprio ambasciatore in Giappone. La Tokko (la polizia segreta nipponica) fece invece alcune indagini su di lui senza scoprire nulla. Il complice principale di Sorge fu il radiotelegrafista Max Clausen; era Clausen materialmente a inviare i messaggi cifrati a Mosca, in cui ogni tanto erano contenuti degli errori di ortografia che in realtà erano voluti e studiati in base ad una precisa tabella e servivano ad autenticare l’identità del mittente. Grazie alla sua rete di relazioni Sorge trasmise ai primi di Maggio del 1941 il seguente messaggio: «La Germania attaccherà la Russia il 20 Giugno. Alla frontiera sono attestate 170-190 divisioni tedesche, tutte motorizzate e dotate di mezzi corazzati. L’offensiva verrà scatenata sull’intero fronte e i principali attacchi saranno diretti contro Mosca e Leningrado». Questa comunicazione era un’informazione straordinaria che lasciò di stucco l’NKVD a Mosca perché l’Unione Sovietica, nell’agosto del 1939, aveva stipulato un patto di “non aggressione” con la Germania nazista; nel messaggio invece si parlava di un imminente attacco e questo lasciò increduli sia i servizi segreti sovietici sia Stalin. La risposta di Mosca alla sua spia fu quindi «Dubitiamo dell’attendibilità della vostra informazione» ma si dovettero ricredere quando il 22 Giugno 1941 i nazisti diedero il via all’Operazione Barbarossa, invadendo l’Unione Sovietica con un attacco su vasta scala che aveva come direttrici Mosca, Leningrado e l’Ucraina. Nel Novembre del 1941 la situazione per i sovietici era disperata con l’armata tedesca a soli 25 chilometri dal centro di Mosca. In una situazione così delicata per i sovietici l’aiuto arrivò proprio da Sorge che trasmise al NKVD un altro fondamentale messaggio: «Il Giappone non intende in nessun caso venir meno al suo patto di non aggressione con l’Unione Sovietica[1] I piani strategici del Giappone prevedono espansione nel Pacifico meridionale e nient’altro. Pertanto l’Unione Sovietica può sentirsi garantita in Estremo Oriente contro un attacco giapponese in Siberia. Non sussiste alcun dubbio al riguardo». Ancora un volta però Stalin dubitava dell’attendibilità della notizia, anche se ci sperava vivamente, finché non giunse un’ulteriore conferma da un’altra spia sovietica: Kim Philby. Philby era un cittadino britannico dal 1936 al servizio del NKVD. Nel 1940 Philby riuscì a entrare nel servizio dell’intelligence britannico facendo così il doppio gioco;[2] poiché i britannici erano riusciti a intercettare tutti i messaggi diretti a Berlino egli li rigirava successivamente a Mosca. Tra i messaggi intercettati c’era anche quello dell’ambasciatore Eugen Ott che informava Berlino della volontà dei nipponici di scatenare una grossa offensiva nel Pacifico, il che escludeva l’azione militare in Siberia, e questo convinse definitivamente Stalin a spostare le truppe dalla Siberia sul fronte occidentale. La carriera da “007” di Sorge era però al capolinea, il 18 Ottobre del 1941 fu arrestato, insieme a Clausen, dalla Tokko che il giorno primo aveva fermato l’amante di Sorge, Ishii Hanako, trovandole in casa un’ingente somma in dollari di cui la donna non aveva saputo spiegar la provenienza. L’ambasciatore Ott inviò anche una protesta ufficiale alle autorità giapponesi ma fu poi messo a conoscenza della doppia vita del suo amico. L’Unione Sovietica smentì qualsiasi collegamento con Sorge e abbandonò la sua preziosa spia ad un triste destino; dopo un processo a porte chiuse Sorge fu infatti impiccato il 7 Novembre 1944. Max Clausen invece sopravvisse alla prigionia e alla fine della guerra si trasferì nella Repubblica Democratica Tedesca. Sia Sorge sia Clausen però avevano fatto in tempo ad informare Stalin delle intenzioni giapponesi; lo “zar rosso” convocò il generale Zukov, il 19 Novembre 1941, per chiedergli cosa occorresse per la difesa della capitale; il generale, abbastanza sfiduciato, disse «due armate e 200 carri armati» e Stalin, con grande sorpresa del generale, gli promise che avrebbe ricevuto rinforzi. Il 05 Dicembre 1941 le forze armate sovietiche, forti dei rinforzi arrivati dalla Siberia, passarono al contrattacco respingendo i tedeschi e salvando così Mosca dalla conquista e imprimendo una svolta decisiva al conflitto. Il ruolo di Sorge fu taciuto per anni in Unione Sovietica per non offuscare il culto di Stalin come unico salvatore della patria e fu nascosta al resto del mondo perché il Giappone non divulgò i risultati dell’indagine e del processo. Nel 1964 però Sorge fu insignito, alla memoria, del titolo onorario di Eroe dell’Unione Sovietica e la sua impresa fu resa nota (è citata anche all’interno dello story-manga La storia dei tre Adolf di Osami Tezuka). Operazioni di intelligence di questo tipo, con tutti i suoi diversi aspetti e tutte le sue diverse conseguenze, fanno decisamente meritare ai servizi segreti la fama di armata “insolita e crudele”.

2 – Francobollo commemorativo dedicato al Dr. Richard Sorge, emesso dalla Republica Democratica Tedesca nel 1976. Il “foglietto” riporta a sinistra la raffigurazione della medaglia all’ordine di “Eroe dell’Unione Sovietica” (“Held der Sowjetunion”), una delle più importanti onoreficenze dell’ex-URRS, conferitagli nel 1964.
Nota
- [1]Stalin, sul modello del patto Molotv – Ribbentropp, stipulò un analogo patto di non aggressione con il Giappone nell’Aprile del 1941.↩
- [2]Nel 1963 pose fine al suo doppio ruolo trasferendosi a Mosca.↩
Bibliografia
- Erik Durschmied, Eroi per caso, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2004
- Zepponi, C. “Vita e misteri di Richard Sorge: il giornalista, la spia, il comunista.” InStoria – Rivista online di storia ed informazione. N° 12, Dic. 2008 (XLIII): InStoria. Web. 19-05-2013.
Immagini
- 1940, Bundesarchiv [CC-BY-SA-3.0] Bild 183-1985-1003-020
- Deutsche Post (DDR), emissione 3 febbraio 1976 (Commons)