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tatoo, decorazione pittorica corporale permanente, anche la tecnica utilizzata per realizzarla; per similitudine anche decorazioni sulla pelle delebili (es. “tatuaggio temporaneo”, “tatuaggio all’henné”) che imita il tatuaggio vero e proprio, anche se realizzate con tecniche molto diverse.

Attestata in italiano dal 1836 la parola italiana tatuaggio deriva dal francese tatouage, a sua volta derivato del verbo tatouer  che compare per la prima volta nell’edizione francese dei diari del primo viaggio dell’esploratore britannico James Cook (1728 – 1779), Voyage dans l’hémisfère austral et autour de monde (1778). A sua volta, traduzione dall’inglese tattow (poi diventato tattoo o tatoo) attribuito allo stesso Cook che arrivato a Tahiti nel 1768 rilevava l’uso di effettuare decorazioni corporali. Il termine usato da Cook derivava dal nome nelle lingue polinesiane locali di queste decorazioni; dette appunto tau tau in polinesiano,[1] tatau in taitiano e samoano,[2] tatu in marchesiano. Probabilmente di origine onomatopeica: ricordava infatti il rumore prodotto dal picchiettare del legno sull’ago utilizzato per marcare la pelle.

I tatuaggi eseguiti per mezzo di puntura e pigmento colorante erano noti e praticati anche Europa da molto prima dei viaggi di Cook, ma chiamati con termini diversi a seconda del contesto, del tipo di decorazione o della funzione. Ad esempio presso gli antichi romani erano chiamati stigmae e nel VI secolo stigmate.[3] Nel medioevo in Italia i tatuaggi  assunsero vari nomi regionali come marca, marconzito, segno, devozione,[4] in particolare in riferimento ai tatuaggi religiosi fatti dai pellegrini cristiani; a Loreto gli ambulanti che facevano i tatuaggi devozionali erano detti “marcatori”.[5]


  1. [1]CNRTL (op. cit.)
  2. [2]Douglas Harper, (op. cit.)
  3. [3]i tatuaggi nell’antica Roma” in Romano Impero.
  4. [4]Di Paolo, M. C. e S. Fiume “Il Tatuaggio” in Rassegna Penitenziaria e Criminologica, nº 1-3 1989, pag. 115.
  5. [5]Mezzolani, R. “Tatuaggi sacri e tatuaggi profani: la storia dei marcatori di Loreto” in Destinazione Marche, 02/12/2014. Web.
  • tatuaggio” in Vocabolario online. Treccani. Web.
  • tatuaggio” in Il Sabatini Coletti. Corriere della Sera. Web.
  • tatuaggio” in Il Nuovo De Mauro. L’internazionale. Web.
  • tatouer” in Ortolang. Centre National de Ressources Textuelles et Lexicales (CNRTL). Web.
  • tatto” in Online Etymology Dictionary. Douglas Harper. Web.

Foto: Gabriel Nunes on Unsplash

marshmallow, caramella gommosa e spugnosa a base di zucchero e sciroppo di mais, che può essere arrostita sul fuoco (foto sopra). Neologismo coniato da Franco Cavallone, incaricato della traduzione del fumetto Peanuts di Charles Monroe Schulz per Milano Libri, che pubblicò per la prima volta il fumetto in Italia nel 1963: non esistendo un corrispettivo in italiano –per non usare l’inglese– scelse di tradurre marshmallow con una parola di fantasìa, “toffoletta”. Nel fumetto infatti, il bracchetto Snoopy ed il piccolo uccello giallo Woodstock sono soliti arrostire i marshmallow sul fuoco del campeggio, usanza tipicamente nordamericana. Il termine “toffoletta” fu poi utilizzato nell’edizione italiana del romanzo La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl (1964) sancendone così la diffusione al di fuori dei Peanuts:

«Mr Willy Wonka can make marshmallows that taste of violets, and rich caramels that change colour every ten seconds as you suck them, and little feathery sweets that melt away deliciously the moment you put them between your lips

― Roald Dahl, Charlie and the Chocolate Factory

«Willy Wonka sa fare le toffolette al gusto di violetta, succulente caramelle che cambiano colore ogni dieci secondi mentre le mangi, bon-bon leggeri come piume che si sciolgono deliziosamente non appena li metti in bocca.»

— traduz. italiana di R. Duranti


Se “toffoletta” come traduzione di marshmallow può essere considerato un neologismo, esisteva però già il cognome veneto “Toffoletto”, variante di “Toffolo” (attestato sin dal 1626 a Gemona, Friuli–Venezia Giulia) che deriva probabilmente da una forma abbreviata di “Cristoforo”.

In alto: un marshmallow arrostito (Evan-Amos/Commons).