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1 – Il centro di Lake Placid nel febbraio del 1980.

Lake Placid è una località sui monti Adirondack, nello stato di New York e al confine con il Canada, che ha ospitato per due volte le Olimpiadi invernali di cui la prima nel 1932 (la III Olimpiade) e la seconda nel 1980 (la XIII Olimpiade). Nella memoria collettiva statunitense, e più in generale nella memoria collettiva dell’hockey sul ghiaccio, fu l’edizione del 1980 a lasciare un segno indelebile.

Relativamente all’hockey su ghiaccio, poiché all’Olimpiade non potevano partecipare i professionisti, gli Stati Uniti si presentarono al via del torneo olimpico con una squadra composta dai migliori giocatori universitari mentre l’Unione Sovietica, non avendo ufficialmente un campionato professionistico ma solo amatoriale, metteva in campo i suoi migliori atleti.  I sovietici inoltre facevano giocare i loro campioni tutto l’anno e nella stessa squadra di club, il che portava ad una perfetta condizione fisica ed ad un gioco di squadra praticamente a memoria. L’URSS si era aggiudicata sempre la medaglia d’oro a partire dalle Olimpiadi di Cortina d’Ampezzo del 1956, con l’eccezione del 1960 in cui gli Stati Uniti avevano vinto il loro unico oro olimpico nell’hockey. I favori del pronostico erano quindi tutti per i sovietici.

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2 – Bandiere olimpiche alla cerimonia di apertura (o chiusura?) delle olimpiadi invernali 1980 a Lake Placid.

L’allenatore americano Herb Brooks non si diede per vinto in partenza, nonostante il divario tecnico e i pochi mesi di lavoro a disposizione e optò per un duro lavoro di preparazione. Brooks era un allenatore noto nell’ambiente universitario per aver condotto tre volte alla vittoria del campionato NCAA[1]i Golden Gophers, dell’Università del Minnesota, negli anni settanta. Consapevole della supremazia sovietica e dei limiti americani Brooks non si limitò a chiedere il tutto per tutto ai suoi atleti: pretese di più e non poneva fine all’allenamento finché i giocatori non erano letteralmente esausti. L’allenatore americano fece disputare anche un tour europeo di preparazione per far abituare i giocatori al campo internazionale che era più largo di quello utilizzato negli Stati Uniti. Durante il tour europeo il team USA pareggiò una partita contro la Norvegia che costò l’ira di Brooks tanto che costrinse i suoi, subito dopo la fine della partita e per quarantacinque minuti, a fare una serie di esercizi di pattinaggio, i cosiddetti bag-skate, che i giocatori detestavano e che dopo quella occasione ribattezzarono “Herbies”. L’allenatore li minacciò che ne avrebbero fatti altri se avessero perso la successiva partita in programma il giorno dopo sempre contro la Norvegia: finì 8 a 0 per gli americani. Brooks fece disputare alla sua squadra in tutto sessantatré partite prima delle Olimpiadi tra cui una, tenutasi il 9 febbraio 1980, contro i sovietici che sconfissero gli americani con un secco 10 a 3. Il duro allenamento diede però i suoi frutti: all’esordio il 12 febbraio contro la Svezia, favorita per una medaglia, gli americani strapparono, a 27 secondi dalla fine, il pareggio per 2 a 2 con un empty-net[2]. Nella partita successiva contro la Cecoslovacchia gli americani si imposero per 7 a 3, stupendo tutti in quanto la squadra cecoslovacca era considerata una probabile finalista. Gli USA sconfissero successivamente la Norvegia per 5 a 1, la Romania per 8 a 2 e infine la Germania Ovest per 4 a 2 qualificandosi così alla fase successiva. Il torneo Olimpico del 1980 prevedeva infatti il cosiddetto “girone delle medaglie” al quale si qualificarono USA, URSS, Svezia e Finlandia. L’URSS nel frattempo aveva vinto tutte le partite sconfiggendo Giappone (16-0), Olanda (17-4), Polonia (8-1), Finlandia (4-2) e Canada (6-4). Nel pomeriggio del 22 febbraio del 1980, all’Olympic Fieldhouse di Lake Placid, in un’atmosfera patriottica resa ancora più infervorata dalla guerra fredda si sarebbero trovate di fronte USA e URSS. Non era una partita normale, per molti non era solo sport, erano due blocchi e due mondi che si affrontavano e si sfidavano. L’URSS aveva da poco iniziato l’invasione dell’Afghanistan e gli USA avevano minacciato di boicottare l’Olimpiade estiva in programma a Mosca se i sovietici non avessero ritirato i loro carri armati. Chiunque avesse vinto la sfida di Lake Placid ne avrebbe sicuramente tratto spunto per la propaganda. I media nazionali americani però snobbarono l’evento, probabilmente per via dell’orario pomeridiano, tanto che l’ABC registrò la partita in diretta ma la trasmise in differita durante la prima serata. Prima della partita Brooks tenne un discorso[3] per motivare la squadra, dicendo tra le altre cose che era il loro momento e che erano nati per essere dei giocatori. Disse anche che era come Davide contro Golia per cui sperava si ricordassero di portare le fionde. Poi venne il momento di scendere in campo.

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3 – La partita USA-URSS di hockey su ghiaccio, il 22 febbraio del 1980 all’Olympic Fieldhouse di Lake Placid (NY).

I sovietici passarono una prima volta in vantaggio nel primo periodo grazie ad una rete di Krutov a cui seguì il pareggio di Schneider. Makarov riportò in vantaggio l’URSS ma, grazie ad un tiro non trattenuto dal portiere sovietico Tretiak, Mark Johnson riportò il punteggio sul 2 a 2 ad un secondo dalla fine del periodo. A questo punto il grande allenatore sovietico Viktor Tikhonov prese una decisione che lasciò tutti di stucco e che anni dopo definì lo sbaglio più grosso che abbia mai fatto: sostituì Tretiak con il portiere di riserva Myshkin. Lo stupore generale era dovuto al fatto che Vladislav Tretiak non è “un” portiere di hockey ma “il” portiere di hockey ed è universalmente considerato uno dei portieri più forti, se non il più forte, di sempre. Nel secondo periodo i sovietici si riportarono di nuovo in vantaggio grazie a Maltsev che siglò il temporaneo 3 a 2. Nel terzo tempo Johnson riportò il punteggio sul 3 a 3 e poi grazie al capitano Mike Eruzione gli USA passarono in vantaggio, a 10 minuti dalla fine, per 4 a 3. I sovietici le tentarono tutte ma il portiere americano Jim Craig, in evidente stato di grazia, bloccò qualsiasi cosa. L’Olympic Fieldhouse si trasformò in una bolgia assordante con tutti gli spettatori che incitavano con il coro «U-S-A! U-S-A!», che tra l’altro sembrerebbe sia stato coniato proprio in questa circostanza, la squadra alla vittoria. Il telecronista dell’ABC Al Michaels iniziò a contare i secondi che mancavano alla fine ed entrò nella storia del giornalismo sportivo esclamando:

Undici secondi, vi restano dieci secondi, stanno contando alla rovescia in questo momento… Morrow passa a Silk, restano cinque secondi di gioco! Credete nei miracoli? SI![4]
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4 – La copertina di Sports Illustrated del 3 marzo 1980, senza titoli.

Era accaduto l’impossibile: i sovietici erano stati sconfitti. Herb Brooks subito dopo la fine della partita si ritirò di corsa nello spogliatoio e pianse; i giocatori dopo aver lasciato il campo iniziarono a cantare “God Bless America”. Il 3 marzo 1980 la celebre rivista Sports Illustrated uscì con in copertina la foto dell’esultanza finale del team USA ma senza alcun titolo; il fotografo Heinz Kluetmeier dichiarò: «Non ne aveva bisogno, tutti in America sapevano quello che era successo». La telecronaca di Michaels fece sì che la vittoria fu ribattezzata “Miracolo sul Ghiaccio”. In effetti non è un’esagerazione: come altro si può definire una partita vinta da venti studenti universitari contro una delle squadre più forti di sempre? Per tentare un paragone calcistico è come se nel 1982 a sconfiggere il Brasile di Falcao, Zico e Socrates anziché l’Italia di Bearzot fosse stata una formazione composta da atleti scelti nei vari CUS (Centro Universitario Sportivo). Fu una vittoria talmente incredibile che spinse una generazione di bambini americani a praticare l’hockey su ghiaccio. Anni dopo quando gli Stati Uniti vinsero la Coppa del Mondo di hockey del 1996, quasi tutti gli atleti di quella squadra indicarono nel Miracolo sul ghiaccio ciò che li aveva ispirati a giocare. Ancora oggi molti confondono la partita contro i sovietici con la finale olimpica, invece non fu così: tutte le squadre erano ancora in lizza per la medaglia d’oro e fu solo grazie alla partita successiva, giocata due giorni dopo contro la Finlandia e vinta per 4 a 2 che gli Stati Uniti si aggiudicarono l’oro olimpico.

Alcuni componenti della squadra statunitense tra cui Ken Morrow, Jim Craig e Mark Johnson continuarono la carriera nella NHL; Morrow vinse quattro Stanley Cup con i New York Islanders; Johnson successivamente approdò in Italia giocando tra le file dell’Hockey Club Milano. Anche l’allenatore Herb Brooks continuò la carriera nella NHL per poi tornare alla guida del team USA alle Olimpiadi nel 2002 dove conquistò l’argento; è purtroppo scomparso nel 2003 in seguito ad un incidente stradale[5]. L’International Ice Hockey Federation (IIHF) in occasione delle celebrazioni del centenario dalla fondazione (1908-2008) ha ufficialmente proclamato il Miracolo sul ghiaccio il più importante evento di hockey internazionale del secolo. La rivista Sports Illustrated premiò il team come “Sportsmen of the Year” nel 1980 mentre nel 1999 proclamò l’impresa come “Top Spots Moment of the 20th Century”. Per quanto riguarda invece i sovietici ebbero la loro rivincita nelle edizioni successive conquistando l’oro nelle edizioni di Sarajevo (1984), Calgary (1988)[6] e Albertville (1992); a quest’ultima Olimpiade, essendosi l’URSS nel frattempo dissolta, gli atleti parteciparono come Squadra Unificata e utilizzarono come bandiera quella olimpica. Sempre all’interno delle celebrazioni della IIHF del 2008 fu proclamato un All-Star Team del centerario di cui quattro giocatori su sei erano nel team sovietico del 1980: Vladislav Tretiak, Vyacheslav Fetisov, Valeri Kharlamov e Sergei Makarov[7]. Tretiak è stato inoltre il primo atleta sovietico ad essere inserito, nel 1989, nella Hockey Hall of Fame ed è stato scelto come ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Sochi 2014[8].

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5 – Salt Lake City, olimpiadi invernali 2002: la squadra del Miracle on Ice del 1980 accende la fiamma olimpica.

L’onore di accendere il “sacro fuoco di Olimpia” è toccato anche ai giocatori americani del 1980. Alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City[9], nel 2002, diversi tedofori corsero fino al braciere olimpico con la divisa bianca del CIO ma fu la squadra del Miracolo sul Ghiaccio, che indossava la maglia del 1980, ad accenderlo[10]. Curiosamente ad apparire prima da solo con la fiaccola fu Mike Eruzione che ha poi chiamato a sé gli altri compagni proprio come fece durante la premiazione di Lake Placid, dove infranse parzialmente il protocollo olimpico invitando tutti sul podio alla fine dell’inno nazionale. Nel 2004 Hollywood celebrò l’impresa della squadra statunitense a Lake Placid con il film Miracle, diretto da Gavin O’Connor e con Kurt Russel nel ruolo di Herb Brooks.[11] In precedenza era già uscito nel 1981 un Film-TV sull’impresa dal nome Miracle on Ice. Fu così che, un lontano pomeriggio del 1980, venti studenti universitari dimostrarono al mondo che nessun sogno nello sport è impossibile, a patto di crederci e di impegnarsi con tutte le proprie forze.

Dopo l’edizione di Lake Placid gli Stati Uniti non hanno più vinto l’oro olimpico. I russi non vincono l’oro dal 1992. Alle Olimpiadi di Sochi l’oro è andato al Canada mentre russi e americani sono rimasti fuori dal podio.

Ringraziamenti

Desidero ringraziare Francisco Genre per l’informazione sulla militanza milanese di Johnson e insieme a lui gli appassionati di hockey che aspettavano questo articolo e che spero di non aver deluso. Desidero inoltre dedicare l’articolo, è la prima volta me lo si conceda, alla mia famiglia e ai miei amici con l’augurio che, quale che sia la sfida impossibile che si trovino davanti, possano sempre uscirne vittoriosi.

Note

  1. [1]La National Collegiate Athletic Association è l’organizzazione sportiva delle Università americane i cui tornei hanno un grandissimo seguito.
  2. [2]Per empty-net si intende quando il portiere viene sostituito per un giocatore di movimento. Questa mossa nell’hockey viene spesso utilizzata nei secondi finali di una partita per tentare, grazie al giocatore in più, di pareggiare il risultato.
  3. [3]Il discorso fu poi letto da Brooks ai giornalisti dopo la partita.
  4. [4]Il video originale dei secondi finali della telecronaca è disponibile su Youtube.
  5. [5]Nel 2006 il suo nome è stato inserito nella Hockey Hall of Fame
  6. [6]In questa edizione erano ancora presenti alcuni “reduci” del1980.
  7. [7]Gli altri due giocatori nominati sono lo svedese Borje Salming e, manco a dirlo, Wayne Gretzky.
  8. [8]Insieme alla pattinatrice Irina Rodnina.
  9. [9]La stessa Olimpiade in cui Brooks tornò alla guida della selezione americana.
  10. [10]La cerimonia olimpica di Salt Lake City è visionabile su Youtube
  11. [11]Nei titoli di coda compare la dedica alla sua memoria: «Non ha mai visto il film. Lo ha vissuto».

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. Dr. John Kelley (NOAA/NOS/CSDL), feb. 1980 [PD] NOAA Photo Library, wea03131;
  2. Dr. John Kelley (NOAA/NOS/CSDL), feb. 1980 [PD] NOAA Photo Library, wea03201;
  3. Dr. John Kelley (NOAA/NOS/CSDL), 22 feb. 1980 [PD] NOAA Photo Library, wea03180;
  4. © Heinz Kluetmeier/Sport Illustrated, fair use via en.wikipedia;
  5. Journalist 1st Class Preston Keres, 8 feb. 2002 [PD] U.S. Navy, 020208-N-3995K-001;
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Alessio Lisi

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Tarantino di nascita e pavese di adozione. Il resto è coperto dal segreto di stato dell'isola di Laputa.