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detto di pattern, specialmente su tessuto, che imita (più o meno realisticamente) le macchie del leopardo; è utilizzato sia come aggettivo (es. “abito leopardato”) sia in forma sostantivata (es. “il leopardato”). Il lemma è composto dal sostantivo leopardo, nome comune del felino Panthera pardus di cui il pattern leopardato imita il manto fulvo costellato da macchie (rosette), con il suffisso -ato che in questo caso indica la somiglianza con il referente del sostantivo di base (il leopardo, appunto) come in ambrato, vellutato e simili.

Il leopardato appartiene alla categoria dei motivi cosiddetti animalier, ossia che riproducono il manto di animali (come tigrato, pezzato, zebrato, giraffato, pitonato e simili). È generalmente ottenuto a stampa e nella versione più realistica, il motivo leopardato imita la pelliccia dell’animale ed è costituto da macchie scure irregolari, disposte a rosette su uno sfondo sfumato che sfuma dal rossiccio, al crema, al bianco. Tuttavia, viene anche declinato in versioni meno realistiche, con macchie dalle forme stilizzate e colori fantasiosi.

1 – vestito a classica stampa leopardata “realistica”.

2 – tessuti a stampa leopardata con macchie stilizzate e colori fantasiosi.


Storia

Un vestito leopardato è raffigurato indosso alla principessa Nefertiabet, “la bella d’Oriente”, figlia del faraone Cheope, sulla sua stele funeraria (oggi conservata al Louvre) già 2566 a.C. Il significato del motivo leopardato è molto cambiato con i tempi: inizialmente era indice di fierezza, forza e resistenza: «Penso che le persone sentano una connessione primordiale con le macchie [del leopardo]» scrive Jo Weldon nel suo libro Fierce: The History of Leopard Print (2018). Nel XVIII e XIX secolo era invece simbolo di ricchezza, di agiatezza, quindi di potere economico. Poi, nel XX secolo arrivarono le moderne tecniche di stampa, la produzione di massa e il leopardato entrò nella cultura pop: nel 1947 Christian Dior fu il primo ad utilizzare la stampa leopardata in una propria linea di moda. Il leopardo è considerato, nell’immaginario collettivo, irresistibile e pericoloso, fiero e ribelle, sofisticato e sexy: e queste caratteristiche vengono trasposte alla persona che ne indossa le tipiche “macchie”.

Stele funeraria di Nefertiabet: la principessa è raffigurata con indosso un abito leopardato (2566 a.C.)


Con la diffusione della stampa leopardata nell’abbigliamento a basso costo, verso la fine del XX secolo il motivo divenne abusato e di conseguenza spesso associato ad un gusto pacchiano e sciatto; ma nel XXI secolo è stato rivalutato: indossato da celebrità come l’artista Beyoncé, la ex first lady Michelle Obama, la direttrice di Vogue Anna Wintour (personaggi che nessuno si sognerebbe di definire provinciali), il leopardato si è un po’ affrancato da quella fama di motivo “cafone”. Come scrive la Weldon, infatti, il leopardato è di per sé “neutro”: come per molte altre cose, il significato dipende dall’interpretazione che gli si vuole dare.

 


Immagini

  1. Foto di Adina Voicu da Pixabay
  2. Foto di Ulrike Mai da Pixabay
  3. Einsamer Schütze, Louvre 2006 [CC BY-SA 3.0]

detto anche panno lenci o semplicemente lenci; stoffa non tessuta costituita da feltro di lana di pecora cardata o pelo di capra mohair, più recentemente anche di fibre di poliestrere mediante procedimenti industriali. Commercializzato in svariati colori, è simile al feltro ma più morbido, leggero e sottile (massimo 1 — 1,5 mm, oltre è detto “feltro”). In quanto “non tessuto”, privo quindi di trama ed ordito, come il feltro non tende a sfilacciarsi al taglio e non necessita quindi di orli o cuciture di finitura.

Il nome pannolenci deriva dal composto di panno (pur non essendo il pannolenci tecnicamente un panno, essendo non tessuto) e “Lenci”, nome dell’azienda torinese che per prima produsse nel 1919 questo materiale, derivato dal perfezionamento del feltro Borsalino e destinato alla confezione di bambole. A sua volte il nome Lenci, registrato a Torino nello stesso anno come marchio di fabbrica, era sia acronimo del motto dell’azienda «LUDUS EST NOBIS CONSTANTER INDUSTRIA», sia il soprannome di Helen König (da Helenchen, dininutivo di Helen), artista autrice delle prime bambole Lenci e moglie del fondatore Enrico Scavini.
bambola Lenci al museo del giocattolo di Bad Lauterberg im Harz

Bambola Lenci, museo del giocattolo di Bad Lauterberg im Harz (2).



Immagini:

  1. foto copertina: _Alicja_/Pixabay
  2. bambola Lenci: foto Pierre Grandziel, ProMediaTeam Ltd. [CC BY-SA 3.0] Commons
dal francese pied-de-poule (attestato dal 1936 [1]) che significa “zampa di gallina” è un tipo di tessuto a navetta e (per estensione) il nome del motivo geometrico ottenuto dalla filatura che ricorda piccole zampe di gallina (da cui il nome). Il motivo è formato dall’intreccio di quattro fili chiari e quattro scuri (o comunque colori contrastanti), intrecciati a navetta in saia tipo batavia (2.2). Il motivo vive ormai di vita propria rispetto al tessuto da cui nasce, essendo anche riprodotto a stampa su qualsiasi materiale (ad esempio su carta da parati).
intreccio del pied-de-poule

Intreccio del pied-de-poule


Storia

Il tessuto nacque nel XIX secolo in Scozia, era noto come houndstooth (dente di cane) o sheperd’s check (quadrettato del pastore): realizzato in origine su panno di lana intrecciata ed utilizzato per l’abbigliamento dei pastori, il suo uso si estese gradualmente fino a diventare agli inizi del ‘900 simbolo di eleganza presso le classi benestanti. Divenuto negli anni 1930 un tessuto alla moda per l’alta società (risale a questo periodo il nome francese), simbolo di stile e raffinatezza, venne anzi consacrato dopo la seconda guerra mondiale da Christian Dior, che rilanciò nel dopoguerra la moda parigina ridandole rilievo e prestigio internazionale. Dior scelse il motivo a pied-de-poule per il packaging del profumo “Miss Dior”, forse la sua fragranza più celebre, e di nuovo nel 1956 per il profumo “Diorissimo”.
Bottiglia di colonia Diorissimo di Christiane Dior.

Bottiglia di colonia Diorissimo di Christiane Dior.


Negli anni ’60 arrivò la optical-art, la cui attenzione si rivolge alle illusioni ottiche ai contrasti bianco-nero, e il pied-de-poule sembrava ideale per questa nuova tendenza. Nel frattempo il disegno, in origine solo rigorosamente bianco e nero, viene declinato anche in altri colori come il marrone, il grigio o il blu. Agli inizi degli anni ’90, mentre il grunge lanciava il tartan, ci fu una nuova ondata di pied-de-poule nelle produzioni di Chanel, Louis Vuitton, Emporio Armani e Moschino. In seguito verrà periodicamente riproposto, sia come revival di mode passate sia rivisitato con colori fancy e accostamenti fantasiosi.

Varianti

  • doppio pied-de-poule: realizzato in tre colori e di dimensioni maggiori, realizzato con batavia da 6.
  • pied-de-cocq (piede di gallo): stesso molto simile al pied-de-poule, ma con disegni più grandi.

  1. [1]Merriam-Webster
(anche taffetta) tessuto di seta pregiato, liscio e brillante; in passato anche cerotto, nastro adesivo o erroneamente tela. Taffetà deriva in italiano, attraverso il latino medievale taffata,[1] dal persiano tâftah, participio passato del verbo tâftah «torcere, intrecciare, tessere»,[2] propriamente “tessuto”. Anticamente detto anche tafettàtaffettano, taffetano o tafettano. Oggi il termine taffetà è utilizzato anche genericamente per tessuti di filo continuo in armatura tela.[3]

Il tessuto taffetà è leggerissimo, caratterizzato da una armatura a tela e da densità di ordito superiore a quella di trama, dall’aspetto lucido e uniforme. ll taffetà fu particolarmente in voga durante il XVIII secolo per confezionare abiti raffinati e fruscianti, secondo il gusto rococò dell’epoca. In origine costituito esclusivamente da filati di seta, oggi anche da fibre sintetiche (fibre poliamidiche, poliesteri, raion) anche con effetto “stropicciato” (crinkle, solitamente in poliestere) il tessuto taffetà è usato specialmente per arredi, tendaggi, foderami e confezioni femminili. È possibile ottenere un aspetto iridescente usando in trama e in ordito filati di colori diversi.

Madame de Pompadour con abito in taffetà, ritratto

Madame de Pompadour con un prezioso abito in taffetà, ritratto del pittore François Boucher (1756).


Il taffetà è ritornato, e il surà e la faglia. Per il pomeriggio gonna e giacchetta di taffetà nero con cravattone nero e rosa, di quel tenue pallore rosato che va verso il lilla…

La rivista illustrata del Popolo d’Italia, 1934.

A Napoli esisteva la corporazione dei taffetanari, commercianti di taffetà e stoffe pregiate. La chiesa di San Biagio ai Taffettanari venne fondata nel XVI secolo come cappella dei mercanti di tessuti che risiedevano nella zona.

Tipi di uso comune nell’Ottocento

Già nel XIX secolo erano disponibili diverse varietà di questo tessuto, soprattutto in relazione all’area di produzione. Di seguito le principali denominazioni merceologiche e caratteristiche delle qualità di taffetà in uso all’epoca, registrate e descritte da un manuale commerciale del 1850:[4]

  • nero: pregiato, caratterizzato unicamente dal colore nero, può essere “alto” (più spesso) o “basso” (più sottile), lucido o opaco, più o meno resistente. I taffetà neri venivano classificati in base al numero delle “portate” ossia i dei fili dell’ordito.[5]
  • di Spagna: se ne producevano due tipi:
    • nero: lucido e solitamente spesso (ma talvolta anche sottile con la stessa qualità), ma più leggero e meno resistente del precedente;
    • azzurro: sottile, ma con la stessa qualità del nero.
  • d’Inghilterra: a dispetto del nome era tipicamente prodotto invece a Lione; molto resistente, utilizzato solitamente per foderami, arredi e tendaggi. Era prodotto in vari colori, anche rigato.
  • d’Italia o di Firenze: era una delle qualità più mediocri; sottile e prodotto in vari colori era utilizzato quasi esclusivamente per foderami. Tuttavia alcuni taffetà italiani erano di qualità «distintissime, pari alle lionesi».[4]
  • mezzo-Firenze: era una variante ancora più economica e grossolana del taffetà fiorentino.
  • d’Avignone: di vari colori, leggerissimo e ancora più sottile di quello di Firenze.
  • ermisino: tipo economico e di bassa qualità; di vari colori.
  • mezzo-ermisino: tipo ancor più economico dell’ermisino.
  • delle Indie: erano i taffetà fabbricati nelle cosiddette Indie orientali, caratterizzati da una grande varietà di colori, finitura e fantasie: lisci ed operati, rigati in oro, damascati, a fiori ecc… Tuttavia erano di qualità mediocre e fatti con poca seta: «in questi taffetà non vi è nulla di particolare fuorché la perfezione della mano d’opera.»[4]
  • della Cina: quelli prodotti in Cina e paesi asiatici, erano disponibili in una grande quantità di grammature e colori, compreso l’oro, anche a fantasie rigate o fiorate (taffetà chiné). In generale, essendovi in cina una grande produzione e commercio di taffetà «essendo questa stoffa di seta di generale uso», vi era anche «una svariata cognizione di tutte le diverse qualità di questa stoffa».[4]

Taffetà chiné

La denominazione taffetà chiné nel XIX secolo si riferiva ad un taffetà decorato con motivi a stampa, con la tecnica detta “chiné”: i motivi, spesso floreali, erano stampati sui fili di ordito prima della tessitura: ciò conferiva un caratteristico aspetto “sfocato”.[6]

Vestito di raso e di taffetà chiné in armoniche gradazioni di colore.

La Fantasia: giornale illustrato di mode e ricami – Volume 1 – Pagina 43 (1866)

Il termine chiné è un vocabolo francese che significa “della Cina”. Oggi il termine chiné si riferisce a tessuti di vario tipo (es: “velluto chiné”) che riproducono l’effetto di questa stampa o semplicemente utilizzano fili variamente colorati in matassa.

Taffetà adesivo

Anticamente, in farmacia, il taffetà era un filo finissimo impregnato di materie glutinose o vessicatorie[2] da applicare sulla pelle a scopo terapeutico. L’espressione taffetà cerato o taffetà adesivo indicava una sorta di cerotto, costituito appunto da tessuto taffetà rivestito di uno strato di cera:

  …il taffetà cerato (taffetas ceratus), che è taffetà coperto di uno strato di cera che si adopra come tegumento imperspirabile nelle neuralgie e nella miosite réumatica…

Cantani, Arnaldo Manuale di farmacologia clinica, 1855. Pag. 548

…a mezzo di cordoncino di seta o di taffetà adesivo assicurò ai bordi della ferita, cui appose una medicatura di Lister.

Annali universali di medicina e chirurgia, 1875. Pag. 259

Da qui, per estensione o similitudine, taffetà o taffetà adesivo per “cerotto” o “nastro adesivo” (oggi poco usato in questa accezione).

In altre lingue

La maggior parte delle voci nelle altre lingue deriva dall’italiano o dal latino, direttamente o indirettamente attraverso il francese.

  • azero: tafta.
  • bretone: taftas.
  • ceco: taft.
  • danese: taft.
  • estone: taft.
  • euskara (basco): tafeta.
  • francese: taffetas, dall’italiano o latino medievale.[1]
  • giapponese: タフタ (tafuta).
  • inglese: taffeta, taffety, taffata, dal francese antico taffetas (XIV sec.) a sua volta dall’italiano o latino medievale.:
    • crinkle taffeta: effetto stropicciato;
    • paper taffeta: molto sottile;[7]
    • velvet taffeta:
  • lituano: tafta.
  • neerlandese: taf, taft, taffet, taffetas o tafzijde.
  • norvegese: taft.
  • polacco: taft.
  • portoghese: tafetá.
  • russo: тафта (tafta), dall’italiano e/o francese.
  • spagnolo: tafetán, dall’italiano o catalano.[8]
  • svedese: taft.
  • tedesco: (der) Taft, (der) Taffet; esistono poi denominazioni specifiche per le varie tipologie, es:
    • Taftbroché: con disegni simili al broccato;
    • Taftchangeant: con trama e ordito di colori diversi che danno un effetto cangiante;
    • Taftchiffon: qualità molto leggera, simile allo chiffon;
    • Taftchiné: taffetà chiné, con stampa sull’ordito;
    • Taftécossais: a quadretti grandi;
    • Taftfaconné: con motivo a piccoli disegni operati (façonné[3][9]);
    • Taftfaille: a finitura fine;
    • Taftglacé: a finitura lucida, glacée (ghiacciata);
    • Taftimprimé: stampato;
    • Taftmoiré: con effetto moiré (marezzato[10]) ossia con effetto chiaro/scuro cangiante;
    • Taftquadrillé, con motivo quadrillé ossia a quadretti piccoli;
    • Taftrayé: con motivo raie ossia a righe;
    • Tafttoilé: trasperente, effetto velo;
    • Tafttravers: a righe incrociate;
    • Wachstaft: taffetà cerato, taffetà adesivo (cerotto).
  • turco: tafta, dal persiano.[11]

 


  1. [7]Douglas Harper (op. cit.)
  2. [2]Pianigiani, (op. cit.)
  3. [3]Glossario delle fibre tessili. Girofil, 28 Dic 2017. Web.
  4. [4]Stucchi (op. cit.)
  5. [5]Capalbo, Cinzia “Seta e moda. Dalla filiera della seta alla produzione tessile” nota 4, pag. 68.
  6. [6]Glossario” in Abiti Antichi. Web.
  7. [7]Shaeffer C. Claire Shaeffer’s fabric sewing guide, Cincinnati: Krause Publications. 2008. Pag. 246.
  8. [8]Diccionario de la lengua española.
  9. [9]Dizionario della Moda: F in Trama e ordito, 2010. Web.
  10. [10]Dizionario della Moda: M in Trama e ordito, 2010. Web.
  11. [11]Hasan Eren, Türk Dilinin Etimolojik Sözlüğü, Ankara 1999; pag 391.
  • Pianigiani, Ottorino “taffetàVocabolario Etimologico della Lingua Italiana, 1907. <etimo.it>
  • Stucchi, Adone Nuovo trattato teorico-pratico di corrispondenza commerciale… Pagg. 468-470.
  • taffettà” in Vocabolario online. Treccani. Web.
  • taffeta” in Online Etymology Dictionary. Douglas Harper. Web.

Foto in alto: tessuto taffetà (Unsplash).