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nel linguaggio politico: accordo nascosto, intrigo maldestramente orchestrato, intrallazzo; anche pasticcio, accordo confuso, poco chiaro e che dà quindi adito a speculazioni.

Nell’uso politico, il termine è attestato dall’autunno del 1990, quando si parlò di inciucio in riferimento al timore, da parte della base, di accordi occulti ai vertici tra correnti interne al PCI durante il processo politico che porterà, dopo la “svolta della Bolognina” (12 novembre 1989), allo scioglimento del Partito Comunista Italiano e alla sua confluenza nel Partito Democratico della Sinistra (3 febbraio 1991).

Serpeggia la paura dell’«inciucio», come dicono qui in romanesco. Il pateracchio, la pastetta al vertice. «Non vorrei che sotto sotto qualcuno si mettesse d’accordo»…

La Stampa 29 settembre 1990[1]

In seguito (1995 c.a) fu utilizzato per indicare accordi “non ufficiali” tra esponenti di partiti di correnti opposte:

D’Alema lo chiama “l’inciucio“, alla romana.

la Repubblica, 29 ottobre 1995[2]

La voce era già quindi presente in romanesco, originariamente con il significato di “chiacchiericcio”, “pettegolezzo”:

ROMA Un altro che non molla la città. […] È lì, fra il teatro e gli uffici, le carte, il caffè, l’inciucio al telefono, le passate di cerone al trucco.

la Repubblica, 12 agosto 1990.[3]

La voce deriva tuttavia dal napoletano o’nciucio (oppure ‘ngiucio) che è il pettegolezzo: sia quando innocuo discorrere di fatti e persone che pratica sociale comune, sia quando maldicenza che sobilla e mette zizzania; in seguito per traslazione di significato anche “intrigo nacosto”, “imbroglio”. L’origine è onomatopeica e richiama il suono del chiacchiericcio sottovoce, che ricorda un sottomesso “ciù–ciù”.[4]

Foto sopra: Walter Veltroni, all’epoca membro del comitato centrale del Partito Comunista Italiano (a sinistra), e l’allora segretario del partito Achille Occhetto (a destra), durante una manifestazione del PCI (fine anni ’80). Veltroni era favorevole alla “svolta” proposta da Occhetto.


  1. [1]“Il PCI all’ombra di una Quercia”, La Stampa sabato 29 settembre 1990. Pag. 3.
  2. [2]“Fini: il ‘governissimo’ è la fine del Polo” in Repubblica.  29 ottobre 1995
  3. [3]“Credetemi, la gioia non è peccato…” la Repubblica, 12 agosto 1990
  4. [4]incicucioUna parola al giorno. 20–01–2013. Web.

 

(sostantivo) traditore, ipocrita.

Passano ancora confidenti-arlicchini e caifassi e iscarioti e maléfici scribi…

A. M. Ripellino, Praga Magica (1973). Cap. 85.
Deriva per antonomasia da Giuda soprannominato l’Iscariota, l’apostolo che secondo il Nuovo Testamento tradì Gesù consegnandolo ai sommi sacerdoti in cambio di trenta sicli d’argento.

Ipotesi etimologiche

Sull’origine del soprannome Iscariota, da cui deriva antonomasticamente il termine, sono state avanzate diverse ipotesi:

  1. Il soprannome “Iscariota” dato a Giuda potrebbe essere un aggettivo demotico, che ne indicava cioè la provenienza:[1][2] potrebbe riferirsi alla città di Qeriòt menzionata da Geremia (21, 24), che si trovava nel territorio di Horma a sud di Hebron (identificata con le rovine di el-Kureitein), oppure alla città di Kerioth nel Moab (attuale Giordania) che secondo Giosuè (15, 25) sarebbe una delle città del Neghev, all’estremità del territorio di stanziamento della tribù di Giuda. Il vocabolo īsh in ebraico infatti significa “uomo” ed era utilizzato anche come prefisso per indicare la provenienza: īsh Qĕriyyōt, «uomo di Qeriòt». Il termine Qĕriyyōt in ebraico è però anche il plurale di città, per cui l’aggettivo “iscariota” potrebbe indicare la provenienza da un territorio identificato da un gruppo di città.[1] Tale ipotesi, riportata anche dal teologo Tommaso d’Aquino (1225 – 1274) nella Catena Aurea, è la più accreditata presso gli studiosi.[1] Il termine iscariota è tuttora riportato da alcuni dizionari anche come demotico degli abitanti o nativi di Kerioth in Giordania, ma nel linguaggio corrente non è più utilizzato in tal senso.
  2. In alternativa all’ipotesi demotica (1), Tommaso d’Aquino suggerisce che iscariotes potrebbe derivare dal nome di  Issachar, nono figlio di Giacobbe avuto con la moglie Lia, sulla base un versetto della Genesi (30, 18): «Dio mi ha dato la mia ricompensa perché ho concesso la mia ancella a mio marito (come concubina)”, e lo chiamò Issachar». Dall’intepretazione di questo versetto si è ricavata la correlazione tra “Issachar” e il significato di “ricompensa”, “compenso”. Secondo questa ipotesi quindi Iscariotes (da Issachar) alluderebbe alle capacità amministrative. Ciò non sarebbe incompatibile né con il fatto che fosse chiamato Iscariotes anche il padre Simone, in quanto i mestieri si tramandavano spesso da padre in figlio, né con quanto afferma Giovanni e cioè che «Giuda teneva la borsa» (13, 29).[1]
  3. Un’altra ipotesi, basata su una diversa traslitterazione dall’aramaico al greco, attribuisce al termine iscariota il significato di sicarios, dal latino sicarius, termine con cui nella Palestina del I secolo si indicava un gruppo rivoluzionario antiromano all’interno degli zeloti. Siccome però, secondo quanto riportato da Giovanni, era detto Iscariota anche il padre di Giuda (6, 71: «Gesù parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota») questa ipotesi appare improbabile, perché il Simone Iscariota sarebbe vissuto molto tempo prima che il gruppo dei sicari fosse costituito. Inoltre non si rilevano nei Vangeli riferimenti ad eventuali aspirazioni rivoluzionarie di Giuda.[1]
  4. Infine, secondo alcuni, deriverebbe dall’aramaico palestinese išqaryā che significa ipocrita, traditore; o ancora dall’aramaico sheqarya‘ o shiqrai che significava “colui che froda”.[1] Queste ipotesi però non spiegherebbero perché anche suo padre Simone fosse chiamato così.

  1. [1]Savelli, F. (op. cit.)
  2. [3]Treccani (op. cit.) Treccani (op. cit.)

In alto: Coscienza, Giuda, dipinto di Nikolai Ge (1891).

parola inglese per indicare la variante composita della lingua italiana nata dall’incontro con la lingua inglese come risultato del processo di adattamento ed ibridazione linguistica tra l’italiano degli immigrati e l’inglese americano; in particolare in riferimento al lessico parlato tra l’Ottocento e il Novecento dagli italoamericani nei “quartieri italiani” delle città americane come Little Italy a Manhattan. Italglish è un portmanteu tra Italian e English, sul modello di altri “-ish” come lo Yinglish (Yiddish + English), lo Spanglish (Spanish + English), il Siculish (Sicilian + English), il Chinglis (Chinese + English) e il Japlish (Japanese + English). Più in generale, l’ibridazione linguistica tra italiano e inglese è detta Itanglese (Hoepli ).

Alcuni termini del →lessico “italglish”.


Immagine: →Mulberry Street a Little Italy, Manhattan, primi del ‘900 (Detroit Publishing Co.)