«Aprendo» il concetto di tempo nelle sue strutture elementari, come un bambino smonta un giocattolo, si vedono scaturire da ogni sua componente […] delle stranezze o degli apparenti mostri concettuali. Werner Kinnebrock

Nonostante il tempo permei ogni aspetto della vita quotidiana, non è facile darne una definizione. Cos’è il tempo? Perché può scorrere solo in una direzione, apparentemente violando la simmetria dell’universo? Perché non ci possiamo spostare liberamente nel tempo come nello spazio, ma ne possiamo solo subire passivamente il passare continuo? Cos’è che “fa scorrere” il tempo, il motore misterioso che fa avanzare il presente verso il futuro, l’orologio universale che ne scandisce il passare? Come sarebbe il mondo senza tempo? Dove va il tempo che passa affronta il problema del “tempo” da diversi punti di vista: quello filosofico, da Platone a Kant, quello scientifico, dalla fisica newtoniana alla meccanica quantistica, quello storico, ossia dell’evoluzione della misurazione del tempo dagli antichi calendari agli orologi atomici.

…un libro di godibile lettura e pieno di curiosità… Remo Bodei, filosofo italiano

Guru Madhavan si propone di sondare i meccanismi del funzionamento delle menti degli ingegneri attraverso la descrizione di esempi concreti presi dalla sua e dall’altrui esperienza in modo da suggerire al grande pubblico un modus cogitandi in grado di migliorare la propria vita nelle piccole, come nelle grandi, attività quotidiane. La proposizione è ambiziosa e a suo modo avvincente. Spesso le storielle sugli ingegneri, che invece di vivere “funzionano”, circolano con grande ilarità di chi le ascolta e, a volte, anche di chi le racconta. Moltissimi sono gli aneddoti che coinvolgono i settori più disparati: dalla costruzione di un ponte, al miglioramento dei pannolini, dal bancomat al cellulare, fino ad arrivare alla macchina digitale. Moltissime sono le digressioni nella biografia dell’autore che sa raccontare succosi episodi con ottima capacità di tratteggiare caratteri ed emotività, punteggiando tutto il libro con grande gusto di chi legge e lasciandosi trasportare nelle varie atmosfere narrate. Non è un testo difficile, l’intento divulgativo è abbastanza evidente, anche se un po’ troppo sovente sconfinante nell’agiografia dell’ingegneritudine. Mi sono piaciuti gli affondi nei tecnicismi, non troppi né troppo complessi, che magari danno conto di concetti che possono sembrare scontati ma che, a leggerli, funzionano come piccole lampadine che si accendono su cose conosciute e a cui era complicato dare un’etichetta.

Non mancano, tuttavia, i limiti e forse qualche difetto: la macro struttura è piacevole, condivisibile e interessante. I capitoli e i rispettivi titoli a mio avviso rappresentano tematiche intriganti che nel loro insieme coprono quasi tutti, se non proprio tutti, i vari aspetti delle molteplici declinazioni dell’essere ingegnere. Nei livelli inferiori a questa prima struttura, però, iniziano a farsi evidenti degli sfilacciamenti a mio parere dovuti non tanto all’imperizia dell’autore, che è anche possibile e forse giustificabile (è un ingegnere, no?), quanto alla superficialità dell’editor che ha lasciato passare questa esposizione, forse poco “amichevole” verso chi ad un certo punto – come è capitato a me – si perde tra le righe dei vari episodi raccontati e che dovrebbero esemplificare il concetto angolare del capitolo. Spesso, inoltre, il concetto viene annunciato ma non definito e questo va a detrimento della chiarezza generale.

Ma il limite più rilevante sta nel fatto che l’autore, forse non per responsabilità sua, non si accorge che molti dei concetti che sottendono gli esempi sono comuni ad altre discipline, soprattutto umanistiche, che a volte ci sono arrivate ben prima della sua mentalità ingegneresca, a volte passando per materie assolutamente distanti tra loro che in un fruttuoso fenomeno di concrescenza hanno dato prova di quanto certi modi di pensare siano creativi ed innovativi. Non basta il lungo riferimento all’antropologia a fine volume (ma perché poi all’antropologia quando forse quello alla sociologia per certi aspetti avrebbe dato altro riscontro al fatto che l’essere dell’ingegnere ha prima di tutto a che fare con l’essere umano?) per alleggerire l’impianto deciso da Madhavan. Si capisce, quindi, l’orgoglio di essere ingegnere e di saper risolvere i problemi più disparati, ma questo non toglie niente al fatto che per esempio la comunicazione, il marketing, la sociologia e la psicologia, oltre che a loro modo le altre discipline umanistiche, hanno applicato da sempre un certo modo di procedere e di evolvere. Di fatto, forse, sarebbe stata una conclusione molto più rilevante anche se assolutamente off topic con l’obiettivo del libro, ammettere che tutte le persone fortemente curiose e soprattutto transdisciplinari sono un vero e proprio nutrimento per l’umanità, indipendentemente dal campo in cui dispiegano le loro estese potenzialità: prima la persona, della materia. Un ultimo appunto, ancora, sulla lingua: a parte qualche piccolo problema di traduzione forse trascurabile, davvero, «un’altro» proprio non si può leggere.

Melchisedec

Non c’è niente da fare, siamo una razza di litigatori di professione. Non ci sono ambiti, materie o discipline che siano riuscite ad esentarsi dal fregiarsi di qualche sonora disputa. Le scienze, certo, non fanno eccezione e chi ne fosse interessato può leggere questo piacevole, discorsivo e assolutamente masticabile volume che raccoglie dieci dispute scientifiche. Non sono le più grandi, magari qualcuna non sarà nemmeno tra le più famose, ma riguardano tutte un campo scientifico: la fisica di Galilei e papa Urbano, le scienze della terra, Derek Freeman versus Margaret Mead nella controversia tra natura e cultura, gli studi di Darwin contro le tradizioni sull’evoluzione. Il filo è labile ma esistente: un ordine cronologico, materie scientifiche, alcuni rimandi tra il protagonista di una disputa e quello di un’altra. Alcune domande, a mio avviso trasversali, seguono tutto l’andamento del libro: cosa rende una teoria sostenibile, uno scienziato geniale e visionario, una controversia inutile piuttosto che creativa e necessaria. Da profana della scienza posso dire che le domande sono state più delle risposte: quanta sicumera negli scienziati di oggi sarà smantellata da teorie da venire e da studi che devono ancora veder la luce. Quanti luoghi comuni sono pane dei nostri giorni e motivo di critica tra qualche tempo, quanti limiti ci poniamo nel leggere e vedere solo perché non siamo pronti a guardare bene quello che esiste e accade. Vale sempre, a mio avviso, il detto secondo cui vediamo solo ciò che conosciamo e raramente, solo in casi di grandi geni, riusciamo a rompere gli schemi ed uscirne per vedere più in là, più oltre, più in alto. Punto a parte la questione dell’enorme influenza della religione, ancora ai giorni nostri, su questioni di scienza che con occhio retrospettivo non si può far altro che etichettare come frenante l’intervento umano e il relativo progresso. Non un solo caso, di fatto, ha beneficiato o tratto giovamento dalle ingerenze chiesastiche. Infine il testo in sé: mi spiace solo di aver preso la traduzione in italiano. Errori di sintassi, di grammatica e veri e propri svarioni costellano tutte e dieci i cammei. Peccato.

Melchisedec

“Il cucchiaino scomparso” di Sam Kean è un bellissimo libro di divulgazione scientifica. Il titolo si riferisce a un famoso scherzo in voga nel diciannovesimo secolo quando fu scoperto il Gallio, un metallo che si presenta in forma liquida già a 30°C. Il suo colore lo rende simile ai metalli usati per forgiare i cucchiaini da tè e per questo motivo, il Gallio metallico era usato per modellare gli oggetti anzidetti che scomparivano letteralmente quando usati come posate per servire il tè bollente. Il libro si può intendere come una storia della chimica vista attraverso lo sviluppo della tavola periodica. Ci sono tante notizie curiose, si parla di scienza in generale e si accenna al significato di “scienza patologica” come di quel ramo della scienza che si sviluppa per “bias” (ovvero deviazioni dal percorso scientifico oggettivo) generati nel momento in cui si smette di osservare i fatti e si piegano gli stessi al modello di cui lo scienziato di turno si è innamorato. Ecco, allora, il modello della fusione fredda di Pons e Flieschmann dimostratosi un errore; quello di Crookes che ha tentato di spiegare fenomeni inesistenti legati allo spiritismo; o l’invenzione di specie ittiche mostruose dal ritrovamento di strani fossili ricoperti di strati di manganese. Il libro è scritto bene e si legge velocemente, sebbene io abbia trovato degli errori o delle inesattezze, non so se dovute ad una traduzione sbagliata o alla leggerezza che il divulgatore si trova a dover usare per rendere semplici concetti che non lo sono. Esempi di errori e leggerezze sono nella spiegazione dell’effetto del Gadolinio usato come tracciante nella risonanza magnetica per immagini (anche questa parte tradotta, a mio parere, in modo un po’ approssimativo) o nella spiegazione di alcuni concetti di meccanica quantistica come la superconduttività. In definitiva si tratta di un ottimo libro per far capire che la chimica non è una materia difficile né per addetti ai lavori: si tratta semplicemente di un ramo delle conoscenze umane con il quale ci troviamo a che fare nella nostra vita quotidiana. Tutto ciò che ci circonda è chimica e risponde a leggi ben precise la cui conoscenza ci consente di capire fenomeni altrimenti inspiegabili.

Pellegrino Conte

Un libro di divulgazione scientifica deve essere scritto in modo chiaro e comprensibile anche a chi della materia è a digiuno. Un libro di storia deve descrivere gli avvenimenti calandoli nel contesto in cui essi si sono sviluppati. Il libro di Manijt Kumar è sia divulgazione scientifica alla portata di tutti che storia della scienza in grado di descrivere le gioie, le passioni, i drammi di tutti gli autori che hanno contribuito a quella che è una delle teorie meglio accreditate per la descrizione della realtà microscopica: la meccanica quantistica. Come un osservatore attraverso il buco della serratura, Manijt Kumar ci guida attraverso gli ultimi 100 e passa anni di sviluppo della scienza e ci descrive tale sviluppo non come un percorso lineare e coerente, ma come un percorso ad ostacoli in cui si procede per tentativi ed errori. Accanto a teorie consolidate ed accettate come migliori rappresentazioni della realtà ce ne sono tante altre che hanno avuto il loro momento di gloria ma poi sono scomparse. La loro scomparsa, tuttavia, non sempre è dovuta a qualche fallacia nella rappresentazione della realtà sperimentale. Può essere, invece, dovuta solo all’inabilità del proponente nel saper vendere bene ciò che dice. Anche nella scienza vale quanto si osserva nelle cosiddette “scienze sociali”: il modo in cui si comunica è importante perché la propria proposta possa essere accettata a livello globale. Un libro da leggere sicuramente e magari da presentare come dono particolare a persone che sanno andare oltre i propri limiti.

Pellegrino Conte