(o nano bagonghi) specialmente nel lombardo, epiteto canzonatorio con cui ci si riferisce ad una persona goffa ed impacciata che suscita ilarità, e/o di bassa statura e solita vestire con abiti abbondanti (che ricordano i costumi di scena circensi); per estensione dall’uso come appellativo generico usato un tempo per definire i nani che lavoravano nei circhi, nelle fiere e nei “baracconi” (spettacoli ambulanti). Deriva dal nome d’arte utilizzato da alcuni di essi (forse ispirato a “Ka Bango”, nome di una tribù pigmea dell’Africa occidentale), il primo dei quali sembra sembra sia stato un clown e cavallerizzo nano bolognese (morto nel 1908) che si esibì nel circo R. Guillaume dal 1890. Il nome fu in seguito imitato da altri artisti circensi nani tra cui Andrea Bernabè di Faenza (1850 — 1920 c.a) che iniziò la sua carriera con il Circo Zavatta; Giuseppe Bignoli di Galliate (1892 – 1939) al Circo Togni ed altri, fino a diventare un appellativo comune.
- “Bagonghi” Enciclopedia Online Treccani.
- Cervellati, Alessandro Questa sera grande spettacolo. Storia del circo italiano Milano: Ediz. Avanti! 1961.
- Castoldi, Massimo e Ugo Salvi Parole per ricordare — Dizionario della memoria collettiva. Bologna: Zanichelli, 2003. Pag. 11. ISBN 88–08–08878–2
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(s.m.) localismo milanese che significa colui che non è di Milano, straniero, forestiero, con una accezione che va dallo scherzoso al dispregiativo. Deriva dall’accorciamento (tipico del linguaggio giovanile, es: sigaretta/siga) della parola colloquiale giargianese, di origine napoletana (XIX secolo), che significa genericamente straniero. Viene definito giargiana semplicemente un outsider rispetto alla sottocultura del milanese di città: indipendentemente dalla provenienza, il giargiana è colui che non ha pienamente assimilato le usanze, il linguaggio, l’abbigliamento del milanese radicato apparendo “strano” ed inadeguato agli occhi di quest’ultimo. Il giargiana è quindi il non–milanese, che può essere ad esempio tanto lo straniero quanto il meridionale o un abitante della stessa provincia, ma anche chi parla ad alta voce al cellulare o intralcia il traffico guidando lentamente. Essendo questi canoni soggettivi e mutevoli, non è raro che gli stessi milanesi finiscano per darsi del giargiana l’uno con l’altro. Il termine ha assunto per estensione anche il significato di rozzo, tamarro, pacchiano, caratteristiche genericamente attribuite appunto dal milanese di città al non–milanese.
Sarò da te alle 21, sperando che i giargiana di Tokio non mi facciano fare le ore piccole.
da Buozzi, Bea Matta per Manolo Mondadori, 2014.
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(localismo settentrionale, aggettivo) detto di cibo duro da masticare, raffermo («questo pane è gnucco»), duro da ingoiare, da digerire (anche metaforico)); per estensione ed analogia, una persona cocciuta, caparbia, ottusa, tarda a capire (anche sostantivo). Voce lombarda, dal dialetto milanese gnücc, “duro”, se ne registra però l’uso in tutta l’Italia settentrionale (incluso il Veneto[1]), nella Svizzera italofona[2] e anche nel romanesco rurale.[3]
[di cibo] …dopo un negozietto di castagne secche e uova da bere conservate nella paglia, oltre un po’ di peruzze di Verona gnucche gnucche…
Carlo Emilio Gadda, La Meccanica, Garzanti 1970.
[metaforico] Gnucco, duro da digerire e ottantottesco come un santuario pieno di miracoli, con pretese romaniche e bizantinoidi, questo pezzo duro di Duomo mi mise i nervi.
Carlo Emilio Gadda, Il Castello di Udine, Solaria 1934.
[persona cocciuta] …allora mia mamma è un po’ arrabbiata e dice che sono proprio gnucco e io mi sento enormemente infelice per questa storia, cioè che la mamma vuol bene a mia sorella ma non vuole bene a me perché sono gnucco…
Giuseppe Berto, Il male oscuro, Rizzoli, 1964.
- [1]«…mentre io non sapevo dire poesie ed anzi ero proprio gnucco che mi vergognavo davanti alla gente…» in Carluccio, Luigi (a cura di) Antologia di scrittori veneti contemporanei. Tallone, 1968. Pag. 151.↩
- [2]Riportato da Sandro Bianconi in Lingua matrigna: italiano e dialetto nella Svizzera italiana. Il Mulino, 1980. Pag. 173.↩
- [3]Riportato con il significato di «babbeo» da Ercole Metalli in Usi e costumi della campagna romana. Magione e Strini, 1924, Pag. 232. ↩
- “gnucco” in Dizionario Italiano Olivetti. Web.
- Italia, Paola. Glossario di Carlo Emilio Gadda “Milanese”: da “La Meccanica” a “L’Adalgisa” Edizioni Dell’Orso, 1998.
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(lombardo, aggettivo, XIX secolo) detto di pane raffermo ma non ancora duro, pane di un giorno; per estensione qualunque commestibile non più fresco, vecchio, stantìo. Secondo un regolamento municipale della città di Milano del 1812, si definisce pòsso il pane «quando arriva alle 24 ore dopo la di lui cottura.» (art. 22 dei “Capitoli per i fabbricatori di pane misto” del 26 marzo 1812[1]).
Deriva dal dialetto lombardo occidentale poss (/pɔs/) o pòos,[2] “raffermo”, comune ai dialetti milanese,[3][4] pavese,[5][6] lariano e della Svizzera italofona;[7] a sua volta dal milanese poŝà, “riposato”,[8] o forse dallo spagnolo posado[9] come lascito della dominazione spagnola (1525 — 1700): il pan posado in castigliano è infatti il pane raffermo, «viejo y duro».[10]
Pim pim cavalin
sotto al pee del tavolin
pan poss, pan fresch,
induvini che l’
Pim Pim cavallino
sotto il piede del tavolino
pane pòsso, pane fresco
indovino cos’è questo
Filastrocca milanese.[11]
La locuzione pan poss (o anche pamposs[5][10]) si riferiva in particolare al pan d’un dì, quello «dai Fiorentini chiamato pane di un giorno» (Gambini,[6] 1879), ossia non più fresco ma non ancora secco: se più vecchio era detto invece pan gnücc (pane gnucco), pan dür (pane duro), più anticamente (XV secolo) pan tosto.[12]
Panettòn de Natàl al ven mai pòss;
a mangiàll a San Biàs al benediss la gola e ‘l nas.
mangiarlo a San Biagio benedice la gola e il naso[13]
Proverbio comasco.
Per estensione l’aggettivo poss passò ad indicare cibo vecchio in genere, anche diverso dal pane, che ha perso la sua freschezza pur essendo ancora commestibile come il panettone, o l’uovo (eouv pòss, un uovo vecchio, stantìo[14]); ma anche l’acqua “vecchia”[4] (acqua pòssa), che è rimasta troppo a lungo in un recipiente assumendo un sapore sgradevole; fino ad una persona attempata[4] o metaforicamente dal carattere “molle”, come il pane che ha perso la sua croccantezza: pan poss o pamposs è detto anche di una persona senza energia.[7]
- [1]Riportato in Gride, regolamenti, tasse e tariffe diverse […] della regia città di Milano. Milano, 1850. Pag. 45 ↩
- [2]“raffermo” in Dizionaro dei dialetti. Web.↩
- [3]Cherubini, 1841 (op. cit.)↩
- [4]Banfi, 1857 (op. cit.)↩
- [5]Manfredi, 1874 (op. cit.)↩
- [6]Gambini, 1879 (op. cit.)↩
- [7]Caccia, Franca “Parole ed espressioni dialettali del Basso Mendrisiotto” in lessico.ch. Web.↩
- [10]Luigi Pavia, 1928 (op. cit.) Luigi Pavia, 1928 (op. cit.)↩
- [9]“Il milanese crogiuolo di tanti idiomi” in La Gobba. Web.↩
- [10]Jubete, Fernando Franco “Los orígenes culinarios de Castilla y León: La cocina del pan posado” in PITTM, 84, Palencia, 2013, pp. 409-430, ISSN 0210-7317 (PDF)↩
- [11]Da Abitare, 1965 Si cantava ai bambini tenendo i pugni chiusi: in uno c’era una caramella, nell’altro niente. Al termine della filastrocca il bambino doveva indovinare quale pugno conteneva la caramella.↩
- [12]Fanfani e Fornari, “Vocabolarietto Milanese — Fiorentino” in Il Borghini giornale di filologia e di lettere italiane, Anno I. Firenze, 1874. Pag. 314.↩
- [13]Tradizione lombarda è di mangiare a San Biagio, il 3 febbraio, il panettone avanzato dalle festività natalizie. La festa di San Biagio è tradizionalmente associata alla benedizione della gola e del naso.↩
- [14]Banfi, 1857 (op. cit.) pag. 499.↩
- Vocabolario milanese–italiano di Francesco Cherubini, 1841. Vol.3 Pag. 246.
- Vocabolario milanese-italiano ad uso della gioventù di Giuseppe Banfi, 1857. Pag. 568.
- Manfredi, Rodolfo Dizionario pavese-italiano: coll’aggiunta delle frasi più comuni. Pavia: successori Bizzoni, 1874. Pagg. 177, 191.
- Gambini, Carlo Vocabolario pavese-italiano con una serie di vocaboli italiani-pavesi che molto tra loro diversificano. Pavia: successori Bizzoni, 1879. Pag. 155.
- Pavia, Luigi Sulla parlata milanese e suoi connessi (1a ed. 1928). Lampi di Stampa, 2001. Pag. 219. ISBN 978-8848801188
Immagine in alto: il “forno delle Grucce” a Milano viene assaltato dalla folla il giorno di S. Martino del 1628, nel corso di una sommosso scatenata dal rincaro del pane. È una scena del romanzo I Promessi Sposi, illustrata da Francesco Gonin per l’edizione del 1840 stampata dalla tipografia milanese Guglielmini e Radaelli.