Pripjat’ 1970, storia di una città

In Città, Storia di Silvio DellʼAcqua

"Pryp'jat' 1970", insegna all'ingresso della città.

chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. Matteo 24:17–19

Vi dice niente il nome Pryp’jat’?[1] È un fiume dell’Europa centrale, affluente del più noto Dnepr nel quale confluisce poco nord di Kiev, in Ucraina. Citato come “Pripet” nella Cronaca di Nestore del XI secolo, il più antico documento russo, il nome potrebbe derivare dallo slavo con il significato appunto di “affluente”,[2] oppure dalla parola dialettale locale pripec, “riva sabbiosa”[3][4] o ancora dal baltico occidentale con riferimento alle secche.[5][6]

pripyat-river

2 – Il fiume Pryp’jat’ (in rosso) e la regione della Polesia (in verde).

Il bacino idrografico del Pryp’jat’ forma una vasta conca alluvionale tra Ucraina e le alture della Bielorussia nota come Polesia o Polessia, probabilmente dal prefisso pol–, comune a svariate lingue, che sembra indicare una palude o un prato boschivo (è presente infatti anche nel latino pollìcinum, “terra paludosa” da cui il toponimo italiano Polesine che indica le paludi di Rovigo e del Ferrarese[7]). È una regione di fitte foreste di pini, aceri e betulle, interrotte da corsi d’acqua più o meno grandi che si biforcano e si snodano in continui meandri, confondendosi con stagni e paludi. Culla primigenia della civiltà slava,[8] le paludi del Pryp’jat’ sono un luogo incantevole quanto impenetrabile: alla fine del XIX secolo non vi vivevano più di sette abitanti per chilometro quadrato,[9] concentrati nelle zone bonificate tra il 1870 ed il 1900 che non superavano un quarto della superficie totale.[10]

"Palude. Polesia" Ivan Šiškin, olio su tela, 1890

3 – Le paludi del Pryp’jat’ in un dipinto di Ivan Šiškin del 1890.

Attraversate da poche, impervie strade e per di più soggette a frequenti inondazioni, le immense “paludi del Pripet” erano considerate un’ostacolo insuperabile. L’Armata Rossa dovette dividersi in due ed aggirarle mentre, nel 1920, marciava su Varsavia per sferrare la controffensiva ai polacchi che avevano preso Kiev.[11] Erano però anche un ottimo nascondiglio, prima per le bande di predoni che razziavano villaggi (prendendosela in particolar modo con gli ebrei), poi per i partigiani che durante la seconda guerra mondiale combatterono aspramente contro i nazisti e infine, almeno fino al 1950, per le formazioni clandestine dei nazionalisti ucraini.[12] Poi di nuovo il silenzio finché, un giorno del 1970, i bulldozer sovietici si aprirono un varco tra queste paludi per fondare una città dal nulla, in un punto anonimo sulla riva destra del Pryp’jat’. In onore al fiume, o forse in mancanza di fantasia, alla nuova città fu dato il nome, in russo, di Pripjat’ (Припять).[1]


Se in Italia la bonifica delle Paludi Pontine e la costruzione della città di Littoria (l’odierna Latina) negli anni ’30 fu conseguenza della “battaglia del grano”, ovvero la campagna autarchica del governo fascista volta a perseguire l’autosufficienza produttiva di frumento, nel “granaio d’Europa”[13] la costruzione di Pripjat’ tra le paludi della Polesia fu strumentale ad un’analoga battaglia autarchica, quella della “luce”.

Inaugurazione di Littoria (Latina) il 18 dicembre 1932.

4 – Inaugurazione di Littoria (oggi Latina) il 18 dicembre 1932.



Secondo la mitologia greca, Prometeo sottrasse il fuoco agli dei per donarlo agli uomini come strumento di progresso e civiltà. Secondo la mitologia sovietica, Lenin avrebbe promesso agli uomini l’energia elettrica come strumento di vittoria ed affermazione dei princìpi del comunismo. Nel 1920, il presidente bolscevico dichiarava ad un corrispondente del quotidiano britannico Daily Express che il grande piano di elettrificazione di tutto il paese avrebbe creato le basi per «una vita civile senza sfruttatori, senza capitalisti, senza grandi proprietari fondiari, senza commercianti.»[14] All’Unione Sovietica le fonti di energia non mancavano: c’era abbastanza carbone, gas e petrolio da raggiungere l’autosufficienza ed esportare le rimanenze in cambio di valuta pregiata. Il 90% di queste risorse si trovava però ad est degli Urali, mentre il maggior fabbisogno di energia si concentrava ad ovest, nella parte europea, più popolosa ed industrializzata. Alle soglie degli anni’70, il costo eccessivo del trasporto attraverso la catena montuosa e la necessità strategica di mantenere l’indipendenza energetica dai paesi europei spinsero il Cremlino a rafforzare la produzione di energia elettronucleare nella regioni della Russia occidentale e dell’Ucraina.

Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive.Giacomo Leopardi

La scelta del luogo per il primo di questi nuovi impianti sarebbe ricaduta sulle sponde del Pryp’jat’, nei pressi di un villaggio di cento anime chiamato Yanov: trovandosi sulla ferrovia Černigov–Ovruč, una dalle poche vie di comunicazione attraverso la Polesia, aveva già una piccola stazione che poteva essere usata come testa di ponte. Era giunto il momento di portare l’ordine socialista tra queste paludi reazionarie. Nel maggio del 1970 iniziarono gli scavi di fondazione di quello che sarebbe stato il primo rettore della centrale “V.I. Lenin”.[15] Siamo circa 18 km a nordest di un villaggio di origine medievale ormai semiabbandonato chiamato Čornobil’, che forse non vi dice nulla ma che in ucraino significa “nero stelo d’erba” e si riferisce probabilmente all’Artemisia vulgaris, pianta erbacea abbondante nella regione e molto simile all’assenzio.[16]

Questo nome, Čornobil’, sarebbe infatti diventato noto al mondo nella trascrizione angloamericana utilizzata dalla stampa internazionale: Chernobyl. In verità la tristemente famosa centrale nucleare non si trovava a Čornobil’ (Černobyl’, in russo), ma nel distretto di Čornobil’[17] della regione di Kiev. La “città dell’atomo” era invece la moderna Pripjat’, costruita non più di quattro chilometri a nordest ed inizialmente destinata ad ospitare il personale addetto alla costruzione e alla gestione dell’impianto. Se, come scrisse il giornalista moldavo Pavel Nică, i sovietici non costruivano «nemmeno un wc […] senza che Mosca ne avesse deciso, già dalla progettazione, la destinazione militare»,[18] figuriamoci una centrale nucleare.

Inizio dei lavori di costruzione della centrale di Černobyl', c.a 1970

5 – Inizio dei lavori di costruzione della centrale di Černobyl’, c.a 1970 (S. Neahev/chornobyl.in.ua)


Quella di Černobyl’ non sfuggiva sicuramente a questa logica, visto che oltre a produrre energia elettrica vi si produceva plutonio per usi bellici, ma Pripjat’ non era una cittadella militare chiusa e segreta, come ne esistevano nella parte orientale del paese.[19] Pripjat’ era di un’altra generazione: era una atomograd (città dell’atomo), una città modello socialista da esibire con orgoglio.

La città ideale

A Pripjat’ i progettisti ebbero la possibilità di uno spazio libero dove disegnare l’utopia della “città ideale” sovietica. L’impianto urbanistico fu disegnato dagli architetti di Kiev ispirandosi allo schema del “principio triangolare” dell’architetto moscovita Nikolaj Ostozhenko, già impiegato in altre città di fondazione sovietiche, basato su una combinazione di edifici a torre alti fino a 16 piani e di tradizionali chruščёvka,[20] casermoni popolari più lunghi che alti (fino a 5 piani), separati da ampi viali e spazi verdi. Gli edifici a torre consentivano di risparmiare spazio, che veniva impiegato per la viabilità ed il verde pubblico: in pratica era una rivisitazione socialista della ville radieuse di Le Corbusier. Almeno altre dieci città sarebbero state modellate su Pripjat’ ed alcuni gruppi di edifici furono replicati esattamente in altre due atomograd, Volgodonsk e Togliatti.

Piano di Prip'jat'

6 – Piano di Prip’jat’: pianta delle infrastrutture (chornobyl.in.ua).

Nella stesura del progetto urbanistico fu dedicata particolare cura alla viabilità. Mentre le città americane ed europee erano già congestionate, il traffico non rappresentava un particolare problema nell’Unione Sovietica degli anni ’70 data la relativa scarsità di automobili circolanti. Tuttavia, le previsioni ottimistiche di un forte sviluppo della motorizzazione individuale fecero ritenere che lo sarebbe stato nel giro di 15 o 20 anni e che fosse quindi preferibile progettare la viabilità in modo tale che le nuove città modello non avessero mai dovuto temere ingorghi, nemmeno in futuro.

Il traffico sulla Expressway a Chicago nel 1973.

7 – Il traffico sulla Expressway a Chicago nel 1973.


Questo aspetto stava particolarmente a cuore nientemeno che al segretario generale Leonìd Brèžnev, che si occupò personalmente di curare l’assetto urbanistico di Pripjat’ dispensando consigli agli architetti. In qualche modo l’obbiettivo fu centrato: se ci pensate, oggi il traffico non è di certo il problema principale di questa città.


La piazza Lenin.

8 – Il traffico di Pripjat’: la piazza Lenin.

Pripjat’ nacque ufficialmente il 14 aprile del 1972 per decreto del  Praesidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica ma già dal 1970 (come ricorda l’insegna all’ingresso della città, «Припять 1970») esisteva un insediamento che comprendeva almeno un ostello, un refettorio, un ufficio amministrativo ed un villaggio temporaneo per gli operai chiamato “Lesnoj”.[21]

Il villaggio temporaneo di Lesnoy, 1970 c.a

9 – Il villaggio temporaneo di Lesnoy, 1970 c.a (chnpp.gov.ua)

 Nel 1971 esisteva già un blocco da 90 appartamenti, acquedotto e fognature; negli anni successivi gli edifici residenziali ed amministrativi avrebbero rapidamente preso il posto delle baracche e Pripjat’ sarebbe diventata una vera città (status ufficialmente riconosciuto nel 1979) con tanto di municipio, il Gorsipolkom ovvero palazzo del “Consiglio esecutivo del Soviet Comunale”: soprannominato “casa bianca”, si trovava al nº 6 della via Kurčatova, intitolata al fisico Igor’ Kurčatov (1903 – 1960) considerato il “padre” della bomba atomica rossa.

I nomi delle vie erano tipicamente sovietici, l’asse cittadino era prospekt Lenina (проспект Ленина) ossia “viale Lenin”. Quasi ogni città sovietica aveva una via principale intitolata a Lenin, come in Italia ogni comune aveva una “via Roma” per volere del partito fascista.


Pripjat'

10–12 – Sopra: veduta di Pripjat’ dall’alto, il fiume sullo sfondo; sotto: viale Lenin (a destra) e l’Hotel Polyssia (a sinistra).

Gli spazi pubblici erano ampi, con molto verde, parchi e tanti fiori: 33 mila cespugli di rose furono piantati ovunque, tanto che Pripjat’ fu soprannominata “la città dei fiori”. Forse automobili non ce ne sarebbero state molte ancora per un po’, ma c’era una rete di autobus urbani e una moderna autostazione da cui era possibile raggiungere Kiev ed altri centri nella zona. La vicinanza al fiume rendeva disponibile anche la via navigabile verso la capitale: fu costruita infatti una stazione portuale dove approdavano pittoreschi battelli a ruota da cartolina del Mississipi, ma anche i veloci aliscafi fluviali “Racketa”[22] (razzo) in grado di raggiungere i 70 km/h.

Autobus a Pryp'jat' negli anni '80.

2″13 – Autobus a Pripjat’ negli anni ’80.


A Pripjat’ c’era perfino un club nautico dove era possibile praticare la navigazione da diporto e vari sport acquatici sul fiume, le cui rive erano méta anche di semplici bagnanti e pescatori. La stazione ferroviaria invece era quella del villaggio di Yanov, diventato ormai un “borgo” di Pripjat’, che si trovava appena fuori città e costituiva il principale scalo per passeggeri e merci.


Area di Pripjat’: la città, il porto, la stazione di Yanov, la centrale elettronucleare di Černobyl’.


Il centro di Pryp'jat'.

14 – Il centro: viale Lenin verso nord, sullo sfondo si vede la piazza Lenin (la fantasia dei burocrati) con il Palazzo della Cultura Energetik (chornobyl.in.ua).

Essendo realizzata con intervento unitario, Pripjat’ era una città modernista architettonicamente omogenea dal centro alla periferia. Il “centro” di Pripjat’ era la Ploshchad’ Lenina (foto 8), la grande “piazza Lenin” dove sorgeva il moderno Hotel “Polyssia” (foto 12, dal nome della regione, la Polessia) ed il palazzo della cultura “Energetik”. Il palazzo della cultura era una tipica istituzione sovietica: un edificio concepito come punto di ritrovo per i cittadini, i quali potevano svolgervi diverse attività culturali, sportive e naturalmente sorbirsi della sana propaganda. Qui si trovavano cinema, teatro, biblioteca, un centro sportivo con palestre e piscina. C’era anche una discoteca chiamata “Edison–2” (Эдисон–2), il tempio del divertimento dell’area di Čornobil’ i cui disc–jockey erano celebrità locali. Si ballava naturalmente disco music ma anche del rock’n’roll occidentale, dal rockabilly degli anni ’50 ai Beatles. Per gli amanti della musica dal vivo, non mancava la rock band autoctona, i Pulsar.

Pripjat': i "pulsar" e la discoteca "Edison-2"

15 (sopra): i “Pulsar” suonano dal vivo davanti al Palazzo della Cultura; 16–17 (sotto): la discoteca “Edison–2” di Pripjat’ (foto: pripyat.com).

Sulla piazza centrale si trovava anche il supermarket Pripyat’ con ristorante, ma era possibile fare acquisti anche in un grande negozio di generi alimentari chiamato Voschod (“alba”) e due “centri servizi”, in pratica quelli che oggi chiameremmo centri commerciali, più periferici: ad est il “centro servizi 80” (che comprendeva tra l’altro una farmacia, parrucchiere, un atelier, uno spedizioniere) e a ovest il Yubileynyy (con barbiere, fotografo e lavasecco).

Pripjat': la piscina Lazurniy e il cinema Prometej

18–19 – Sopra: la piscina “Lazurniy” (Azzurra); sotto: il cinema “Prometej” (Prometeo).

Stemma di Pryp'jat'

20 – Stemma araldico della città.

Notevole anche la dotazione di impianti sportivi che comprendeva dieci palestre, uno stadio e tre piscine coperte di cui una olimpionica, la famosa Lazurniy (Azzurra): la piscina più grande di tutta l’Ucraina dove si allenavano gli atleti olimpici negli anni ’70 e ’80, un impianto a cinque corsie racchiuse in un edificio con vetrate a tutta altezza. Per il tempo libero c’erano numerosi caffè (tra cui il futuristico кофе Припять, Cafè Pripyat’, con vista sul porto) e svariati ristoranti, il grande e moderno cinema–teatro “Prometej” (ancora il mito di Prometeo e del fuoco), svariate attrazioni: tutto quello che un cittadino sovietico poteva sognare senza uscire dal proprio paese che, a dispetto di quanto la propaganda volesse mostrare, languiva invece nell’alcolismo e nella corruzione.

 Questa città delle meraviglie non poteva che attirare nuovi abitanti da tutti i territori della sterminata Unione Sovietica, non tanto per la qualità della vita ma anche e soprattutto «per avvicinare almeno di un giorno l’ambito e radioso futuro socialista» (P. Nică [23]). La popolazione aumentò così molto rapidamente, circa 1 500 persone all’anno, fino a raggiungere verso la metà degli anni ottanta i 50 mila abitanti appartenenti ad almeno 25 gruppi etnici: Pripjat’ non era un villaggio Potëmkin costruito a soli fini di propaganda ma una vera città, moderna, multiculturale e con un grande potenziale scientifico.

 

Tramonto su Pryp'jat', anni '80.

21 – Luci di Pripjat’ al tramonto, anni ’80.

Nel 1977 entrò in servizio il primo reattore della centrale, che da allora sarebbe sempre stata in continuo ampliamento (un secondo reattore l’anno successivo, poi un terzo, un quarto: ne erano previsti sei), ma per garantire un lavoro a tutta questa gente furono impiantati anche quattro stabilimenti tradizionali, tra i quali la famosa fabbrica di radio “Jupiter”. A spostarsi in cerca di futuro erano soprattutto i giovani e questo faceva di Pripjat’ una città di giovani: l’età media della popolazione era intorno ai 26 anni e quasi per un terzo era costituita da bambini, per i quali erano disponibili numerosi asili e scuole;[24] un istituto professionale ed una scuola di musica. Nuovi progetti sarebbero stati realizzati nella Babele atomica in continua crescita: una nuova stazione ferroviaria, nuove scuole e cliniche, negozi e grandi magazzini, il palazzo dei Pionieri[25] e quello delle arti, un nuovo hotel chiamato “Ottobre” (Октябрь) ed una torre della televisione alta 52 metri, tipico simbolo tecno–fallico delle città sovietiche.

Pripjat’ non era un villaggio Potëmkin costruito a soli fini di propaganda ma una vera città, moderna, multiculturale e con un grande potenziale scientifico.

Luna park Pryp'jat'

22 – La ruota panoramica nel 1986 (M. Nazarenko).

C’era anche un luna park con la ruota panoramica ormai famosa, allestito per i festeggiamenti per il primo maggio del 1986. Quell’anno, però, nessuno avrebbe celebrato la festa dei lavoratori a Pripjat’. Pochi giorni prima, la notte tra il 25 ed il 26 aprile, la giovane scrittrice ucraina Liubov Syrota stava facendo una passeggiata fuori quando vide strani bagliori aleggiare sopra la centrale.[26] «Un bagliore diffuso color lampone chiaro, il reattore sembrava essere illuminato dall’interno.


«Non era un incendio come gli altri, piuttosto una strana iridescenza» ricorda Nadežda Petrovna Vygovskaya, che abitava all’ottavo piano di uno degli edifici a torre e vedeva la scena da casa sua. [27] Sopra la centrale l’aria era infatti luminescente per l’effetto Čerenkov. Alcuni, svegliati dai boati delle esplosioni, salirono sui tetti degli edifici a vedere quell’insolito spettacolo dell’aurora boreale atomica; altri si recarono sul ponte sopra la ferrovia per avere un posto in prima fila come se stessero assistendo ad uno spettacolo pirotecnico, non sapendo di esporsi così a dosi letali di radiazioni. I pescatori che avevano passato la notte lungo il fiume tornarono inspiegabilmente abbronzati.

Il giorno dopo

Il giorno dopo, sabato 26 aprile, era una splendida giornata primaverile, quasi estiva. Una strana colonna di fumo blu con riflessi iridescenti si alzava dalla centrale ma, a parte questo dettaglio, la vita scorreva come sempre. Tra passanti ignari e mamme con i passeggini, si materializzarono figure sinistre di militari con tute protettive e maschere antigas: «esercitazione» era la risposta a chi chiedesse loro il motivo della bizzarra tenuta. Iniziarono a circolare delle voci su qualcosa che era successo alla centrale, ma nessuno aveva idea dell’entità del disastro.
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23 – Militari con strane tute attirano l’attenzione dei cittadini: è il 26 aprile (M. Nazarenko).


Un filmato del cineamatore Michail Nazarenko testimonia quelle ore drammatiche: alcuni automezzi lavavano le strade con un liquido bianco, nel giro di poche ore intere autocolonne di mezzi militari iniziarono a convergere sulla città. C’erano anche i carri armati, come se ci si stesse preparando a fronteggiare un’invasione. Paradossalmente, in tempi di guerra fredda, nelle scuole ci si addestrava ad un eventuale attacco americano mentre l’ipotesi di un guasto alla centrale che si trovava a soli quattro chilometri sembra non fosse nemmeno stato preso in considerazione. Questo “fuoco amico” spiazzò le autorità che, nel dubbio sul da farsi, fecero finta di nulla. Così passò un’altra notte normale, con quel bagliore sinistro e gli alberi della pineta che erano diventati rosso mattone, quasi luminescenti (la famosa “foresta rossa”). Il giorno dopo, domenica 27, i primi pompieri di Pripyat’ che erano intervenuti per spegnere l’incendio iniziavano a morire e molte persone erano già ricoverate in condizioni drammatiche. Finalmente la commissione federale d’inchiesta, giunta da Mosca la sera prima, decise per l’evacuazione.

Potete dire quello che volete del regime sovietico […] ma dovete ammettere che quando si mettevano in testa di evacuare un posto, sapevano davvero come fare.[28]Andrew Blackwell, giornalista e scrittore
Evacuazione di Pryp'jat', 27 aprile 1986:

24 – Gli autobus pronti per l’evacuazione il 27 aprile 1986 (M. Nazarenko).

L’annuncio venne dato alle nove di mattina e verso le 14 comparvero come dal nulla 1225 autobus scortati dagli immancabili blindati. Erano già passate 36 ore dall’incidente. Per agevolare le operazioni fu detto loro di portare con sé solo i documenti, un minimo di effetti personali e cibo lasciando tutto il resto nelle case, le quali sarebbero state sorvegliate dalla polizia fino al loro ritorno previsto entro tre giorni. Nel giro di sole tre ore e senza alcun disordine furono evacuate 50 mila persone da Pripjat’ e Yanov ma, a parte gli sciacalli e un centinaio di samosely (occupanti abusivi, per lo più anziani), nessuno avrebbe più fatto ritorno.


Cinquantamila persone che all’improvviso avevano perso tutto, la propria casa, gli amici, le abitudini, i luoghi dei propri ricordi: una comunità cancellata per sempre. Molti di loro avrebbero avuto gravi ripercussioni sulla salute, o perlomeno l’angoscia del dubbio li avrebbe accompagnati per generazioni. Entro metà agosto sarebbero stati evacuati altri 188 villaggi tra Bielorussia ed Ucraina, alcuni dei quali rasi al suolo e interrati, per un totale di circa 116 mila persone (poco meno degli abitanti di Bergamo[29]) che sarebbero diventate 220 mila nei mesi successivi.[30] Intanto, migliaia di “liquidatori” civili e militari arrivavano da tutta l’Unione Sovietica nel disperato tentativo di mettere in sicurezza il reattore e limitare la contaminazione. Le storie drammatiche dei sopravvissuti sono state raccolte dalla scrittrice Svetlana Aleksievič nel suo famoso, straziante libro Preghiera per Černobyl’. Nonostante la politica della Glasnost’ (trasparenza[31]) proclamata un mese prima dal nuovo segretario generale Gorbačëv, solo martedì 29 (ovvero 4 giorni dopo) l’agenzia di stampa del Cremlino annunciò in modo telegrafico che a Černobyl’ c’era stato un non meglio precisato “incidente”. Il resto è storia contemporanea.

con pozioni infernali funestammo questi monti e queste valli
assai più della peste Faust, W. Goethe (1808)
radiomap

25 – Livelli di radiazioni misurati tra il 1992 ed il 1998 (chornobyl.in.ua)

October_1996-Swimming_Pool

26 – La piscina “Lazurniy” nel 1996, all’epoca ancora attiva per il personale della centrale nucleare.

Solo la stazione ferroviaria e la piscina olimpionica Lazurniy (quest’ultima fino agli anni ’90) rimasero attive per il personale della centrale, che nel frattempo continuò a funzionare fino al 2000, quando fu spento l’ultimo reattore. Lo stato di abbandono totale e — almeno inizialmente — l’assenza della sorveglianza promessa agli abitanti lasciarono il campo libero agli sciacalli, che fecero confluire sui mercatini di Kiev tonnellate di elettrodomestici ed oggetti vari, tutti altamente radioattivi.

Questa seconda nube atomica fatta di televisori, passeggini, termosifoni e tavolette del cesso (sic) costrinse le autorità a prendere seri, ma sempre tardivi, provvedimenti per arginare il fenomeno. Ora l’area è recintata e sorvegliata da checkpoint militari; una apposita agenzia governativa e un corpo di polizia sono stati istituiti per il controllo della “zona di esclusione”. L’accesso è consentito solo al personale autorizzato per la rilevazione periodica delle radiazioni e alle visite guidate per piccoli gruppi di turisti dell’estremo, affascinati dalla fatalità dell’apocalisse tecnologica di questa Pompei dell’era atomica, dove con un po’ di fantasia si può immaginare la vita degli anni ’80 nella più ambita delle città sovietiche. Sembra tanto tempo fa, ma noi qui guardavamo Magnum P.I. e Hazzard mentre nel palazzo della cultura di Pripjat’ si celebrava il mito del trionfo socialista. Subito dopo il disastro fu costruita una nuova città 50 km più a est, Slavutyč, per accogliere gli evacuati della zona di esclusione: come Pripjat’, fu intitolata al fiume più vicino, il Dnepr, di cui Slavutyč era l’antico nome slavo.

Panorama di Pripjat

27 – Veduta panoramica di Pripjat nel 2009 (M. Paavonen)

Oggi Pripjat’ è una città fantasma post–apocalittica. I battelli giacciono semiaffondati nel porto, tra le architetture moderne ed omogenee da città pianificata regna un silenzio spettrale. Per le strade deserte la vegetazione spontanea ha preso a crescere rigogliosa, attraverso le crepe dell’asfalto, non più disturbata dalla presenza dell’uomo. Si stima che ci vorranno cinque, forse sei secoli prima che i livelli di radioattività tornino alla normalità, almeno in superficie. Intanto, la zona di esclusione è diventata un’oasi di tranquillità per la fauna della Polessia: lupi, cinghiali selvatici, caprioli, cervi, alci e castori hanno ripreso a proliferare indisturbati. Non si può dire che sia “incontaminata”, ma è pur sempre natura.

Note

  1. [1]In ucraino Прип’ять (Pryp’jat’), in russo Припять, (Pripjat’); spesso scritto “Pripyat” dalla traslitterazione anglosassone. In questo articolo si userà la traslitterazione dall’ucraino, Pryp’jat’, per il fiume e dal russo, Pripjat’, per la città (essendo nome ufficiale).
  2. [2]Secondo Russisches etymologisches Wörterbuch, 1950-58 del linguista tedesco Max Vasmer (1886 – 1962).
  3. [3]Room, Adrian. Placenames of the World: Origins and Meanings of the Names… Jefferson, NC: McFarland, 1997.
  4. [4]Cataluccio, pag. 12 (op. cit.)
  5. [5]Andresen, Julie Tetel, and Phillip M. Carter. Languages in the World: How History, Culture, and Politics Shape Language. John Wiley & Sons, 2015. Pag. 210
  6. [6]Pripyat River ExplainedEverything Explained.
  7. [7]Cfr: Beretta, C., E.Anati, L. L. Cavalli-Sforza e C. R. Guglielmino. I Nomi Dei Fiumi, Dei Monti, Dei Siti: Strutture Linguistiche Preistoriche. Capo Di Ponte: Centro Camuno Di Studi Preistorici, 2007. Pag. 50
  8. [8]cfr. Borzyskowski, Andrzej “The Slavic Ethnogenesis: Identifying the Slavic Stock and Origins of the Slavs” andrzejb.net, 2003. Web, 26-01-2015.
  9. [9]Nuova Antologia Di Scienze, Lettere Ed Arti. Vol. 94. Roma: Direzione Della Nuova Antologia, 1887. Pag. 231.
  10. [10]L’estensione va dagli 80.000 km² c.a, secondo Treccani (cfr. “Polesia“), fino a 270.000 km² secondo Encyclopædia Britannica (cfr. “Pripet Marshes“).
  11. [11]Guerra sovietico–polacca, 1919–1921.
  12. [12]L’ala militare dei nazionalisti Ucraini, guidata dal generale antisemita Roman Shukhevich, cfr. Cataluccio pag. 87 (op. cit.)
  13. [13]Così era chiamata l’Ucraina all’epoca dell’Impero Russo.
  14. [14]Daily Express, n°6198, 23 febbraio 1920.
  15. [15]detta anche ChAES, ovvero “Čornobyl’skaja Atomnaya Elektronstancija“.
  16. [16]L’assenzio (Artemisia absinthium) e l’artemisia comune (Artemisia vulgaris) appartengono allo stesso genere, Artemisia.
  17. [17]Ora distretto (raion) di Ivankiv.
  18. [18]Nică, pag. 30 (op. cit.)
  19. [19]Le cosiddette ZATO, Zakrytye Administrativno–Territorial’nye obrazovanija, “Formazioni amministrativo-territoriali chiuse”.
  20. [20]Il cosiddetto chruščёvka (хрущёвка in russo) o “tipo Chruščёv”, era un modello architettonico a basso costo sviluppato durante gli anni ’60 durante il governo di Nikita Chruščëv (da cui il nome).
  21. [21]Forse dal nome della “città chiusa” di Lesnoj, ex “Sverdlovsk-45”, dove si assemblavano le testate nucleari; oppure perché un nome molto comune: in Russia esistono oltre 130 insediamenti così chiamati (cfr.).
  22. [22]Erano chiamati “Racketa” (Ракета) tutti gli aliscafi fluviali, dal nome del primo modello degli anni ’50. Un po’ come gli italiani continuano a chiamare “littorina” tutte le automotrici ferroviarie (cfr. Abrams, “Streamlined Soviet Passenger Hydrofoils“, Dark Roasted Blend. Web.
  23. [23]Nică, pag. 32 (op. cit.)
  24. [24]Almeno 22 asili, 15 scuole primarie e 5 secondarie.
  25. [25]Come il palazzo della Cultura, ma destinato a bambini e ragazzi.
  26. [26]Ribella, pag. 36 (op. cit.)
  27. [27]Cataluccio, pag. 96 (op. cit.)
  28. [28]Blackwell, Andrew Benvenuti a Chernobyl e altre avventure nei luoghi più inquinati del mondo (Laterza, 2013).
  29. [29]121 mila abitanti, ISTAT 2014.
  30. [30]Annex J: Exposures and effects of the Chernobyl accident (PDF), UNSCEAR, 2000. P. 453, sez. 2.
  31. [31]Letteralmente “pubblicità” nel senso di “dominio pubblico”.

Bibliografia e fonti

Immagini

1. robarmstrong2/Pixabay.
2. CIA/Commons
3. “Болото. Полесье” (Palude. Polesia) Ivan Šiškin, olio su tela, 1890 [PD] Commons.
4. Consorzio di Bonifica dell’Agro Pontino/Commons.
5. S.Neahev/chornobyl.in.ua.
6. © chornobyl.in.ua
7. John H. White/Environmental Protection Agency, 10–1973 Chicago IL [PD] National Archives and Records Administration.
8. © 2015 dragunov/Depositphotos.
9. c.a 1970, © ChNPP <chnpp.gov.ua> Chernobyl Nuclear Power Plant/State Agency of Ukraine on the Exclusion Zone Management/Ministry of Ecology and Natural Resources of Ukraine).
10–12. © Pripyat.com.
13. Yu. Yevsyukov, 1986, dal libro “Припятъ” (Pripyat) Kiev: ed. Mistectvo, 1986 (consultabile qui )
14. © chornobyl.in.ua.
15–19. © Pripyat.com.
20. Goshaproject [CC-BY-SA 3.0Commons.
21. 1986, dall’archivio dell’organizzazione dei liquidatori “Zemlyaki”.
22–24. dal filmato amatoriale di M. Nazarenko, 26–27 aprile 1986.
25. © chornobyl.in.ua.
26. Darek83, 10-1986 [CC-BY-SA 3.0] Commons.
27. Matti Paavonen [CC-BY-SA 3.0] Commons.

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Silvio DellʼAcqua

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Fondatore, editore e webmaster di Lapůta. Cultore di storia della Croce Rossa Internazionale. Appassionato di ricci.