Little Bighorn: la “collina dell’ultima battaglia”

In Luoghi di scontro, Personaggi, Storia di Alessio Lisi

Generale, di certo avanzeremo in mezzo a loro come un coltello attraverso il burro. Sarà certamente così. Io ho sempre ragione.dialogo tra un giovane tenente e Custer, all'alba del 25 giugno 1876, nei pressi di Little Bighorn
1 - George Armstrong Custer tra il 1860 ed il 1869

1 – Custer tra il 1860 ed il 1869.


«Arriva il 7º cavalleggeri!» è una frase ripetuta diverse volte in diversi contesti nella storia del cinema a volte seguita davvero dalla comparsa, nella celebre uniforme blu (nella realtà molto poco “uniforme”), di uno dei reparti più famosi di sempre dell’esercito americano. La fama di tale reparto è dovuta principalmente ad un comandante e ad una battaglia che sono rimaste impresse nell’immaginario collettivo americano, e da qui trasposti nel folklore hollywoodiano: ovvero Custer e la battaglia di Little Bighorn.

George Armstrong Custer (1839-1876) generale del corpo dei volontari ai tempi della guerra civile americana, fu poi inserito nei ranghi dell’esercito regolare statunitense con il grado di tenente colonnello anche se i suoi uomini continuarono a chiamarlo rispettosamente “Generale”. Diplomatosi all’accademia militare di West Point senza eccellere nei risultati, era tra gli ultimi della sua classe ma ebbe comunque una fulgida carriera durante la guerra civile americana. Coraggioso al limite dell’incoscienza non ebbe mai la modestia come sua dote e il suo carattere lo portò tra l’altro, nell’aprile del 1876, a portare una testimonianza non richiesta al Congresso accusando Orville Grant, fratello di Ulysses S. Grant (leggendario generale nordista della guerra civile e all’epoca presidente degli Stati Uniti), nell’ambito del Trader post scandal, con l’ovvio risultato di essere cacciato dall’esercito per poi essere reintegrato per intervento del generale Philip Sheridan: lo stesso che, al capo indiano che gli si presentava dicendo «io Tosawi, io buon indiano», rispose «gli unici indiani buoni che io abbia mai visto erano morti», tanto per dare un’idea del personaggio (la sua frase divenne poi celebre come «l’unico indiano buono è un indiano morto»).

Il luogo dello scontro, sul fiume Little Bighorn, si trova nell’attuale Montana orientale.

Custer arrivò così all’appuntamento con la Storia voglioso di guadagnarsi nuovamente la gloria militare. Da qualche mese il governo statunitense aveva deliberato una nuova offensiva alla nazione “indiana” e fu nel corso di questa guerra che il 21 giugno 1876 il generale Terry decise di entrare in azione contro una formazione di nativi che le sue fonti stimavano, nonostante l’evidenza delle prove contrarie, sulle poche centinaia. In realtà per la prima volta le varie tribù erano riuscite a superare le antiche divisione e ad organizzare una colonna mobile che si stima contasse tra i 3000 e gli 8000 guerrieri. Nell’elaborare la strategia Terry offrì a Custer il supporto del battaglione del maggiore Brisbin del Secondo Cavalleria e tre mitragliatrici Gatling, ma questi rifiutò molto probabilmente perché non voleva dividere con nessuno la vittoria. Custer non attese quindi i rinforzi e si mise in marcia ed aveva talmente tanta fretta di giungere per primo alla battaglia che disattese gli ordini ricevuti da Terry cambiando direzione senza avvisarlo: tale decisione comportò il fatto di non poter più contare sull’aiuto delle truppe di Terry o del colonello Gibbon in caso di necessità. Il 24 Giugno Custer si imbatté nei resti di un grosso accampamento ma non volle inviare una staffetta per avvertire il generale. Decise inoltre di distaccare la colonna dei cavalli da soma e delle salmerie poiché sul territorio accidentato, attraverso il quale stavano avanzando, non riuscivano a tenere il passo del resto della colonna e di mettere 130 uomini, un quinto del’intero reggimento, a guardia delle salmerie mentre lui e i suoi uomini si lanciavano all’inseguimento degli “indiani” cavalcando fino alle due di notte con solo un centinaio di proiettili per il fucile, 24 per i revolver e qualche cassa di viveri. Nella marcia alcune di queste casse furono perse e quando Custer inviò una squadra a recuperarle i suoi uomini trovarono sei guerrieri nativi seduti intorno ad esse a mangiarne il contenuto: questi si dettero alla fuga non appena avvistarono i soldati, ma l’elemento sorpresa per gli statunitensi era ormai perso. Custer dedusse da questo incidente che doveva fare ancora più in fretta per non farsi scappare le proprie prede, poiché dopo aver disubbidito al generale Terry questo insuccesso avrebbe posto fine alla sua carriera militare. Ciò che Custer ignorava era che gli indiani non stavano affatto scappando e anzi avevano come principale obbiettivo proprio lui. Con “Capelli Gialli (così chiamato per via della folta chioma bionda) avevano infatti diversi conti in sospeso: Custer aveva compiuto non pochi eccidi ai danni dei nativi senza risparmiare donne e bambini e ciò gli era valso gli appellativi poco gratificanti di “uccisore di squaw” (donne) e “figlio della stella del mattino” (un poetico eufemismo riferito all’abitudine di attaccare di sorpresa all’alba). Mentre “Sitting Bull” (detto anche Slon-he, “Lento”, a causa della sua abitudine di ben riflettere prima di agire) e “Crazy Horse” avevano pianificato nei dettagli un attacco all’esercito statunitense di cui seguivano costantemente le mosse, Custer, accecato dalla sete di gloria, sottovalutava pienamente il nemico e compiva un errore dietro l’altro. Nonostante sapesse infatti di essere stato individuato dal nemico Custer continuò nella sua marcia senza preoccuparsi di sapere numero e collocazione delle forze avversarie e nonostante non disponesse di tali informazioni decise comunque di dividere le sue truppe in tre battaglioni.

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2 – mappa della “battaglia di Little Bighorn” [CC-BY-SA-2.5]

I luoghi della battaglia oggi

La possibilità di attaccare singolarmente tre battaglioni separati in marcia in pieno territorio nemico e senza munizioni di scorta rappresentavano un regalo per Crazy Horse. Poco dopo mezzogiorno del 25 Giugno alla vista di una quarantina di Sioux in fuga Custer ordinò di inseguire e attaccare i nativi ovunque fossero stati trovati. Era ormai pomeriggio quando Custer alla testa della colonna accanto all’alfiere del reggimento (Custer aveva due bandiere, quella del reggimento e la sua personale di ex generale) condusse cinque squadroni del Settimo Cavalleria attraverso il Medicine Tail Coulee e fu l’ultima volta che furono visti vivi. Dopo di che tutto ciò che si sa della battaglia è frutto di racconti di seconda mano. L’intera battaglia di Little Bighorn non durò più di quaranta minuti con Custer e i suoi uomini che morirono combattendo fino all’ultimo sulla collina che prese il nome di “Collina dell’Ultima Battaglia“.

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3 – “Custer’s Last Stand”: Edgar Samuel Paxson, olio su tela (1899).

Il cavallo "Comanche", unico sopravvissuto di Little Big Horn, recuperato dalle truppe statunitensi

4 – Il cavallo “Comanche”, unico sopravvissuto di Little Bighorn, recuperato dalle truppe statunitensi

A “Capelli Gialli” gli indiani non sottrassero lo scalpo molto probabilmente come omaggio alla sua morte valorosa (un’altra ipotesi è che non fu riconosciuto dato che si era tagliato i capelli, ma Custer era in realtà comunque ben riconoscibile grazie alla giacca di pelle scamosciata che era solito indossare) tanto che Sitting Bull lo definì «un valoroso guerriero che come un incosciente corse incontro alla morte». Il contingente di Custer composto da cinque compagnie fu completamente annientato per un totale, stimato, di 225 vittime tra cui anche un giornalista del Bismarck Tribune che si era unito alla spedizione per essere il primo a raccontare la grande vittoria. L’unico superstite del contingente di Custer fu il cavallo Comanche che, trovato ferito accanto al corpo del suo padrone, il capitano Keogh, fu trasportato a Fort Lincoln dove dopo le cure ebbe i migliori trattamenti da parte del ricostituito Settimo Cavalleria (compreso un secchio di birra ogni volta che i soldati ricevevano la paga) e fu anche decorato con la Medaglia al Valore per l’eroismo dimostrato dal suo padrone.

5 - Le truppe del Capitano Sanderson a Little Big Horn, poco tempo dopo la battaglia (1876)

5 – Le truppe del Capitano Sanderson a Little Big Horn, poco tempo dopo la battaglia (1876)

Con la battaglia di Little Bighorn il Settimo Cavalleria entrò nella leggenda e nonostante abbia partecipato a diverse altre guerre, compreso la seconda guerra mondiale e la guerra in Vietnam ricevendo diverse onorificenze e medaglie, il suo nome è tuttora legato alla figura di Custer (a cui sono state erette statue e monumenti) e della sua Last Stand Hill. Ma possiamo davvero parlare di leggenda militare? A ben vedere infatti Custer, accecato dalla sete di mettersi in mostra, condusse più di duecendo uomini alla morte in conseguenza di errori madornali. Il giudizio su di lui può variare da “eroe” a baùscia (per utilizzare un termine brianzolo) a seconda delle proprie idee di riferimento. Senza voler recare offesa alla memoria di Custer e dei caduti in battaglia si può trasportare la vicenda di Little Bighorn in chiave moderna e civile e porci una domanda: se un uomo, per far colpo su una ragazza, entrasse in un bar con un paio di amici e, senza nemmeno guardare quante e quali persone siano presenti nel locale, iniziasse ad insultare tutti gli astanti al fine di scatenare una rissa, quale sarebbe il nostro personale giudizio? Ad ognuno di noi l’ardua sentenza.

Bibliografia e fonti:

Immagini:

  1. foto: George L. Andrews (periodo 1860-1869) [PD] Commons
  2. Piotr Tysarczyk [CC-BY-SA-2.5] Commons
  3. [PD] Whitney Gallery of Western Art Collection (Buffalo Bill Historical Center), Commons
  4. 1876 [PD] Commons
  5. 1876 [PD] Commons
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Alessio Lisi

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Tarantino di nascita e pavese di adozione. Il resto è coperto dal segreto di stato dell'isola di Laputa.