Il disastro di Fukushima

In Disastri industriali di Alessio Lisi

1979, veduta aerea della centrale nucleare Fukushima 1

1 – Centrale nucleare di Fukushima Dai-Ichi in una foto aerea del 1979.

 Ci siamo sempre fatti beffa delle regole tanto sapevamo che nessuno ci poteva toccare.Masatoshi Toyoda, ex vicepres. TEPCO

Le leggi fisiche che governano la crosta terrestre non si curano di alcun essere vivente perché obbediscono solo a se stesse. Fino alle ore 14:45 dell’undici marzo 2011 tutto ciò che viveva o era stato costruito nella regione giapponese del Tōhoku [1] ignorava che la crosta terrestre si accingeva a dare un’ennesima, devastante, dimostrazione della propria potenza. Alle ore 14:46 con epicentro in mare aperto a 130 chilometri da Sendai, nella prefettura di Miyagi, veniva liberata una potenza pari a 31,6 miliardi di tonnellate di tritolo raggiungendo il nono grado di magnitudo; il sisma è così forte che a Tokyo, distante 373 chilometri dall’epicentro, la magnitudo è ancora pari a 7.4. Il terremoto più forte mai registrato in Italia, quello di Messina del 1908, era di magnitudo 7.1, all’incirca mille volte meno potente di questo;[2] solo le scosse di assestamento del terremoto del Tōhoku sono state di 7.8 e 7.1, più altre 132 scosse di magnitudo 5 nell’arco della giornata, un migliaio nel corso del mese. Purtroppo per il Giappone non ci sarà modo di valutare i danni provocati dal terremoto; viene diradato l’allarme maremoto o, come tutto il mondo ormai conosce con il suo nome giapponese, tsunami.

2 – Effetti del terremoto e dello tsunami nella prefettura di Fukushima.

Gli abitanti del Tōhoku avevano un’ora di tempo per evacuare ma molti non capiranno l’allarme, altri sottovaluteranno, altri ancora non hanno fatto in tempo, altri forse semplicemente non volevano o potevano spostarsi. Spinto dal terremoto l’Oceano Pacifico si riversa sulle coste giapponesi penetrando per sei, sette, anche otto chilometri nell’entroterra con onde alte dai 10 ai 30 metri, fino a raggiungere la sua altezza massima di 38 metri nella piccola cittadina di Miyako. Gli effetti dello tsunami si riverberano in tutto il mondo, tanto da varcare lo stretto di Suez e far registrare increspature anomale, anche se solo di 10-15 centimetri, nel Mar Mediterraneo. Non c’è nulla che può resistere a qualcosa del genere: persone, barche, case, fabbricati, tutto viene travolto, sradicato, trascinato per chilometri dalla furia del mare e poi abbandonato. Due mesi dopo il triste bilancio contava 15.057 morti, 9.121 dispersi, 90.000 edifici crollati, 258.490 edifici danneggiati,[3] per danni materiali complessivi stimati nell’ordine dei 309 miliardi di dollari.

Veduta aerea della località di Kirikiri a Ōtsuchi, nella prefettura di Iwate, devastata dal terremoto e dallo tsunami.

3 – Veduta aerea della località di Kirikiri a Ōtsuchi, nella prefettura di Iwate, devastata dal terremoto e dallo tsunami.

Edifici rasi al suolo e mezzi di soccorso a Iwate il 18 marzo 2011.

4 – Edifici rasi al suolo dallo tsunami e mezzi di soccorso a Iwate, nell’omonima prefettura, il 18 marzo 2011.

È una devastazione totale, in una zona già povera dell’isola rispetto al più ricco sud, dove ci sono città come Tokyo e Osaka. Distruzione, macerie, persone care che hanno perso la vita e che non possono avere il rito funebre dello shukkotsu per via della carenza di carburante che impedisce la cremazione.[4] Il rito funebre è fondamentale nella cultura giapponese come lo era nell’antica cultura greca[5] la “degna sepoltura”: senza il rito l’anima del defunto non avrà pace. Oltre alla perdita di parenti e amici, si aggiunge il dramma di chi ha anche perso tutto il resto ossia sfollati e disoccupati. Come se non fosse già abbastanza sui giapponesi incombe un ulteriore incubo, quello nucleare.


Epicentro del terremoto del 2011 e centrali nucleari della regione del Tōhoku.

5 – Epicentro del terremoto del 2011 e centrali nucleari della regione del Tōhoku. I numeri tra parentesi indicano il numero di reattori.

Il Giappone nel 2011 è il terzo paese al mondo per numero di centrali con cinquantaquattro reattori, superato solo dagli Stati Uniti con centoquattro e dalla Francia con cinquantotto. Sulla costa colpita dallo tsunami vi sono gli impianti di Onagawa, di Tokai e i due impianti di Fukushima[6] ed è proprio nell’impianto di Fukushima Dai–ichi che la situazione si farà drammatica con un plurimo meltdown nucleare classificato al settimo e ultimo grado della scala INES, raggiunto fino ad allora solo dal disastro di Černobyl’. Gli occhi del mondo si poseranno su Fukushima mentre la sofferenza della popolazione passerà in secondo piano; la stampa in cerca di audience più che di informazione finirà per inventarsi di sana pianta notizie riguardo a Fukushima o, alla meglio, male interpretando ciò che avviene. Anche la stampa italiana darà il suo contributo finendo in quel “Wall of Shame”[7] che su internet racchiude tutte le invenzioni e gli errori di chi di mestiere dovrebbe informare correttamente. Così mentre per i media tradizionali giapponesi l’industria del nucleare è un tabù, come l’industria dell’auto, per cui non si indaga a fondo data anche la reticenza a comunicare ciò che avviene da parte della TEPCO, per la stampa estera (salvo qualche eccezione come Pio d’Emilia, corrispondente di SKY TG24) si tende più che altro al sensazionalismo. Passata la fase acuta dell’emergenza rimarrà l’idea diffusa che alla fine l’incidente di Fukushima Dai–ichi sia avvenuto per colpa dello tsunami, ma non la pensa così la commissione investigativa indipendente incaricata dal parlamento giapponese di fare chiarezza. Presieduta da Kiyoshi Kurokawa la commissione nel suo rapporto finale ha affermato che «l’incidente è stato il risultato delle collusioni tra il Governo, gli enti regolatori e la società TEPCO[8] e della loro incapacità di gestione. Con il loro comportamento hanno di fatto tradito il diritto della nazione giapponese di sentirsi libera dai rischi nucleari. Noi concludiamo pertanto che il disastro sia chiaramente dovuto all’uomo». Prima di capire il perché era evitabile, ripercorriamo l’escalation dell’emergenza nucleare che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso.

6 – Sala di controllo di Fukushima Dai–ichi (Fukushima 1).

L’emergenza iniziale

La centrale di Fukushima Dai–ichi della TEPCO (Tokyo Electric Power Company) è uno dei maggiori impianti del Giappone con sei reattori BWR[9] fabbricati dalla General Electric ed è in funzione dal 26 marzo 1971.[10] L’undici marzo 2011 i reattori delle unità 1, 2 e 3 sono operativi, i reattori delle unità 4, 5 e 6 sono fermi per le operazioni di sostituzione delle barre combustibili e d’ispezione. Dopo il terremoto il servizio meteorologico giapponese emette un primo avviso di pericolo tsunami relativo a un’onda dell’altezza minima di tre metri; alla centrale protetta da una barriera anti-tsunami per onde alte fino a sei metri probabilmente ritengono di non dover adottare particolari misure aggiuntive: alle 15:27 prima e alle 15:37 poi due tsunami, il secondo con onde alte fino a 15 metri, sono registrate a 1,5 chilometri dalla costa e una manciata di minuti dopo colpiscono la centrale.

Sezione della centrale di Fukushima 1 con livello medio del mare e livello delle onde del maremoto.

7 – Né la diga foranea né i terrapieni hanno potuto contenere le onde alte tra i 14 e 15 metri sopra il livello medio del mare che hanno investito la centrale (1: edificio del reattore; 2: edificio delle turbine).

Giorno 1 (11 marzo)

Alle 14:46 il terremoto mette fuori uso le linee di collegamento con la rete elettrica nazionale e manda la centrale in black–out. Per i reattori in funzione viene eseguito lo “SCRAM” (inserimento di tutte le barre di controllo) per arrestare la fissione nucleare ma si necessita comunque, per tutti i reattori, dei sistemi di raffreddamento per contenere il calore. Si avviano i generatori diesel di emergenza ma circa un’ora più tardi lo tsunami colpisce la centrale inondandola; si spengono anche i generatori diesel[11] e non vi è più alcun sistema di controllo funzionante: da questo momento nessuno sa più cosa sta accadendo all’interno dei reattori. Gli addetti nei locali della centrale sono al buio, non hanno alcuna informazione sui propri parenti, le comunicazioni con i colleghi e con la sala Emergenza non sono chiare, i manuali TEPCO carenti sul da farsi, i luoghi di lavoro sono esposti a dosi crescenti di radiazioni e spostarsi all’interno della centrale è a dir poco arduo per via dei detriti. Gli operai vengono incaricati dal direttore della centrale, Masao Yoshida, di andare a recuperare le batterie dalle auto e di comprare delle pile nel supermercato più vicino ancora agibile, in modo da avere un po’ di energia e provare a ripristinare parte degli indicatori; quando riescono a riaccenderli la situazione è a dir poco preoccupante. Nel reattore 1 si è danneggiato l’IC (Isolation Condenser) e questo causa una diminuzione dell’acqua nel reattore con conseguente innalzamento della temperatura; la temperatura sempre più alta innesca una reazione che produce idrogeno che è infiammabile e se il livello sale troppo può causare un’esplosione. Nella sala di controllo però non giungono informazioni aggiornate sullo stato del reattore 1 e la priorità viene quindi data al reattore 2, dove non si sa se è in funzione il sistema d’emergenza RCIC (Reactor Core Isolation Cooling System); se il sistema dovesse essere fermo per via del black–out la situazione diventerebbe grave a partire dalle ore 21:40. Di fronte a questa situazione alle 16:36 la TEPCO informa il governo e viene proclamata l’emergenza nucleare; la prefettura di Fukushima è la prima a emanare un ordine di evacuazione nel raggio di 2 chilometri dalla centrale. Alle ore 23:25 dopo aver ripristinato parte della strumentazione i valori sembrano essere normali per il reattore 2. Il reattore 3, per via della presenza di un dispositivo elettrico a corrente continua ancora in funzione, risulta in uno stato migliore rispetto agli altri e, con l’arrivo alle ore 22:00 di un piccolo generatore portatile, la luce viene ripristinata nella sala di controllo sia del reattore 3 sia del reattore 4. Nel mentre al reattore 1 i livelli di radiazione continuano a salire e alle 21:50 l’edificio è dichiarato off–limits. Si stima che a quell’ora il nucleo fosse già seriamente danneggiato con fuoriuscite di gas radioattivo e deposito di corium[12] sul basamento.

Pianta disposizione dei reattori a Fukushima 1

8 – Pianta di Fukushima 1 con la disposizione dei reattori.

Giorno 2 (12 marzo)

Date le condizioni sempre più gravi del reattore 1, dopo la mezzanotte viene presa in considerazione l’ipotesi di emettere gas radioattivo per far diminuire la pressione all’interno del reattore. La TEPCO chiede l’autorizzazione al Kantei, l’ufficio del primo ministro giapponese, che accorda il permesso; tuttavia il tentativo di aprire le valvole in maniera automatica fallisce alle ore 02:30. Occorre aprirle manualmente ma nel manuale TEPCO non c’è scritto come si fa. La radioattività intorno al reattore 1 continua a salire, agli uomini presenti alla centrale viene indicato come indossare le tute protettive, compreso gli uomini in sala controllo che continuavano a lavorare grazie solo alla luce di una torcia. Alle 05:14 la zona di evacuazione viene estesa al raggio di 10 chilometri; per via delle perdite di gas la pressione inizia a scendere e si prova a iniettare nuova acqua nel reattore tramite l’unico mezzo anti–incendio disponibile intorno al reattore 1. Nel reattore 2 il livello dell’acqua si mantiene stabile, per cui si deduce che il sistema RCIC sia ancora in funzione ma non si sa per quanto. Autocarri equipaggiati con un generatore sono portati al reattore 2 e collegati; il sistema RCIC si ferma alle ore 11:36 ma fortunatamente un’ora dopo entra in funzione il sistema HPCI (High Pressure Coolant Injecton system) che riesce a ripristinare il livello dell’acqua. Nel frattempo l’apertura delle valvole di sfogo procede a rilento; gli addetti TEPCO ce la stanno mettendo tutta ma sono in difficoltà. Il primo ministro Kan, preoccupato dal silenzio della TEPCO, decide di recarsi di persona alla centrale. Alle 14:30 finalmente le valvole di sfogo si aprono e agli addetti vengono somministrate pastiglie di ioduro di potassio, che saturano il corpo con lo iodio prevenendo così la ritenzione dell’isotopo radioattivo I-131, uno degli elementi prodotti dalla fissione nucleare, che tende a concentrarsi nella tiroide. Mentre si sta lavorando al reattore 2 per collegarlo a una pompa,  alle 15:36 si verifica un’esplosione nell’edificio del reattore 1 che polverizza la parte superiore della struttura e ferisce cinque operai. Anche se le valvole erano state aperte l’idrogeno si è infiltrato nell’edificio e il contatto con l’aria ha innescato l’esplosione. Il livello di radiazione sale oltre 1 millisievert per ora e alle 18:25 il primo ministro annuncia l’estensione del raggio di evacuazione a 20 chilometri. Gli effetti delle radiazioni sulla salute umana è argomento difficile e complicato in quanto incidono diversi fattori, ma in estrema sintesi si può considerare che la soglia per un serio rischio è una dose di 500 millisievert accumulata gradualmente in un anno, tenendo inoltre conto che siamo tutti esposti ogni giorno alla radiazione naturale di circa 2,4 millisievert all’anno.[13] Alle 19:04 i mezzi anti-incendio iniziano a pompare acqua di mare nel reattore 1. Nel frattempo alle 17:30 nel reattore 2 il sistema RCIC è ancora in funzione ma la temperatura di decadimento ha riscaldato troppo la piscina di raffreddamento e questo impedisce al vapore di condensarsi, con il risultato che la pressione nel reattore sale e si inizia a pensare all’apertura delle valvole di sfogo come fatto per il reattore 1. Nel reattore 3 alle 20:27 si esaurisce l’energia di un generatore d’emergenza e poco dopo si spengono gli indicatori di pressione e del livello dell’acqua, ma il sistema HPCI continua a lavorare.

  • Sezione schematicha di un reattore BWR

    9 – Schema tipico di un reattore BRW.

    1. Contenitore a pressione del reattore (Reactor Pressure Vessel).
    2. Contenitore del vapore o “pozzo secco” (Dry Well).
    3. Camera toroidale di abbattimento del vapore o “pozzo umido” (Wet Well).
    4. Contenimento secondario in calcestruzzo.
    5. Vasca del combustibile esausto.

Giorno 3 (13 marzo)

La situazione nel reattore 3 degenera. Alle ore 2:42 il sistema HPCI si ferma e non c’è più alcun sistema di iniezione dell’acqua funzionante. La pressione inizia a salire e alle 4:15 si è accumulato un’enorme quantità di idrogeno tale da rendere necessario aprire le valvole di sfogo: le valvole vengono aperte alle 08:41. Gli operai recuperano dieci batterie d’auto[14] e le collegano per far funzionare le valvole SRV (Safety Relief Valve) che consentono di depressurizzare il reattore. Alle 09:25 la pressione del reattore è calata abbastanza da permettere l’iniezione d’acqua ma alle 12:20 la procedura si interrompe perché la cisterna d’acqua si è svuotata. All’interno il livello dell’acqua torna a scendere e nonostante l’iniezione di acqua marina non si riesce a ripristinare un adeguato livello. Proprio l’iniezione di acqua marina rappresenta uno degli attimi più assurdi della vicenda: la TEPCO, i cui massimi vertici erano in Cina in un tour promozionale, aveva fatto divieto al direttore Yoshida di utilizzare l’acqua marina per evitare di danneggiare in modo irreparabile i reattori, per via dell’azione corrosiva del sale, anche se i livelli della temperatura erano sempre più allarmanti. Il direttore Yoshida disubbidisce agli ordini ma non si riesce comunque a raggiungere un livello d’acqua di sicurezza nel reattore. Il livello di radiazioni era salito a 300 millisievert per ora sulla porta del reattore, 12 millisievert per ora nella stanza di controllo. Nel reattore 2 invece verso le ore 11 il sistema RCIC aveva raggiunto una condizione difficile, e gli operatori si preparavano a depressurizzare il reattore e iniettare acqua con i camion anti–incendio.

Autocolonna militare in viaggio verso Fukushima il 15 marzo 2011 (USAF).

10 – Una colonna di mezzi dell’U.S. Air Force diretti a Fukushima il 15 marzo 2011: gli Stati Uniti hanno partecipato alle operazioni di soccorso con un contingente militare di 18 mila persone (“operazione Tomodachi”, cfr. A. Muzushima).

Giorno 4 (14 marzo)

Preoccupato dagli eventi il Kantei aveva inviato una squadra di pompieri specializzati a Fukushima. Mentre la squadra si preparava a entrare in azione, alle 11:01 si vede l’abbaglio di una luce arancione e immediatamente dopo l’edificio del reattore 3 esplode, danneggiando anche l’edificio del reattore 4 e ferendo sette operai. Per via dei danni l’iniezione di acqua marina è interrotta anche per i reattori 1, 2 e 4. Una società in sub–appalto, nonostante l’alto livello di radiazioni dei detriti che rendeva estremamente difficile i lavori, si mette all’opera alacremente e riesce a sgomberare l’area molto prima di quanto ci si aspetti: alle 16:30 nel reattore 3 è riattivata l’iniezione di acqua marina. Nel reattore 2 tuttavia la situazione peggiora perché alle 13:25 il sistema RCIC smette di funzionare del tutto; il livello dell’acqua non è sufficiente e, oltre ai detriti del reattore 3, a complicare la situazione ci si mettono le scosse di assestamento che ostacolano i lavori. Alle 18:22 il nucleo è pienamente scoperto e si tenta di aprire le valvole SRV e a iniettare l’acqua, ma la pressione che si crea nel reattore rallenta l’operazione e alle ore 22 il livello dell’acqua è molto sotto la sufficienza. Ai cancelli dello stabilimento di Fukushima la radioattività è salita a 0,6 millisievert per ora. Nel frattempo in questi quattro giorni gli operai riescono almeno a mettere in sicurezza il reattore 5, che se pur fermo conteneva enorme calore per via del combustibile esausto. Grazie a una linea collegata con un backup aggiuntivo del reattore 6, che permetteva di avere qualche sistema di controllo automatico in funzione, e agli operai che escogitano un sistema di comunicazione usando la campanella degli allarmi anti-incendio come un codice, alle ore 5 del 14 marzo si riesce a manipolare le varie valvole e a far entrare in funzione la pompa MUWC (MakeUp Water Condensate system) stabilizzando il reattore 5.

Fukushima, 2011: autopompa getta acqua sul reattore 3 poco dopo il disastro.

11 – Una autopompa getta acqua sul reattore 3 nel tentativo di raffreddarlo.

Giorno 5 (15 marzo)

Nel reattore 2 l’acqua ha continuato a bollire fino a che alle 6:00 si sente provenire un forte rumore dall’interno del reattore; quasi in contemporanea nello stesso momento si ha un’inspiegabile esplosione nell’edificio del reattore 4, forse causato dall’idrogeno rilasciato dallo scoppio del reattore 3.[15] La pressione nel reattore 2 cala repentinamente e se ne deduce una rottura della struttura di contenimento, ossia la penultima barriera tra il materiale radioattivo e l’ambiente. L’ultima barriera è rappresentata dall’edificio che contiene il reattore e che nel caso del reattore 4 è anch’esso danneggiato dall’esplosione. Dato che la situazione ambientale è peggiorata con l’aumento di radioattività e vi è il rischio di ulteriori pericoli, la TEPCO decide di evacuare parte degli addetti della centrale mandandoli all’impianto di Fukushima Dai–ni. Il primo ministro Kan interpreta questa decisione come un’evacuazione totale e un abbandono della centrale al suo destino; ordina pertanto alla TEPCO di rimanere ma si tratta di un’incomprensione dovuta al clima di sfiducia che si è creato. Alla fine il personale viene evacuato e a fronteggiare la situazione d’emergenza restano una cinquantina di addetti. Le autorità emettono un nuovo avviso chiedendo ai residenti nel raggio di 30 chilometri dall’impianto di non uscire di casa.

Fukushima Dai Ichi, i danni dell'incidente in una foto satellitare del 16 marzo 2011 (DigitalGlobe) www.digitalglobe.com

12 – Immagine satellitare della centrale il 16 marzo 2011: la colonna di fumo si solleva dal reattore 3 (Digital Globe).

Il reattore 4

Dopo l’esplosione dell’edificio del reattore 4, la Nuclear Regulatory Commision (NRC) americana dirama un avviso ai cittadini statunitensi di evacuare tenendosi a un raggio di 80 chilometri [16] dalla centrale; sempre la NRC in un documento interno ipotizza che sia da evacuare l’area metropolitana di Tokyo. Ma cosa sta destando così tanta preoccupazione nell’ente statunitense? La preoccupazione e l’allarmismo derivano dal fatto che l’acqua nella piscina di raffreddamento del combustibile esausto sta evaporando, e il vapore viene rilasciato direttamente nell’atmosfera per via delle crepe aperte dall’esplosione. Contribuiscono all’allarmismo: la mancanza di un indicatore del livello dell’acqua della piscina o di una videocamera di sorveglianza, il timore che terremoto e l’esplosione possano aver danneggiato gravemente la piscina con conseguente perdita d’acqua, le informazioni sulla radioattività rilasciata inattendibile per via della contaminazione dovuta al reattore 3; la mancanza di strumenti per analizzare la situazione nel complesso. L’uranio contenuto nella piscina di raffreddamento può essere stimato nell’ordine delle 172 tonnellate e basti pensare che nel reattore di Černobyl’ ve ne erano 160. Anche se non si può fare il paragone con l’incidente sovietico e non si può sapere come potrebbe propagarsi il meltdown nucleare, è comunque certo che esiste un pericolo serio per il Giappone. Il 16 marzo il premier ordina all’esercito di tentare di riempire la vasca tramite gli elicotteri, prelevando l’acqua dal mare, ma il forte vento e la massiccia dose di radiazioni impediscono di portare a termine il compito. Il 17 marzo si fa un nuovo tentativo tramite camion anti-incendio che, grazie a cannoni ad ampia gittata, sparano acqua direttamente sulla piscina nel tentativo disperato di ripristinare il livello dell’acqua, ma una settimana più tardi il livello è ancora pericolosamente basso. Poi improvvisamente e apparentemente senza spiegazione il livello torna di colpo —e per fortuna— nella norma, anche se occorrerà continuare a iniettare tonnellate d’acqua ogni giorno. Si scoprirà che lo scampato pericolo è dovuto a un guasto: la paratia che funge da valvola tra due comparti, studiata per separare la piscina posta sopra il reattore dalla piscina di raffreddamento, si è rotta e l’acqua si è riversata nella piscina di raffreddamento riempiendola (su questa ricostruzione vi sono però dubbi)[17].

Ingresso principale della centrale di Fukushima 1, il 13 aprile 2011: il personale indossa indumenti e presidi protettivi.

13 – Ingresso principale della centrale di Fukushima Dai–ichi il 13 aprile 2011: il personale indossa indumenti e presidi protettivi.

L’emergenza attuale

La centrale di Fukushima Dai-ichi ha continuato e continua a lottare contro il disastro nucleare. Altri incidenti sono accaduti, senza per fortuna raggiungere la gravità dei primi giorni dell’emergenza. Le emissioni radioattive rilasciate nell’ambiente risulterebbero essere circa il 18%[18] di quelle di Černobyl’, ma i danni sull’ambiente terrestre e marino intorno alla centrale nucleare [19] e sulla salute umana sono difficilmente calcolabili. Si pensa che per completare le operazioni di smantellamento degli impianti danneggiati bisognerà attendere 40 anni, mentre i primi robot, appositamente progettati per Fukushima, inviati a sondare la situazione nei reattori non hanno resistito alle radiazioni e  —proprio come a Černobyl’— sono finiti in corto circuito. In assenza di informazioni precise sullo stato dei reattori 1, 2 e 3, non possiamo far altro che sperare che il materiale radioattivo ancora all’interno non entri mai in contatto con il terreno o con l’oceano.

14 – L’edificio del reattore nº 3 cinque anni dopo.

L’innesco del disastro

È indubbio che a innescare il disastro di Fukushima siano stati prima il terremoto e poi lo tsunami. Per la TEPCO anzi è stato solo lo tsunami ma la commissione Kurokawa è di tutt’altro parere. In realtà dagli elementi in possesso la commissione ipotizza che gravi danni li abbia fatti in primis il terremoto, che ha provocato la totale disconnessione dalla rete elettrica e nel caso del reattore 1 probabilmente ha causato una perdita di refrigerante.[20] Questa perdita di refrigerante ha messo fuori uso l’IC del reattore 1 e da quel momento non c’era più modo di evitare l’esplosione. Non è chiaro il perché il reattore 2 non sia esploso come l’1 e il 3 e per spiegarlo si sono fatte solo ipotesi. Di certo larga parte delle radiazioni rilasciate nell’ambiente provengono dal reattore 2. La dinamica fa pensare che l’insufficienza del raffreddamento ha portato alla formazione di bolle di vapore nella camera di soppressione causando delle vibrazioni: così sollecitata la camera di soppressione, già messa a dura prova dall’innalzamento della pressione e dalle vibrazioni causate dalle scosse di assestamento, poteva rompersi o scoppiare in qualsiasi punto e in qualsiasi momento. Il reattore 3 si trovava in una situazione migliore grazie al dispositivo a corrente continua ancora in funzione, tuttavia la fortuna non fu pienamente sfruttata in quanto gli sforzi furono concentrati sulle precarie condizioni dei reattori 1 e 2. Una volta venuta meno l’energia anche il reattore 3 si è trovato nella stessa situazione degli altri due. L’esplosione del reattore 3 poteva anche essere peggiore; infatti è stato calcolato che se tutta la lega di zirconio all’interno del reattore avesse reagito con l’acqua, l’idrogeno prodotto poteva dar luogo a una esplosione pari a 58 tonnellate di tritolo. La luce arancione intravista prima dell’esplosione è riconducibile all’imperfetta combustione del monossido di carbonio contenuto nel gas esplosivo.

La città di Namie evacuata dopo l'incidente di Fukushima (2011)

15 – Aprile 2011: la città di Namie evacuata dopo l’incidente di Fukushima.

È un disastro umano

Se terremoto e tsunami hanno innescato l’incidente, la causa fondamentale di quanto accaduto risiede nelle condizioni vulnerabili dell’impianto nucleare. Il rapporto Kurokawa approfondisce il tema se l’incidente fosse evitabile e in quelle pagine è chiaro l’atto di accusa sia verso la TEPCO sia verso tutti gli enti regolatori: la Commissione per la Sicurezza Nucleare (NSC), l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare e Industriale (NISA), il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (METI). Nel 2006 la NSC aveva rivisto le vecchie linee guida per le misure anti–sismiche ma la TEPCO aveva ottenuto un rinvio dell’adozione delle norme prima al 2009 e poi al 2016, senza che alcuno battesse ciglio. Oltre a sottostimare i pericoli del terremoto in una delle aeree più sismiche del mondo, la TEPCO sottostimava anche i pericoli dello tsunami basandosi su un arbitrario uso della teoria della probabilità (tramite il cosiddetto metodo JSCE). Per la commissione Kurokawa se gli enti regolatori avessero importato e imposto agli impianti nucleari giapponesi le misure di sicurezza adottate dagli Stati Uniti dopo gli attentati del 2001, il disastro di Fukushima poteva essere evitato. La TEPCO si era aggressivamente opposta a nuovi regolamenti di sicurezza e insieme alla Federazione delle compagnie elettriche (FEPC) ha fatto pressione sul Ministero (METI), di cui la NISA fa parte, che era un promotore dell’energia nucleare. Questa connessione tra controllati, sorveglianti e promotori ha di fatto reso gli enti regolatori ostaggio delle compagnie elettriche, con il risultato che le funzioni di monitoraggio e supervisione della sicurezza nucleare sono implose. Il rapporto elenca una moltitudine di errori e di negligenze volontarie che hanno reso la centrale impreparata per gli eventi dell’undici marzo, oltre a gravi carenze nel rispondere all’emergenza da parte della TEPCO, dell’autorità di regolamentazione e del governo: è tutto questo a rendere quello di Fukushima un incidente causato dall’uomo e non un disastro naturale.

16 – la centrale di Fukushima Dai–ichi nel 2016.

Il lato oscuro del Sol levante

Fukushima ha incrinato il mito del perfezionismo giapponese. Non solo l’incidente alla centrale ha fatto emergere un grosso problema di sicurezza e di mancanza di sorveglianza, ma ha anche mostrato i limiti dell’impero nipponico incapace di affrontare adeguatamente l’emergenza nucleare e di limitarne i danni. La confusione creatasi nella catena di comando e la confusione nell’organizzare l’evacuazione, con notizie e direttive non meglio precisate, di certo non ha contribuito a ridurre i rischi e ha aumentato i disagi e i pericoli per la popolazione residente nei dintorni dell’impianto. Per non parlare delle mille batterie urgenti ordinate alla Toshiba dalla TEPCO la sera del 12 marzo, che tardavano ad arrivare perché non si riusciva a ottenere l’autorizzazione dalla polizia per usare l’autostrada, chiusa dopo il terremoto non per i danni subiti ma proprio per riservarne l’uso alle operazioni di emergenza: per la burocrazia una centrale nucleare che chiede d’urgenza delle batterie non rientrava tra le emergenze. Dulcis in fundo decine di imprenditori, enti e altri personaggi vari ed eventuali intasavano i centralini per chiedere l’esenzione dai black–out programmati a seguito del calo della produzione di energia elettrica. È forse per questo contesto che Kiyoshi Kurokawa nell’introdurre il rapporto della commissione lancia un duro attacco contro una mentalità largamente diffusa in Giappone, una mentalità che ha come caratteri distintivi: l’obbedienza, la riluttanza a mettere in discussione l’autorità, la difesa della propria organizzazione come primo dovere, l’isolazionismo. Kurokawa non cerca colpevoli,[21] ma auspica che la “lezione di Fukushima” non vada persa portando un cambio di mentalità e lo sviluppo della società civile giapponese.

Noi dal canto nostro non possiamo entrare nel merito di un dibattito o di una riflessione che spetta ai giapponesi; ci limitiamo pertanto a rendere omaggio a tutti coloro che hanno lottato per impedire un disastro peggiore, e ad augurare al popolo giapponese di non vedere più la propria fiducia tradita da chi dovrebbe garantirla.

17 – Immagini dalla “zona di evacuazione” di Fukushima (Getty Images).

Note

  1. [1]Il Tōhoku è una regione situata nel nord-est dell’isola di Honshū, la più grande del Giappone.
  2. [2]La Scala Richter è logaritmica.
  3. [3]Insieme a 3.970 strade, 71 ponti, 4 dighe e 26 linee ferroviarie.
  4. [4]Il rituale in estrema sintesi prevede che, dopo un accurato lavaggio e vestizione con accanto gli oggetti più cari, il defunto venga cremato e le sue ossa e le ceneri raccolte in un’urna e consegnate ai congiunti.
  5. [5]Curiosamente anche i giapponesi “pagano” il passaggio del fiume dell’aldilà come gli antichi greci con Caronte, ma le monete per il pedaggio in questo caso sono sei.
  6. [6]Gli impianti sono quelli di Fukushima Dai–ichi e Fukushima Dai–ni lett. Fukushima 1 e 2.
  7. [7]Lett. “muro della vergogna”: il sito è jpquake.info.
  8. [8]La TEPCO è la società proprietaria dell’impianto.
  9. [9]Boiling Water Reactor ossia reattori ad acqua bollente.
  10. [10]Entrati in funzione tra il 1971 e il 1979 i reattori sono di tre tipi: l’unità 1 è un reattore BWR3 con contenimento MARK I, le unità 2, 3, 4 e 5 sono reattori BWR4 con contenimento MARK I, l’unità 6 è un reattore BWR5 con contenimento MARK II. La costruzione della centrale nucleare di Černobyl’, in Ucraina, ebbe inizio nel 1970 ed il primo reattore entrò in funzione nel 1978.
  11. [11]Due operai che lavoravano nel locale muoiono annegati.
  12. [12]Il corium è una lava radioattiva prodotta dalla fusione del combustibile nucleare.
  13. [13]Dipende molto dalla zona, ad esempio Roma ha una radioattività naturale superiore a quella della città di Fukushima.
  14. [14]Che il direttore abbia incaricato gli operai di andare a recuperare le batterie e a comprare pile è accertato, tuttavia dalle fonti consultate non si riesce a capire in modo univoco se ciò è avvenuto l’11 marzo o il 13 o in entrambi i giorni. Il rapporto Kurokawa pur non specificando la data ne riferisce due volte in due momenti diversi e pertanto al momento si è scelto di indicarli in due giornate diverse.
  15. [15]La commissione tiene a precisare che questa è solo un’ipotesi e non ci sono prove a supporto.
  16. [16]Nel comunicato si parla di 50 miglia.
  17. [17]Si rimanda al libro Romano, Luca L’avvocato dell’atomo. In difesa dell’energia nucleare. Fazi editore.2022
  18. [18]Si stimano 900.000 TBq di materiale radioattivo disperso contro 5.200.000 TBq stimati in Ucraina, ma sono stime da prendere con le “pinze”.
  19. [19]Oltre undicimila tonnellate di acqua altamente radioattiva sono state rilasciate nell’oceano pacifico.
  20. [20] In gergo è definita LOCA ossia Loss of coolant accident.
  21. [21]Dal punto di vista legale invece è tutt’altro discorso ma rientra nella sfera della magistratura.

Bibliografia e fonti

Immagini

  1. United States Department of Energy, 1971 c.a [PD] Commons.
  2. Steve Herman, marzo–aprile 2011 [PD] Voice Of America/Commons (1, 2, 3).
  3. Dylan McCord, U.S. Navy, Iwate 18 Mar. 2011 [PD] Commons.
  4. Dylan McCord, U.S. Navy, Iwate 18 Mar. 2011 [PD] Commons.
  5. Silvio Dell’Acqua, 9/7/2016 [CC BY—SA 4.0] Laputa.
  6. Kawamoto Takuo, 1999 [CC–BY 2.0] Commons (1, 2, 3).
  7. S. Dell’Acqua/www.laputa.it [CC–BY–SA 3.0] derivato da Shigeru23, Commons.
  8. S. Dell’Acqua/www.laputa.it [CC–BY–SA 3.0].
  9. derivata da: Roulex_45 [CC–BY–SA 4.0] Commons.
  10. U.S. Air Force/Airman 1st Class Andrea Salazar, Joban Expressway 15 Mar. 2011 [PD] Commons.
  11. Rikujojieitai Boueisho [CC–BY–SA 3.0] Commons.
  12. Immagine satellitare dell’impianto di Fukushima Dai–ichi del 16 marzo 2011, Digital Globe [CC-BY-SA 3.0Commons.
  13. Steve Herman, 13 Apr. 2011 [PD] Voice Of America/Commons.
  14. © Cristopher Furlong, 11 Mar. 2016 — Getty Images.
  15. Steve Herman, 12 Apr. 2011 [PD] Voice of America/Commons.
  16. © JIJI Press/Stringer, 26 Mar. 2016 — Getty Images.
  17. © Getty Images.
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Alessio Lisi

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