Jackie Roosevelt Robinson nel 1954

La favola dei Brooklyn Dodgers

In Sport di Alessio Lisi

Jackie Roosevelt Robinson nel 1954

se cambi il baseball cambi l’America Lester Rodney, giornalista sportivo

Il baseball è il passatempo nazionale degli Stati Uniti e non si tratta solo di numero di appassionati o audience televisiva, dove divide la “torta” con football, basket e hockey, ma di radicata cultura popolare. A differenza degli altri sport il baseball può essere praticato da chiunque, a prescindere dalla costituzione fisica, e grazie ai lunghi “tempi morti” è più facile da seguire nonostante le attività lavorative. Persino nella tragica giornata del 11 settembre 2001, durante le dirette televisive sugli attentati, i conduttori hanno chiesto scusa ai telespettatori per aver interrotto le partite di baseball. Agli inizi del Novecento il baseball era di gran lunga il gioco più amato nella nazione, ed è proprio in quegli anni che si colloca la storia di una squadra che ha cambiato il baseball e forse anche un po’ il paese: i Brooklyn Dodgers. La franchigia[1] fondata nel 1883 con il nome di Brooklyn Atlantics e che prese poi il nome Grays, era figlia della tradizione newyorkese nel baseball che risale al club Excelsior fondato nel 1854. Furono inizialmente soprannominati Bridgerooms, gli “sposi”, perché sette giocatori si sposarono nello stesso periodo nel 1888. Seguirono altri soprannomi e nel 1895 fu la volta di “trolley–dodgers”, ovvero “schivatori di tram”, che in senso spregiativo era un riferimento ai numerosi tram che attraversavano il quartiere creando pericoli ai pedoni.

Coda per entrare in un campo da baseball a Brooklyn nel 1908 circa.

1 – Newyorkesi in coda per entrare in un “field”, un campo da baseball, a Brooklyn Park nel 1908 c.a. Sulla sinistra un venditore di gelati con il carretto.

Brooklyn era un quartiere operaio, grande quanto una città, abitato da immigrati da ogni dove come italiani, tedeschi, irlandesi, ebrei e ispanici e la squadra di baseball si contrapponeva alle più altolocata squadra dell’isola di Manhattan, i New York Giants,[2] e del Bronx, quelli che sarebbero diventati leggendari come i New York Yankees. La rivalità all’inizio del secolo fu soprattutto con i Giants e fu accesissima, tanto che le partite tra le due squadre registravano il pieno di tifosi, molto rumorosi, stipati sugli spalti. La squadra ebbe il suo primo stadio a Washington Park, così chiamato perché ivi l’esercito continentale guidato da George Washington aveva combattuto, e perso, la battaglia di Long Island contro l’esercito inglese. Nel 1908 il proprietario Charlie Ebbets volle regalare al quartiere uno stadio più grande e moderno, e comprò un intero isolato dismesso (noto come Pigtown) nella zona di Flatbush, tra Bedford Avenue e Sullivan Place.

Mappa catastale di Ebbets Field, 1920

2 – Ebbets Field, in una mappa catastale del 1920 circa. Il quadrato al centro rappresenta il “diamante”, ovvero il campo di gioco.

Lo stadio di Ebbets Fields a Brooklyn, in una cartolina degli anni '30-'40.

3 – Lo stadio di Ebbets Fields a Brooklyn, in una cartolina degli anni ’30-’40.

Lo stadio, i cui lavori iniziarono nel 1912 per poi essere inaugurato il 9 aprile del 1913, fu battezzato Ebbets Field senza genitivo sassone perché doveva appartenere, almeno metaforicamente, ai tifosi. Costato 750 000 dollari grazie all’accordo con la ditta di costruzione dei fratelli McKeevers, lo stadio aveva un atrio con pavimento rivestito in marmo italiano, un lampadario, sale guardaroba e sedili progettati per dare ai tifosi un’esperienza simile a un bel teatro. La New York operaia aveva una nuova casa (inizialmente da 18 000 posti cresciuti poi fino a 35 000) e gli “schivatori di tram”, se non potevano accedere al “diamante”, potevano sempre spiare la partita dai buchi nella recinzione in legno, soprannominata appunto “peephole gang”. Fuori dallo stadio una veduta familiare erano i carretti che vendevano frankfürter caldi tra due fette di pane morbido per non scottarsi le dita: idea lanciata, pare, proprio a New York da un immigrato tedesco agli inizi del Novecento e divenuta celebre con il nome di “hot dog”.[3]

ingresso di Ebbets Field nel 1920

4 – Ingresso principale di Ebbets Field: è il 5 ottobre 1920 e la folla attende l’inizio della partita contro i Cleveland Indians per la World series.

Wilbert Robinson a Ebbets Field nel 1913

5 – Wilbert Robinson a Ebbets Field nel 1913.

La franchigia dal 1914 al 1931 fu allenata da Wilbert Robinson detto Uncle Robbie (Zio Robbie), riuscendo a raggiungere le finali delle World Series[4] nel 1916 e nel 1920 seppure perdendole entrambe. L’allenatore ebbe un impatto notevole sui Dodgers tanto che questi erano conosciuti anche come i “Robins”. La squadra era l’orgoglio dei cittadini di Brooklyn e lo stadio il giorno della partita era il centro della vita sociale del quartiere, tuttavia i successivi anni ’20 e ’30 non furono un periodo glorioso e anzi passarono alla storia come “daffiness era” (era della sbadataggine) regalando non pochi aneddoti. Per esempio nel 1929 lo Zio Robbie per rimproverare i suoi giocatori creò nello spogliatoio il Boneheads Club, ovvero la società delle teste di legno, in cui di volta in volta veniva nominato “presidente” colui che si era macchiato dell’errore più grave; per ironia della sorte lo stesso Zio Robbie rivestì tale simbolico ruolo dopo una brutta sconfitta. Nel 1932 invece tre giocatori riuscirono nell’impresa di occupare insieme la terza base, ostacolandosi a vicenda tra la rabbia e l’ilarità degli spettatori. Nonostante i risultati poco brillanti Ebbets Field era comunque sempre pieno di tifosi. Nel frattempo il 18 aprile del 1925 Charles Ebbets morì all’età di 66 anni e quel giorno iniziava la prima di due partite consecutive contro i Giants; Robinson spinse per giocare normalmente le partite perché «Charlie non avrebbe voluto che qualcuno si perdesse una serie tra Giants e Brooklyn solo perché lui è morto»,[5] e i Dodgers le persero entrambe. Fu proprio negli anni ’30 che a Willard Mullin, vignettista del New York World Telegram, dopo aver sentito i Dodgers essere soprannominati “Bums” da un tifoso, venne l’idea di personificare la squadra nel personaggio di Brooklyn Bum, un senzatetto con sembianze tipiche del clown;[6] il personaggio divenne molto popolare così come il soprannome “Bums”, che ben si prestava a una squadra di amabili perdenti. Nel 1938 direttore generale della franchigia, il cui nome cinque anni prima era diventato ufficialmente Brooklyn Dodgers, diventò Larry MacPhail che era solito licenziare due volte lo stesso allenatore: la prima volta da buon bevitore lo faceva tra i fumi dell’alcool dopo una partita persa; la seconda da lucido il giorno dopo perché, non ricordandosi di averlo esonerato, si infuriava non vedendolo presentarsi agli allenamenti. A parte questo particolare MacPhail fu un dirigente innovativo e capace e dopo essere stato il primo a concedere i diritti radiofonici per la trasmissione delle partite, con cui pagò manutenzione dello stadio e stipendi dei giocatori, riportò nel 1941 i Dodgers nelle finali delle World Series in cui lottarono contro gli Yankees in quella che fu definita la “subway series”[7] per indicare il carattere tutto newyorkese, come già avvenuto durante le sfide tra Giants e Yankees negli anni precedenti. La favola della squadra operaia newyorkese che poteva battere i più blasonati cugini però non ebbe il lieto fine: al nono inning i Dodgers erano in vantaggio per 4 a 3 e prossimi a chiudere la partita che avrebbe riportato la serie[8] in parità, e invece per un incredibile errore del catcher gli Yankees finirono per vincere partita e titolo.

Branch Rickey nel 1913

6 – Branch Rickey nel 1913

Due mesi dopo gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale e MacPhail si arruolò nell’esercito, lasciando il suo ruolo a Wesley Branch Rickey, semplicemente l’uomo che cambiò i Dodgers e il baseball. Durante la guerra Rickey girò per tutti gli Stati Uniti alla ricerca dei migliori giocatori adolescenti che non potevano essere chiamati alle armi. Rickey mise sotto contratto i ragazzi destinati a passare alla storia come i “boys of summer”, i quali formeranno insieme ai veterani una squadra estremamente competitiva. La vera rivoluzione di Rickey fu però l’ingaggio di Jackie Roosevelt Robinson, il primo giocatore afroamericano della storia della Major League. Fin dalle origini il baseball aveva un regola informale: era uno sport per soli bianchi. Ai neri la Major League era interdetta, per via della preoccupazione che l’introduzione dei giocatori afroamericani potesse comportare un notevole calo di tifosi anglosassoni. Il problema per Rickey era invece: sarebbe riuscito Robinson, deferito alla Corte Marziale durante il servizio militare per aver infranto l’informale codice razzista dell’esercito, a resistere agli insulti e alle provocazioni? Per metterlo alla prova lo invitò nel suo studio il 28 agosto del 1945, accogliendolo con le testuali parole «Siediti negro di merda, benvenuto». Robinson reagì d’istinto e Rickey gli indicò subito la porta; furioso Robinson gli chiese «Ma scusi non vuole nella sua squadra un giocatore abbastanza forte da essere pronto a combattere?» e Rickey rispose «no, voglio un giocatore abbastanza forte da non combattere». L’accordo tra i due fu che Jackie non avrebbe mai reagito agli insulti, pena la rescissione del contratto.

Scena dell'incontro tra il presidente Rickey Branch e Jackie Robinson, dal film "Jackie Robinson Story" (1950)

7 – 28 agosto 1945: il presidente Rickey Branch (interpretato da Minor Watson) riceve il vero Jackie Robinson in una scena del film Jackie Robinson Story, 1950 (regia di Alfred E. Green).

Nella foto di rito Robinson firmò il primo contratto da professionista per un afroamericano sotto la fotografia di Abraham Lincoln. In realtà si era ancora in un epoca di semiprofessionismo, motivo per cui tutti i giocatori dei Dodgers si dovevano trovare un lavoro alternativo durante la stagione invernale; nel caso dei Dodgers i giocatori vivevano tutti a Brooklyn a stretto contatto con i propri tifosi, favorendo così il senso di appartenenza dei cittadini al club vissuto come una seconda grande famiglia. L’ingresso di un afroamericano nella Major League spaccò per primo lo spogliatoio dei Dodgers dove militavano giocatori del Sud (→Yankee vs. Dixie); Rickey per tutta risposta minacciò di licenziare chiunque si fosse opposto all’avere Robinson in squadra.

Jackie Robinson Story lobby card poster 1950

8 – Locandina del film Jackie Robinson Story del 1950, con Jackie Robinson che interpreta sé stesso.

Dopo un anno in prestito in Canada, Robinson fece il suo debutto a Ebbets Field il 15 aprile del 1947 e se l’accoglienza di casa fu buona, in trasferta i beceri insulti razzisti erano la norma. Il New York Post definì Robinson «l’uomo più solo nel mondo dello sport» e a poco valse il gesto del capitano Pee Wee Reese, uno che non aveva mai stretto la mano a un nero, che lo abbracciò sul campo di Cincinnati per sfidare gli insulti dei tifosi locali. Robinson e i boys of summer quell’anno raggiunsero le finali delle World Series, di nuovo contro gli Yankees nei quali militava un certo Joe DiMaggio. Per i Dodgers fu ancora una volta sconfitta, ma quell’anno poteva considerarsi storico perché avevano rotto il tabù razzista cambiando il baseball. A riprova di quanto importante sia stato il ruolo di Jackie Robinson nel baseball, nel 1997 la MLB (Major League Baseball) per la prima volta nella storia ha ritirato il suo numero, il 42, dall’intera lega; dal 2004 il 15 aprile ricorre il “Jackie Robinson Day”, in cui tutti i giocatori di tutte le squadre indossano il numero 42.

Jackie Robinson 1946

9 – Jackie Robinson (a sinistra) a Montreal, Canada, nel 1946.

Gli Yankees rappresentarono la bestia nera dei Dodgers anche nelle finali delle World Series degli anni 1949, 1952 e 1953. Sette finali perse fino ad allora per i Dodgers nella loro storia, cinque contro i concittadini Yankees, e ovviamente sui quotidiani divenne ricorrente lo sfottò “Aspettate fino al prossimo anno!“.[9] Nel 1951 invece i Dodgers persero lo spareggio per accedere alle World Series contro gli altri storici rivali dei Giants e, per ricordare al quartiere le cose davvero tragiche, la stazione radio della CBS diffuse più volte al giorno il bollettino dei caduti americani nella guerra in Corea. Nel 1955 i Dodgers disputarono un grande campionato e annoveravano tra le loro fila anche il primo nero ispanico, il cubano Sandy Amoros, per un totale di sei giocatori di colore. I Dodgers arrivarono alle finali delle World Series e ancora una volta dovettero affrontare gli Yankees.

"Who's a bum!" copertina del New York Daily, 5 Ott. 1955

10 – “Who’s a bum!” intitola il New York Daily il 5 Ottobre 1955. “Bums”, straccioni, era il soprannome dei Dodgers; la copertina di Leo O’Mealia raffigura il senzatetto Brooklyn Bum, personaggio inventato negli anni’30 dal vignettista Willard Mullin (New York World Telegram) come personificazione della squadra.

Il 4 ottobre del 1955 si svolse la gara 7, quella decisiva per assegnare il titolo e contro ogni previsione l’allenatore Alston decise di schierare il giovanissimo lanciatore newyorkese Johnny Podres, una scelta scaramantica e non tecnica: Podres infatti era al primo anno e non aveva vissuto le altre sconfitte. A metà del sesto inning i Dodgers erano in vantaggio per 2 a 0, ma la maledizione sembrava essere in agguato, poiché gli Yankees avevano due uomini sulle basi e alla battuta Lawrence Peter Berra detto Yogi, uno dei più grandi battitori di sempre. Il giovane Podres sulle ali della sua incoscienza lanciò una palla liftata veloce, Berra la colpì magistralmente verso il fuoricampo ma a pochi centimetri dagli spalti Amoros la prese al volo e la passò ai compagni: Yankees eliminati dalle basi. I “Bums” restarono in vantaggio per 2 a 0 fino alla fine della partita e si laurearono campioni del mondo. L’unica squadra di quartiere della Major League aveva vinto le World Series, e come si suol dire in questi casi la classe operaia newyorkese era in paradiso. Purtroppo era l’inizio della fine. Il general manager O’Malley voleva costruire un nuovo stadio nel centro di Brooklyn, per contrastare il calo dei tifosi dovuto alla mancanza di posti auto nei dintorni di Ebbets Field, ma ebbe un rifiuto da parte del responsabile della pianificazione urbana. O’Malley, che già in precedenza era entrato in conflitto con Rickey che aveva così lasciato la franchigia nel 1950, intavolò trattative segrete con la città di Los Angeles, ben disposta a mettere a disposizione 350 acri gratuiti per la costruzione del nuovo stadio pur di aggiudicarsi la franchigia. Fu così che mentre nel 1956 i Dodgers arrivarono ancora una volta alle finali delle World Series perdendole nuovamente “in gara 7″contro gli Yankees, alla fine della stagione del 1957 fu annunciato[10] il trasferimento della franchigia a Los Angeles e a nulla valsero le vibranti proteste dei cittadini di Brooklyn, quelli che O’Malley anni prima aveva definito i tifosi più rumorosi, divertenti e dediti d’America.[11] Curiosamente il trasferimento di franchigia nella città di Los Angeles è praticamente la norma: i Los Angeles Lakers nel basket erano in precedenza i Minneapolis Lakers e si trasferirono in California nel 1960; sempre nel basket i Los Angeles Clippers erano i San Diego Clippers e cambiarono città nel 1984; i Los Angeles Rams di football erano in precedenza i Cleveland Rams e si trasferirono nel 1946, poi emigrarono a Saint Louis nel 1994 per tornare a Los Angeles nel 2016. A essere fondate direttamente a Los Angeles sono state la squadra di baseball dei Los Angeles Angels nel 1961, e ora trasferita ad Anaheim,[12] e la squadra di hockey su ghiaccio dei Los Angeles Kings nel 1967[13]. Per via dell’accordo segreto siglato con O’Malley anche gli storici rivali dei Dodgers, i New Yorks Giants, emigrarono nello stesso anno verso la California con destinazione San Francisco. Il quartiere di Brooklyn nel 2012 è tornato però alla ribalta dello sport a stelle e strisce con una squadra tutta sua: in NBA (National Basketball Association) la franchigia dei New Jersey Nets ha cambiato impianto sportivo e nome diventanto Brooklyn Nets.

logo New York Mets

11 – Logo dei New York Mets.

Restando al baseball invece nel 1961 la Major League concesse una nuova squadra per la città di New York e fu costituito il “The New York Metropolitan Baseball Club”, dalla cui abbreviazione nacque il nome “Mets”. Come colori del nuovo club furono scelti il blu dei Dodgers e l’arancione dei Giants, grazie anche al fatto che sono i colori, insieme al bianco, della bandiera della città. Il logo del club è invece uno skyline di fantasia di New York in cui il fumettista Ray Gatto disegnò sulla sinistra la guglia di una chiesa a simboleggiare Brooklyn, in quanto noto come il quartiere delle chiese; segue il Williamsburg Savings Bank —all’epoca il più alto edificio di Brooklyn; poi il grattacielo Woolworth, uno dei più vecchi e caratteristici di Manhattan seguito da edifici stilizzati a rappresentare la Midtown; al centro l’Empire State Building e in fondo il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite; in primo piano un ponte a significare che il club rappresentava tutti e cinque i quartieri di New York.[14] Lo stadio dei Mets è dal 2009 il Citi Field, situato nel Queens, la cui architettura è ispirata a Ebbets Field.


Citi Field, New York: vista aerea il giorno dell'inagurazione (13 aprile 2009)

12 – Citi Field, New York: vista aerea il giorno dell’inaugurazione, 13 aprile 2009.

Già, Ebbets Field. Il 23 Febbraio del 1960 alle ore 11 si tenne una piccola cerimonia. Erano presenti tra la folla oltre alla banda comunale, lo storico speaker dello stadio Tex Richards e i giocatori Carl Erskine, Ralph Branca e Roy Campanella, tutti e tre campioni del mondo nel 1955, mentre fuori il quartiere di Brooklyn era listato a lutto. Dopo l’esecuzione dell’inno nazionale e la consegna di un sacco di terra della casa base al catcher Campanella,[15] la scena fu occupata da un mezzo demolitore la cui palla per beffarda ironia, o per gusto grottesco, era stata dipinta come una palla da baseball con tanto di cuciture rosse. Al primo colpo demolitore Carl Erskine, un boy of summer, non resse all’emozione e corse via. Al posto del glorioso stadio venne costruito un complesso residenziale. Per Dario Fabbri, autore di Limes, il destino di Ebbets Field è un esempio della ferocia dello spirito americano che non conosce staticità e perisce in mancanza d’azione, per cui prosegue incessante nella sua crudele traiettoria insensibile al risentimento dei tifosi. A tutti gli amanti dello sport il compito di non dimenticare la favola dei Brooklyn Dodgers, squadra di quartiere derisa eppure arrivata sul tetto del mondo, e del loro storico coraggio nell’infrangere il tabù del razzismo.

Brooklyn Bridge 1890 from Harper'sPonte di Brooklyn, incisione del 1890 (da Harper’s Magazine).

Note

  1. [1]Franchigia (in inglese franchise): in ambito sportivo è una società professionistica operante in una determinata area; in nordamerica si tratta tipicamente di una società privata.
  2. [2]La franchigia è stata poi trasferita a San Francisco dove tuttora risiede sempre con il nome Giants.
  3. [3]Maffi, Mario “Sandwich e hot dog” in Americana: storie e culture degli Stati Uniti dalla A alla Z. Milano: Il saggiatore, 2012. Pp. 558–559.
  4. [4]Le World Series sono il massimo trofeo del baseball americano.
  5. [5]«Charlie wouldn’t want anybody to miss a Giants-Brooklyn series just because he died.»
  6. [6]Bum nell’inglese americano significa “senzatetto”, mentre nello slang britannico significa “sedere”.
  7. [7]Letteralmente la serie “metropolitana” anziché “mondiale”.
  8. [8]La finale delle World Series è costituita da 7 gare “al meglio” delle quali si assegna la vittoria, ovvero a chi totalizzava per primo quattro vittorie su sette.
  9. [9]Wait ’til next year!“.
  10. [10]L’annuncio fu dato l’otto ottobre 1957.
  11. [11]Alle proteste si unirono il sindaco di New York, il presidente della Contea e il Consiglio della Città.
  12. [12]La franchigia ha attualmente il nome di Los Angeles Angels of Anaheim.
  13. [13]La franchigia è tuttora stabilita a Los Angeles.
  14. [14]Le cinque contee di New York sono Manhattan, Brooklyn, Bronx, Queens e Staten Island.
  15. [15]Campanella era costretto sulla sedie a rotelle da un incidente automobilistico.

Limes - Il potere del calcio

Bibliografia e fonti

Immagini

copertina: Jackie Roosevelt Robinson con l’uniforme dei Brooklyn Dodgers nel 1954; foto di Bob Sandberg da LOOK, v. 19, nº 4, 1955 Feb. 22, p. 78. Library of Congress/Commons.

  1. 1908 c.a — Library of Congress.
  2. 1920 c.a — Library of Congress.
  3. 1930–45 c.a — The Tichnor Brothers Collection, Boston Public Library, Print Department/Commons.
  4. 5-10-1920 — Library of Congress/Commons.
  5. 1913 — Library of Congress.
  6. 1913, da 1913 Michiganensian, p. 230 — Bentley Image Bank 1912 University of Michigan Baseball Team; BBT1912/Commons.
  7. 1950, Pathes Industris Inc. — Commons/Library of congress.
  8. 1950, Pathes Industris Inc. — Commons/Library of congress.
  9. 1946 c.a, da The Standard (quotidiano di Montreal) Canada.
  10. Copertina di New York Daily, 5 ottobre 1955 (fair use).
  11. © The New York Metropolitan Baseball Club Inc. (fair use)
  12. Malrite, New York 13 Apr. 2009 [CC-BY-SA 3.0] Commons.

 

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